Nel caso di continuazione tra reati, per l’irrogazione dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, si deve considerare la pena del reato più grave? Volume consigliato per approfondire: Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. La questione: interdizione uffici con continuazione reati
Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma applicava all’imputato la pena concordata per i reati di cui agli artt, 73-80 d.P.R. 309/90, pari ad anni quattro e mesi cinque di reclusione, dichiarando il predetto interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato ricorreva per Cassazione, deducendo, come unico motivo, la violazione di legge in relazione all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, ritenuta illegale. Volume consigliato per approfondire: Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia
2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso summenzionato fondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che, in tema di patteggiamento “allargato”, il giudice che applica una pena accessoria non concordata ha l’onere di motivare specificamente sul punto e la statuizione è impugnabile, anche dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., con ricorso per Cassazione per vizio di motivazione, riguardando un aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (Sez. 6, n. 16508 del 27/05/2020), ritenevano le doglianze prospettate dal legale meritevoli di accoglimento alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di patteggiamento, ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici deve farsi riferimento, in caso di riconosciuta continuazione tra più reati, alla determinazione in concreto della pena, quale individuata per il reato più grave, e non a quella globale, comprensiva anche degli aumenti per la continuazione (ex multis, Sez. 6, n. 3633 del 20/12/2016).
Difatti, proprio in relazione a tale approdo ermeneutico, i giudici di piazza Cavour rilevavano come, nel caso di specie – essendo la pena base per il reato più grave quella, pari ad anni due e mesi nove di reclusione, applicata con la sentenza già irrevocabile, con la quale era stata riconosciuta la continuazione – l’applicazione della pena accessoria dovesse ritenersi erronea e, in quanto tale, da doversi eliminare, il che avveniva tramite annullamento senza rinvio.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito, sulla scorta di un pregresso indirizzo interpretativo, che, nel patteggiamento, per applicare l’interdizione temporanea dai pubblici uffici in caso di continuazione tra reati, si deve considerare la pena determinata per il reato più grave, e non quella globale comprensiva pure degli aumenti disposti a titolo di continuazione.
Ove quindi venga considerata la pena “complessivamente” considerata, ben si potrà impugnare, come è avvenuto nella fattispecie in esame, il provvedimento, con cui sia stata fatta questa “erronea” considerazione, nei modi previsti dal codice di procedura penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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