Insegnare e educare, insegnare è educare

Insegnare è…Insegnamento e educazione, la fonte del vero sviluppo, della vera sostenibilità

Indice

1. Insegnare è segnare in…

Nelle “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” (documento del 2018 che è andato a integrare le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione del 2012) si legge: “I docenti sono chiamati non a insegnare cose diverse e straordinarie, ma a selezionare le informazioni essenziali che devono divenire conoscenze durevoli, a predisporre percorsi e ambienti di apprendimento affinché le conoscenze alimentino abilità e competenze culturali, metacognitive, metodologiche e sociali per nutrire la cittadinanza attiva”. Un po’ ovunque si dice quello che devono fare o non fare gli insegnanti ma ci sarebbe prima da chiedersi cosa sia veramente l’insegnamento e ancor di più oggi in cui sembra essere diventato più difficile.
L’insegnamento è mediazione. “[…] insegnare significa farsi mediatori di conoscenza. Fine e mezzo dell’insegnamento sono la chiarezza delle idee e la verità dei concetti e dei giudizi. […] la scuola diretta in modo appropriato compie un’opera di formazione sociale che rende l’uomo idoneo a qualsiasi comunità. Sviluppa abilità e senso civico, prontezza nell’ordinare e nel subordinare, che daranno buoni risultati sia in famiglia sia nella vita pubblica” (la filosofa Edith Stein nelle sue conferenze). “Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro” (principio n. 1 del Capo 1 del Pilastro europeo dei diritti sociali, 2017). Anche nella Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura (Bologna 2011) all’art. 12 si legge che i bambini hanno diritto “a vivere esperienze artistiche e culturali accompagnati dai loro insegnanti, quali mediatori necessari per sostenere e valorizzare le loro percezioni”. 
L’insegnamento è mestiere (dal latino “ministerium”, servizio, funzione). “[…] il mestiere dell’insegnante. Una sfida continua a tener desta l’attenzione, a coinvolgere, a insegnare nel modo più accattivante possibile. Ma a volte, in particolare in alcune classi, occorrerebbe procedere prima in modo diverso: libri chiusi per qualche ora, spazio ad altri contenuti. Magari a una lezione pratica fuori dall’aula, sulla bellezza del silenzio, su come affrontare le paure che genera in noi, sulla ricchezza che invece può donarci. Gioverebbe molto alla crescita, umana, dei nostri ragazzi” (così l’insegnante Maria Gallelli). L’insegnamento non è un lavoro per mestieranti ma per appassionati e appassionanti, affascinati e affascinanti (e non sono tanti). Nell’obiettivo 4.c dell’Agenda 2020 per lo Sviluppo Sostenibile si parla di “Aumentare considerevolmente entro il 2030 la presenza di insegnanti qualificati, anche grazie alla cooperazione internazionale, per la loro attività di formazione negli stati in via di sviluppo”, ma in realtà si ha bisogno di insegnanti qualificati in ogni dove perché ogni Stato può essere ritenuto in via di sviluppo in quanto si deve mirare allo sviluppo dei bambini e ragazzi perché questo è il vero sviluppo da promuovere. Quello sviluppo che è tutelato anche dalle nuove formulazioni degli articoli 9 e 41 della Costituzione, in particolare l’art. 9 dove si è aggiunta, tra l’altro, la locuzione “anche nell’interesse delle future generazioni”.
L’insegnamento è arte (che, etimologicamente, deriva dalla radice “ar”, che è la stessa di armonia). “L’arte di insegnare non è altro che l’arte di svegliare la curiosità delle anime giovani per poi soddisfarla, e la curiosità è viva solo nelle anime felici. Le cognizioni fatte entrare per forza nella mente la occludono e la soffocano” (la poesia “S’impara soltanto divertendosi” dello scrittore francese Anatole France). L’insegnamento è una continua scoperta perché si è a contatto con la materia viva, con il magma della vita. La passione, poi, è un ingrediente immancabile e insostituibile, altrimenti si è solo parole che non lasciano traccia. “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33 comma 1 Cost.). L’insegnamento è arte e scienza, alla libertà e nella libertà. A scuola si dovrebbe, perciò, rivedere e ridimensionare “l’uso” di progetti, schede fotocopiate, schede di verifica, test d’ingresso, accertamento dei prerequisiti e altre pratiche invalse. Bisognerebbe tener conto dell’Agenda di Seoul: obiettivi per lo sviluppo dell’educazione all’arte (2010).
“Conta di più mostrare ai bambini / delle aiuole di un orto / che le pagine di un libro / riempire di stupore la fantasia dei ragazzi / con lo stupore di una foglia / e il lento apparire / di un colore sul pomodoro” (il poeta Tonino Guerra nel suo “Manifesto dell’orto”). Stupore e ardore: l’insegnamento è solo un mezzo che consiste nell’offrire tutti i mezzi possibili per la vita ai discenti. “[…] rendere l’istruzione superiore accessibile a tutti sulla base delle capacità con ogni mezzo appropriato; rendere l’informazione educativa e l’orientamento professionale disponibile ed alla portata di tutti i fanciulli” (lettere c e d dell’art. 28 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
“Quando non si sa insegnare, l’altro può essere offeso dall’insegnamento, non si sente amato da chi lo ammaestra, o perlomeno quello che gli s’insegna non lo salva, non lo aiuta. La cosa giusta può essere detta nel momento sbagliato o senza cura adeguata dell’esito, ossia senza verifica se l’altro è stato messo in condizione di capire. Queste mancanze aprono la strada ad insegnamenti virtuali – mediatici – impropri, che sono però in realtà solo informazione non formazione, ove, ovviamente, informare non vuol dire automaticamente educare. Dobbiamo prendere atto che non è facile compiere quest’opera, il grave rischio, da quanto stiamo vedendo, è far del male, una persona può essere distrutta da un insegnamento distorto” (don Fabio Rosini). L’insegnamento-apprendimento è una relazione interpersonale, di cambiamento intrapersonale. “[…] l’educazione del fanciullo deve tendere a promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità” (art. 29 lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
“I consigli che darei sono quelli che do a tutti i miei studenti e a cui credo che pochi pensino: fare di più dei compiti che ricevono a scuola, essere buoni autodidatti, essere sempre curiosi su tutto, capire il mondo in cui vivono, valutare bene se questo è proprio il percorso che vogliono intraprendere. Per avere successo in qualsiasi campo, ma soprattutto nei campi creativi, devi impegnarti seriamente” (cit.). Insegnare è trasmettere la materia della vita o, ancor di più, mettere mano nella materia della vita, per cui non sarebbe necessario parlare di materie o discipline. Insegnare è anche introiettare le emozioni delle vite esordienti, perché l’insegnamento non è mai unilaterale. Non si impara solo divertendosi ma si insegna anche divertendosi.
“Il maestro non solo conduce lungo strade che non si conoscono affatto, ma, soprattutto, come ci indica il gesto di Socrate, muove il desiderio del viaggio. In questo senso la lezione è un incontro che rompe la realtà uguale a se stessa dell’automaton [automa o automata] istituzionale. È ancora oggi quello a cui personalmente punto ogniqualvolta mi trovo in un’aula: tenere sveglio chi mi ascolta, impedire che la sua testa cada comatosa sul banco, forzare la tendenza al sonno, provocare risvegli, far sentire la forza della parola” (lo psicoanalista Massimo Recalcati). Insegnare non è proferire parole, trasmettere cultura ma avere cura (parola che è contenuta in “cultura”) anche delle parole, di ogni parola. Le parole hanno un’alta potenza e usarle è un potere come lo è l’insegnamento perché si incide sulle vite.
Insegnamento: “Invece della vocazione si parla di professione, spogliando questa parola dal suo senso originario, rendendola equivalente a «occupazione» o al semplice lavorare per guadagnarsi da vivere” (la filosofa spagnola Maria Zambrano). L’insegnamento non è un lavoro qualsiasi, è un lavoro speciale, è educazione al lavoro, educazione di tutti i lavori. È un’attività, una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale di cui all’art. 4 della Costituzione.
Per l’insegnamento e ancor di più per quello di sostegno ci vogliono impegno, contegno e atteggiamento degno (tra cui studio e aggiornamento che siano tali). Non è né questione di titolo né di anzianità di servizio né di graduatorie né di altro che non riguardi gli alunni.
L’insegnante non può permettersi di essere come la maggioranza (ragionare per luoghi comuni, seguire mode e modelli, parlare in gergo…) ma deve essere fuori dal gregge perché è come se fosse, metaforicamente, il pastore o il cane da guardia. L’insegnamento deve essere una scelta “con-sapevole” (e non di ripiego o un’alternativa) seguita da un percorso di formazione crescente, coerente e continua basata non solo su titoli, corsi di aggiornamento e punteggi.
Insegnamento: accompagnare bambini e ragazzi lungo le fasi del processo di apprendimento per far acquisire e maturare gli strumenti necessari per la vita (quali ascoltare, affrontare, associare, accettare, applicare, argomentare…) rispettando il protagonismo degli stessi verso la conquista del conoscere e comprendere. Nell’art. 33 della Costituzione si parla di insegnamento (e non di insegnanti) e nell’art. 34 si parla di scuola, perché ciò che conta sono la “funzione” e l’“istituzione”.  
L’insegnante può essere considerato come un contadino, perché l’agricoltura (soprattutto quella di una volta) richiedeva le stesse qualità dell’insegnamento, tra cui pazienza, cura, tempo, scelte mirate. E premiare, riconoscere il lavoro degli insegnanti è possibile nella quotidianità portando loro rispetto e riconoscimento del lavoro complesso e non comune senza generalizzare i casi isolati di maltrattamento o di insegnamento non sempre idoneo e senza lamentarsi delle assemblee sindacali e delle vacanze estive.
“Insegnare”, dal latino “in” e “signare”: entrare nel cuore degli alunni è il massimo dell’insegnamento ed è quello che rimane anche quando si perde la memoria di volti e nomi.
Insegnare: segnare, disegnare, assegnare, consegnare la vita e le vite. Nella realtà, però, questo è sempre più ignorato ed ostacolato, dal Ministero ai singoli genitori, ma anche da una mancata attitudine di taluni che operano nel settore.
L’insegnamento non è (o non solo) trasmissione di consegne ma lascito di segni, è formazione, è educazione.
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2. Educare è dare…

Una delle metafore più rappresentative della relazione educativa è quella del tandem: “La relazione funziona proprio così, come un tandem co-condotto tra due persone diverse che desiderano raggiungere la stessa destinazione e per farlo insieme hanno bisogno di allenarsi, di ascoltarsi e, quando serve, di fermarsi. Dietro o davanti poco importa, nel tandem tutti hanno un ruolo, con medesimi pesi e responsabilità” (lo scrittore Claudio Imprudente).  
Lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai specifica: “Ma i bambini non sono robot. Anzi, sono l’esatto contrario. Portano l’imprevedibile nella nostra vita. Soprattutto quando sono piccoli, ci obbligano a una disponibilità incondizionata nei confronti dei loro bisogni”. I bambini non sono oggetti, giocattoli o premi da ammirare e ostentare e, poi, da accantonare quando non se ne capisce il meccanismo; sono persone in via di formazione che hanno bisogno, diritto e dovere d’educazione, quell’educazione che è difficile e imprevedibile perché è un processo interpersonale e intrapersonale, una delle primarie relazioni. L’educazione è la forma massima di disponibilità incondizionata nei confronti dei bisogni dei bambini perché è dare loro tempo, ascolto, sguardo, esempio,… “Il bambino ha bisogno di essere protetto, nutrito, curato e istruito” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance, BICE, Paris 2007).
Disponibilità che, spesso, non è data perché l’educazione comporta sempre più difficoltà per cui pullulano espressioni come “emergenza educativa” “crisi educativa”, “povertà educativa”. “Anche le parole, come le persone si trasformano – dice lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni –. È il caso di emergenza, che dal significato originario di qualcosa che esce all’improvviso dalla calma delle acque ha assunto quello minaccioso di una circostanza catastrofica. Noi invece ci siamo sforzati di riconsiderare l’emergenza educativa nel suo significato più originario, come ciò che va emergendo, come elemento di novità in cui famiglia e scuola costruiscono un’alleanza per formare gli uomini e le donne di domani”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia dopo l’art. 27, relativo allo sviluppo del fanciullo in cui i soggetti richiamati sono soprattutto i genitori, e dopo l’art. 28, relativo all’istruzione rivolto prevalentemente alle istituzioni scolastiche, segue l’art. 29, relativo all’educazione, proprio perché a essa mirano (o dovrebbero mirare) l’operato dei genitori e quello delle istituzioni scolastiche.
Lo psicoanalista Massimo Recalcati scrive: “Un tempo esistevano bussole educative che sembrava escludessero il dubbio e le incertezze. L’autorità dei genitori prolungava quella di Dio. Gli insegnanti incutevano rispetto perché la loro funzione era sostenuta dalla forza della tradizione. Oggi queste bussole sono rotte. Siamo in un tempo dove l’autorità simbolica in tutte le sue diverse forme si è incrinata. L’educazione non è però meno importante. Anzi. Solo che deve avvenire senza bussole. Navigare a vista. Mettere in valore più la testimonianza che non l’autorità”. Tra le poche bussole educative rimaste vi è l’art. 571 cod. pen. in cui è sanzionato l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, che significa che la relazione educativa asimmetrica comporta correzione e disciplina ma nel limite del rispetto delle persone e anche l’art. 2048 cod. civ. “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte” da cui si evince che il dover rispondere del fatto illecito cagionato dai “minori affidati giuridicamente dalla vita” significa che si ha l’onere e l’onore (che ha la stessa origine di “onesto”) di inculcare loro un minimo senso del limite.
Anche don Armando Matteo, esperto di problematiche giovanili, mette in guardia: “La longevità sta cambiando la nostra vita, proprio perché iniziamo a concepirci come tirocinanti senza scadenza, apprendisti del mestiere umano all’infinito; e per questo non abbiamo più il bisogno – o almeno pensiamo così – di diventare adulti, maturi, responsabili di qualche cosa o di qualcuno. Questo rende soprattutto gli adulti sempre meno idonei al loro compito educativo. Senza adulti, però, non ci può essere alcun processo di educazione e di trasmissione di valori o di fede”. L’educazione del fanciullo deve tendere a “promuovere”, “inculcare”, “preparare” come si ricava dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, articolo relativo all’educazione. L’educazione è un processo naturale e necessario nella vita e per la vita e gli adulti non vi possono abdicare, come insegna anche l’etologia (gli animali adulti “rispettano” ruoli e rituali).
La storica Lucetta Scaraffia afferma: “L’educazione all’affettività va di moda. Ma questa è una materia che non si insegna. Prima bisogna educare la persona. Solo allora questa fantomatica affettività sarà una conseguenza di un’educazione ben fatta”. Nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si ripete la locuzione “inculcare nel fanciullo il rispetto” per ben quattro volte. “Rispetto” deriva etimologicamente dal verbo latino “respicere”, “guardare di nuovo, volgere lo sguardo indietro”, quindi è un considerare l’altro, avere riguardo per l’altro che è prima e più dell’affettività. I bambini di oggi non sono cambiati rispetto a quelli delle generazioni passate perché, in realtà, sono cambiati gli adulti. I bambini farebbero a meno della televisione o della tecnologia onnipresente se avessero più attenzione e dedizione, presenze adulte.
Dare l’esempio, fare esempio, essere esempio: questa è l’educazione da impartire senza che vi sia bisogno di aggettivarla come relazionale, valoriale o altro. Educare comporta impegno, fermezza, coerenza e altro. Si riesce a farlo anche senza bacchetta alla mano se si è “bacchetta” nella vita, nel senso di punto di riferimento, nel senso di albero con radici e frutti. “Non fare della tua stima, della tua considerazione lo scopo della vita, ma cerca di vivere esperienze che siano all’insegna della gratuità; da’ spazio al desiderio profondo che è in te di portare a termine un impegno, un’attività; coltiva una relazione semplicemente perché questo è bello e vale la pena di essere compiuto” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). Educare è esperienza di gratuità, è “coltivare una relazione semplicemente perché questo è bello e vale la pena di essere compiuto”.
Educare è atto di bontà e bellezza. “Esplicitare la maniera con cui si guarda comporta accettare la complessità dell’essere, la sua verità e bontà, per lo più nascoste. Se il mondo ci appare grigio, è perché porta il nostro colore” (G. Cucci). Educare al bello e al buono, alla varietà della vita: educazione estetica, cromatica, visiva. Alberto Pellai nel suo “decalogo per proteggere i nostri bambini” (novembre 2018) al n. 7 scrive: “Diritto ad essere educati alla bellezza. Bellezza delle parole, bellezza delle immagini, bellezza delle relazioni, bellezza della natura. Città grigie e inquinate, canzoni e film pieni di situazioni e parole ostili e volgari; musei, cinema e teatri con costi elevatissimi per genitori che ci vogliono accompagnare i figli: come possono i bambini imparare ad amare il bello quando non è loro reso accessibile e disponibile?”.
“Alla base di ogni pedagogia, di ogni relazione in cui qualcuno insegna qualcosa a qualcun altro, sono presenti questa immagine della bellezza dell’educazione, questa idea che anche quanto è difficile verrà facilitato il più possibile, e il sentimento che il ritmo e le tappe dell’apprendistato si potranno seguire con un animo gioioso, aperto e sereno” (lo scrittore gesuita Diego Fares). Educare al bello, educare nella gioia: è questa la “mens legis” della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e di altri atti normativi.
Educare è atto di coraggio. “Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché garantisce tutte le altre. Se manchiamo di coraggio nel sostenere le nostre convinzioni, queste perdono del tutto il loro valore” (lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro). Coraggio e convinzione, coerenza e condivisione: i cardini alla base dello svolgimento della personalità e della costruzione delle relazioni umane, i cardini dell’educazione, soprattutto in famiglia.
Educare è atto di responsabilità. “Spesso, al contrario, si preferisce basare le proprie scelte non su una valutazione oggettiva dell’operato delle persone, ma su temi astratti e pregiudizi. È vero che assumersi delle responsabilità (o irresponsabilità…) costa audacia e fatica, ma investire su questi aspetti, più che su tante teorie, credo sia la vera sfida dell’educazione odierna. C’è, infatti, una domanda di fondo che fa ancora molta paura a tanti: di chi è la responsabilità dell’irresponsabilità? Come possiamo valutare le abilità e le potenzialità delle persone se non ci assumiamo mai «l’irresponsabilità» di provare a investire su di esse? Non è un gioco di parole, è realtà” (Claudio Imprudente). Una delle parole più risonanti della Costituzione è la solidarietà, menzionata nell’art. 2, che richiede responsabilità, rispondere “a” e “di”.
Claudio Imprudente aggiunge: “La nostra percezione del corpo vive di consapevolezza, di accettazione di come siamo, di quelli che sono i nostri limiti e risorse e di come preferiamo farne uso. Un percorso lungo e complesso, un viaggio tra le pieghe delle ferite, delle potenzialità, del piacere e del benessere”. ” E nell’art. 29 lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si prevede il “[…] promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità”. Il punto di partenza dell’educazione di un bambino è e deve essere il corpo (corporeità), fondamento del rispetto proprio e altrui: educazione al corpo, del corpo, col corpo.
Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, spiega: “Gli studi psicologici ci hanno ormai chiarito che i comportamenti altruistici sono addirittura innati. Sono iscritti nel nostro Dna e compaiono in età assai precoci. Ciò non esclude che possano esistere altri comportamenti di tipo egoistico, anche questi di natura innata, che rispondono al bisogno di autoaffermazione e di possesso. Si tratta di due facce della stessa medaglia che rispecchiano la complessità della natura umana, dal cui equilibrio dipenderà il nostro star bene al mondo. In entrambe le situazioni sono importanti gli interventi educativi. Per quanto riguarda l’altruismo, se alcuni circuiti non vengono attivati in certi momenti critici, c’è il rischio che non possano più entrare in funzione e che il bambino resti imprigionato nel suo isolamento. Per l’egoismo, l’educazione dovrà incaricarsi di mettere in atto strategie che limitino l’attivazione di circuiti incontrollati. Che fatica per i genitori! Ma ne vale la pena”. Nella formazione della persona non è sufficiente l’educazione, ma occorre che l’educazione sia mirata ed equilibrata. Ecco perché nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge che “l’educazione del fanciullo deve tendere a […]”.
L’educazione è interazione. “I bambini piccoli sono curiosi e molto creativi, a cominciare dal linguaggio. Sta agli adulti stimolarli e saper interagire con loro, liberandosi degli stereotipi” (A. Fonzi). Il verbo “tendere” e tutta la formulazione dell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia danno l’idea della dinamicità dell’educazione e, quindi, il liberarsi e il liberare dagli stereotipi che, invece, sono sempre più seguiti nelle famiglie e nella scuola.
“L’uomo realizza se stesso quando raggiunge il suo “telos”, che è insieme “fine” e “confine”. L’autoteleologia dell’uomo indica dunque che l’uomo è un fine e un confine per se stesso” (il sociologo Pierpaolo Donati). In questo senso l’educazione: far conoscere “fine” e “confine” che è l’altro. Quello che si evince dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani (2011).
“I problemi sono tanti. Ma il problema dei problemi è la totale mancanza di capacità educative dentro casa, nella scuola e nella vita di ogni giorno. L’educazione va succhiata già dal seno materno e va vissuta, soprattutto nei suoi aspetti più semplici ma più preziosi, prima dai grandi, cioè da noi, per poi passare ai piccoli. Non esistono i no a tempo giusto, come sono spariti i sì significativi. Valgono i capricci, più di ogni altra cosa e soprattutto noi grandi abbiamo perso la pazienza di spiegare. Urlare, arrabbiarsi, punire, sono i tre verbi più diseducativi che esistano. Eppure pare che, secondo la cultura odierna, siano quelli che funzionano” (don Antonio Mazzi, impegnato in attività per il recupero di tossicodipendenti). Nel par. 3 dell’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di qualificazione del personale addetto all’infanzia e di adeguato controllo: i primi a essere qualificati e controllati dovrebbero essere i genitori.
“So che l’esempio è tutto anche se a volte (in una ridottissima minoranza di volte!) si ha a che fare con caratteri e propensioni autonome, poiché c’è anche chi è portato a scegliere coscientemente la parte del male, al di fuori di giustificazioni sociali o culturali collettive. So anche bene, come tutti sappiamo anche se facciamo finta di non saperlo, che nella precisa epoca storica in cui viviamo conta molto di più il modello collettivo, «globale», imposto da un preciso sistema di potere o da più sistemi di potere convergenti nei loro valori di fondo che non i modelli proposti dai singoli genitori ed educatori, anche dai più bravi tra loro. Ad allevare i nostri figli è oggi un «sistema», che si ramifica in modelli che possiamo chiamare di educazione indiretta e però estremamente pressante: il mercato, anzitutto, fatto anche di idee correnti, di media, di pubblicità, di consumi; un’idea di successo e di ben vivere dove dominano narcisismi ed egoismi, prepotenze e manipolazioni palesi e non palesi” (il saggista Goffredo Fofi). Educare non è adeguarsi o adeguare ai tempi ma superare i tempi affinché i figli e i giovani superino tempi e contrattempi, come si evince dal Preambolo e dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
“L’autostima è come la foresta pluviale, una volta abbattuta ci vuole un’eternità perché ricresca” (lo psicoanalista Murray Stein, 1994). Dall’educazione dipende la costruzione o la distruzione della persona, quindi occorrono più attenzione e dedizione.
Negli attuali atti normativi a livello statale e a livello internazionale vi è il continuo riferimento all’educazione quale strumento di prevenzione, di tutela, di promozione.
Tra i tanti, nella Risoluzione A RES 66 288 2012, intitolata “Il futuro che vogliamo” (giugno 2012), è dedicato un capitolo all’Educazione nel quale si afferma che “Riconosciamo che le generazioni più giovani sono le custodi del futuro” (par. 230) (e non, come banalmente si afferma, cittadini del futuro, perché cittadini lo sono già).
È auspicabile che si realizzi quanto affermato dal pedagogista Daniele Novara: “La buona educazione è sempre una scommessa che ha un retrogusto politico quando si propone di cambiare il mondo per renderlo un luogo benevolmente favorevole per i più fragili, come i bambini e le bambine, con l’intento di costruire felicità a prescindere dalle condizioni sociali di partenza”.

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Dott.ssa Marzario Margherita

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