L’imposta straordinaria sui margini di interesse delle banche è inesistente?

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Il D. L. 10 agosto 2923 n. 104, recante “Disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia  di  attività economiche e finanziarie e investimenti strategici” ha suscitato discussioni in particolare per il penultimo articolo, 26, “Imposta straordinaria calcolata su incremento margine interesse” (1)
Per averne una comprensione sul piano giuridico senza cedere alle polemiche mediatiche, il testo va affrontato dal punto di vista dell’imposizione straordinaria e di almeno due suoi caratteri fondamentali: i presupposti e l’oggetto. Gioverà anche considerare come si inserisce nel diritto dell’Unione Europea.

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Indice

1. L’imposta sui margini di profitto non ha il presupposto della necessità

Il D. L. 10 agosto 2023 n. 104 nel preambolo invoca svariate ragioni di necessità e urgenza ma tra  queste appaiono riconducibili a uno stato o a un caso di necessità solo gli incendi boschivi nelle isole e gli aumenti del prezzo dei carburanti.
Si tratta quindi di provvedimenti definibili quali dettati dalla necessità secondo parametri  soggettivi, per quanto magari condivisibili, e dettati da presupposti politici. Questa dimensione di politicità che caratterizza così il decreto legge, certo non solo il suo articolo qui oggetto di esame, può  essere discussa ma esula dal nostro interesse.
Rileva invece ai fini delle presenti considerazioni constatare che, per quanto riguarda l’attività di credito coi relativi margini di interesse, nel preambolo non viene menzionato nessun caso di necessità che richieda provvedimenti urgenti viene indicato quale presupposto all’imposizione straordinaria

2. Il gettito dell’imposta non è destinato a fronteggiare necessità

Si potrebbe pensare che la destinazione del gettito dell’imposta straordinaria supplisca a questa deficienza del preambolo. Il comma 7 dell’art. 26 non soddisfa però questa aspettativa. Infatti, dichiara in termini generali ma non vaghi che tale gettito è destinato “al finanziamento delle  misure  di  cui all’articolo 1, comma 48, lettera  c)  della  legge  27  dicembre  2013, n. 147, e per interventi volti alla riduzione  della  pressione fiscale di famiglie e imprese”.
Il riferimento alla legge di bilancio 2013 rimanda all’istituzione del Sistema nazionale di garanzia, che prevedeva un fondo per le piccole e medie imprese, un fondo per i mutui ipotecari concessi in vista dell’acquisizione della ‘prima casa’, e una sezione speciale rivolta a progetti di ricerca e innovazione. Non configura la necessità, perché istituito ormai da un decennio e perché la crisi delle imprese e l’aggravarsi del peso dei mutui immobiliari non sono certo condizioni ineluttabili e non dipendenti dalla volontà degli esseri umani (anche se non da quella di chi ne porta il peso), né contengono un pericolo.
La pressione fiscale su famiglie e imprese è riconducibile allo stesso soggetto che emana il presente decreto e non si vede come possa integrare un caso di necessità dal punto di vista dell’esecutivo in funzione di legislatore d’urgenza.
In entrambi i casi quindi non appare assolutamente possibile ravvisare un riferimento a condizioni di necessità e urgenza.
Certo la necessità va intesa secondo parametri elastici, come indica la Corte Costituzionale rispetto ai decreti legge (per lo meno con le sentenze n. 171 del 2007 e n. 93 del 2011), ma in riferimento all’e iologia della necessità e non alla sua oggettiva pericolosità.

3. Il disposto è inesistente per mancanza di presupposto

Appare pertanto facile concludere che per la prima volta nella storia degli ordinamenti giuridici dell’Italia unita siamo di fronte a una imposta straordinaria non motivata dal riferimento alla necessità e urgenza e priva pertanto di questo presupposto.
Non si tratta semplicemente di una curiosità da storici del diritto.
Al contrario, nell’ordinamento vigente appare chiaro che la necessità è il presupposto che legittima l’istituzione di una imposta straordinaria, in quanto provvedimento di urgenza atto, assieme a altri, a farvi fronte.
La mancanza del presupposto fa venire meno uno degli elementi costitutivi e irrinunciabili per l’essenza stessa dell’imposta, in modo che l’imposta non può sussistere.
Pertanto non si può che concludere logicamente in merito alla inesistenza del disposto dell’art. 26 del D. L. 104 del 2023, che risulta così incapace di fare sorgere un tributo con gli obblighi relativi.

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4. La giurisprudenza costituzionale

A questa argomentazione si potrebbe obiettare sulla base di recenti pronunce del giudice della Costituzione, per cui i requisiti di necessità e urgenza devono coinvolgere il decreto legge nella sua coerente interezza ed è solo questo a doverli integrare, non le singole disposizioni. Si vedano ad esempio le sentenze n. 22 del 2012 e n. 310 del 2013 e l’ordinanza n. 72 del 2015.
Sia pure, ma il carattere speciale dell’imposizione straordinaria (in senso ampio la particolarità della materia tributaria) determina che la sua istituzione sfugge a questi criteri, richiedendo presupposti  specifici; come del resto era avvenuto in tutti i casi precedenti.
In altre parole, appare per lo meno arduo sostenere che i presupposti generici del D. L. del 10 agosto, non declinati in vista dell’imposta di cui al suo art. 26, possano valere quali presupposti specifici e di conseguenza quali elementi costitutivi dell’imposta straordinaria stessa.
Non si dimentichi tra l’altro che lo stesso preambolo del decreto in oggetto fa riferimento non a un solo e unico ancorchè complesso stato di necessità, ma a tante e distinte necessità, ognuna relativa a una o più singole disposizioni; solo la disposizione contenuta nell’art. 26 rimane priva di indicazioni nel preambolo stesso.
Le censure previste dalla Corte Costituzionale nelle pronunce da ultimo ricordate, se proprio dovessero incidere sul  D. L. del 10 agosto, varrebbero semmai non a salvarne i singoli disposti  bensì a farlo cadere nel suo insieme, in quanto privo del riferimento a una coerente necessità. Si tratta di un tema già dibattuto, la giuridicità o per lo meno l’opportunità dei c.d. “decreti omnibus”, che qui, concentrando l’attenzione su una sola disposizione, non ci riguarda più di tanto, ma che indubbiamente costituisce un ulteriore, ancorchè non specifico, elemento di insussistenza.

5. L’oggetto imponibile dell’imposta sui margini di interesse

La seconda questione cruciale riguardo l’imposta straordinaria sui margini di interesse delle banche, dopo quella dei presupposti dell’imposta, è rappresentata dall’oggetto.
Il testo dell’art. 26 individua l’oggetto dell’imposta straordinaria, che ne costituisce la base imponibile, nel margine di interesse realizzato dalla banca di cui alla voce 30 del conto economico redatto secondo gli schemi indicati dalla Banca d’Italia.
È il caso di vedere per esteso tale voce: “Nella presente voce figurano tutte le attività finanziarie per cassa (titoli di debito, titoli di capitale, ecc.) designate al fair value con i risultati valutativi iscritti nel conto economico, sulla base della facoltà riconosciuta alle imprese (c.d. “fair value option”) dallo IAS 39, dallo IAS 28 e dallo IAS 31”.
A ulteriore chiarificazione evitando di entrare nel dettaglio dei Principi dell’International Accounting System, basti menzionare che il 39 riguarda i criteri volti a rilevare e valutare le attività e passività finanziarie, il 28 investe la contabilizzazione delle partecipazioni in società collegate e il 31 la contabilizzazione delle partecipazioni in joint ventures e le partecipazioni congiunte.
Appare chiaro, come del resto non hanno mancato di rilevare alcune banche nelle loro osservazioni formali, che l’imposta straordinaria va a intervenire sull’attività tipica di un istituto di credito nelle sue forme costitutive. Le attività per cassa, le attività finanziarie, le partecipazioni in società collegate e le partecipazioni congiunte descrivono infatti nel complesso il nucleo di ciò che la banca fa in quanto realtà imprenditoriale nell’ambito del credito.
L’imposta straordinaria non ha mai avuto come oggetto una attività di qualsivoglia genere, lavorativa, professionale, produttiva, imprenditoriale, e i relativi profitti e plusvalenze.
La ragione appare evidente: il prelievo eccezionale non deve gravare su quanto una persona, fisica o giuridica, compie nel suo agire economico, comunque da valorizzare anche per le valenze sociali; ma, e comunque nella misura minima necessaria, su quanto ha accantonato.
L’imposta prevista dal decreto del 10 agosto si pone contro questa prassi, andando a assumere quale base imponibile il profitto delle attività tipiche di tutti i soggetti che operano in un settore imprenditoriale.
Si potrebbe discutere il valore vincolante di tale prassi, e al limite anche sulle ragioni fondate che la sorreggono, ma comunque, allorché un atto normativo si pone contro una prassi secolare, è ragionevole attendersi per lo meno che motivi in modo stringente questa scelta radicale; motivazione che manca nella norma in oggetto.

6. La capacità contributiva

Il riferimento alla base imponibile costituita dai margini di profitto di attività imprenditoriali non è comunque l’unico ordine di ragioni che suscita perplessità in merito all’oggetto di questa imposta straordinaria.
Ben più pesanti in proposito dovrebbero risultare le considerazioni in tema di capacità contributiva.
La capacità contributiva è, come noto, scolpita nella pietra dell’art. 53 della Costituzione quale criterio per determinare la misura e il modo che definiscono l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche costituito in capo a tutti i soggetti che compongono la collettività.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 21 del 2005 ha segnalato l’incertezza che contrassegna la nozione stessa di capacità contributiva. Gli anni trascorsi da allora non hanno certo contribuito a rendere la comprensione di tale categoria meno incerta.

7. Capacità contributiva, imposta e contribuente

Non è necessario qui prendere in esame la questione controversa della capacità contributiva nel suo insieme, poichè basta delineare la capacità contributiva relativamente all’imposizione straordinaria.
Appare infatti ormai pacifica in dottrina l’opportunità di frazionare la comprensione della capacità contributiva secondo la tipologia dell’imposta, così come altrettanto pacifico dovrebbe risultare, anche nella giurisprudenza costituzionale, l’orientamento nominalistico per cui il nomen che viene assegnato a un tributo ne determina necessariamente tutte le caratteristiche. Di conseguenza, anche la capacità contributiva va differenziata a seconda dei contribuenti e delle imposte.

8. L’imposta straordinaria

Né la giurisprudenza né la dottrina italiane sembrano avere dedicato attenzione a come configurare la capacità contributiva in relazione all’imposizione straordinaria, per un motivo molto semplice. Nella storia degli ordinamenti giuridici dell’Italia unita, come sopra ricordato, l’imposizione straordinaria ha sempre avuto natura patrimoniale, non ha mai colpito i profitti derivanti da attività.
La capacità contributiva in riguardo a una imposta straordinaria va fatta consistere, in modo molto facile e immediato, nell’essere titolari di un patrimonio o di un capitale di una determinata consistenza, magari solo in considerazione di alcuni aspetti particolari ma significativi, come la proprietà di beni considerati di lusso che rientrano appunto nel patrimonio.
In dottrina, come si può facilmente presumere, è stato dato per scontato che questa costante storica esprimesse a tale punto la definizione di un elemento costitutivo dell’imposta, da non rendere necessario prendere in considerazione altre ipotesi.
Pertanto si può concludere che, in riferimento alla natura dell’imposta straordinaria, la capacità contributiva è rappresentata dalla titolarità di un patrimonio e di un capitale.

9. Il contribuente e le sue attività

Risulta ormai pienamente e larghissimamente condiviso il principio di solidarietà sociale e economica quanto ai tributi, per cui l’azione politica del legislatore che istituisce o modifica un tributo esercita la funzione di incentivare o disincentivare le attività economiche relative. La normativa tributaria gioca così un ruolo particolarmente attivo e solo in apparenza indiretto nel frenare o nel favorire determinate attività da parte del contribuente, ad esempio gli investimenti finanziari.
In questo modo i tributi realizzano concretamente la solidarietà sul piano economico tra i componenti una collettività, agevolando le attività che si traducono in una valenza sociale considerata positivamente e sconsigliando quelle che non si ritiene producano un utile sociale o che addirittura determinino un danno per la dimensione materiale della società e che indeboliscano i legami tra i suoi componenti.
Secondo una convinzione diffusa, tale ruolo potrebbe risultare particolarmente efficace se giocato al di fuori di quella che è l’imposizione ordinaria.
Una imposta, massimamente una imposta straordinaria dotata di maggiore forza disincentivante, che va a mirare quale oggetto imponibile l’attività tipica e caratterizzante per tutta una categoria di soggetti manifesta molto semplicemente, in questa prospettiva, l’intento di scoraggiare tale attività nel suo insieme.

10. Gli istituti di credito come contribuenti

La norma in questione rivelerebbe così di volere scoraggiare il complesso insieme dell’esercizio delle attività normali e tipiche per gli istituti di credito.
Si potrebbero fare due obiezioni.
In primo luogo, che l’intento del legislatore è volto a disincentivare solo determinate attività da parte delle banche.
Quanto detto sopra, che corrisponde a quanto formalmente osservato a margine della norma da alcuni istituti di credito (fra l’altro proprio quelli segnati da una mission di solidarietà sociale), fa subito crollare questa obiezione.
In secondo luogo si potrebbe osservare che l’intento disincentivante da parte del legislatore non si appunta sulle attività degli istituti di credito come tali ma solo sul fatto che dal loro esercizio derivano margini di profitto ingiustificabili anche perché segnati da effetti penalizzanti per la loro clientela e a cascata per tutta la collettività.
L’obiezione però crolla solo se si tiene presente come la variazione, anche molto sensibile, dei tassi di interesse è un fenomeno normalmente legato alla congiuntura economica e finanziaria. In determinate congiunture può fare crescere i margini di profitto di chi svolge attività creditizie, in altre può farli diminuire e ciò rientra, in un senso del tutto banale, nel rischio di impresa.
Gli istituti di credito hanno spesso (chiesto e) ottenuto dal legislatore agevolazioni, sussidi, financo  intervento di salvataggio, ma non sulla semplice base di una riduzione del costo del denaro e dei minori profitti che ne conseguivano.
Una imposta che disincentiva le attività di un intero settore imprenditoriale e dei soggetti che vi fanno riferimento, andando a colpire i margini di profitto quale base imponibile, penalizza tali soggetti considerati come categoria di contribuenti e palesa così una dimensione di iniquità.
Arriva al limite del celeberrimo esempio di scuola, di un tributo che non può essere istituito o che, qualora istituito, è inesistente e non produce obblighi: la “tassa sui biondi”, che va a individuare e colpire una particolare categoria di contribuenti in quanto tale e non in virtù di un fatto economico.

11. La prospettiva eurounitaria

L’art. 26 del D. L. 104/2023 evidenzia aspetti conflittuali con precise norme e indicazioni eurounitarie.
Il Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea afferma all’art. 113 che il Consiglio, previa consultazione del Parlamento e del Comitato economico sociale, adotta disposizioni aventi come obiettivo “l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza”.
In questo modo appare evidente che l’armonia tra le legislazioni nazionali riguardo alle imposte sulla cifra di affari e il buon funzionamento dei mercati interni rappresentano, per l’ordinamento eurounitario, un valore tale da sollecitare l’intervento del Consiglio Europeo.
Non si vede come il disposto dell’art. 26 del D. L. 104/2023 possa armonizzarsi entro il contesto delle legislazioni europee, né come possa agevolare il mercato interno del credito. Al contrario è del tutto evidente che penalizza a tale punto gli istituti di credito italiani, che dovranno sottostare alla relativa imposta da distorcere la concorrenza con i loro corrispettivi di altri Paesi dell’Unione Europea. L’impatto poi sul mercato interno del credito appare difficilmente definibile ma comunque negativo, per consenso delle osservazioni formali e delle analisi che negli ultimi giorni si sono accumulate.
La Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento e al Consiglio, intitolata Tassazione delle imprese per il XXI secolo, del 18 maggio 2021, formula una serie di indicazioni rigorose per orientare e il legislatore europeo e quelli nazionali, che si possono così compendiare. Tassazione equa per le imprese, incentivi per le attività imprenditoriali, affermazione del valore della trasparenza, verso un framework comune e condiviso per la tassazione dei profitti.
Il disposto in oggetto difficilmente potrebbe configurare una tassazione equa, manifesta invece l’intento di disincentivare le attività degli imprenditori nel settore creditizio, andando contro le scelte prevalenti in quasi tutti i Paesi dell’Unione quanto alla tassazione dei profitti.
Queste rapide notazioni dovrebbero bastare a chiarire che l’imposta straordinaria sui margini di profitto delle banche si inserisce con difficoltà nell’ordinamento dell’Unione Europea e quindi si presta a censure pericolose, perchè capaci di creare confusione e incertezza del diritto inteso nell’oggettiva concretezza della sua applicazione.
Le recentissime prese di posizione dell’Unione e della Banca Centrale Europea nei confronti di imposte straordinarie sui margini di profitto degli istituti di credito istituite in Romania, Lituania, Slovacchia, Polonia e Spagna, nel cui merito non è il caso di entrare, al di là delle valutazioni di opportunità politica non lasciano dubbi quanto alla sostanza delle considerazioni che precedono.
Un eminente istituto bancario spagnolo ha presentato, nel marzo 2023, un ricorso al Tribunal Supremo contro l’imposta straordinaria sugli utili, fondandosi sulla mancanza di presupposti e sulla disparità di condizioni che questo determina tra banche spagnole e banche estere operanti in Spagna.

12. Conclusioni

In conclusione, l’imposta straordinaria sull’incremento dei margini di interesse delle banche può essere considerata inesistente perché manca l’elemento costitutivo del presupposto (la necessità); perché l’oggetto non è dato dal patrimonio ma dalle attività del contribuente e la base imponibile non è costituita dal patrimonio del soggetto passivo ma dai profitti delle sue attività tipiche, individuando quindi la capacità contributiva nell’appartenenza a una categoria piuttosto che nella realizzazione di un fatto economico. Inoltre, male si inserisce nel diritto eurounitario, in particolare perché crea una disparità tra banche italiane e estere. 

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Note

  1. [1]

    Per utilità si riporta il testo della norma.
    “1. In dipendenza dell’andamento dei tassi di interesse e del  costo del credito e’ istituita, per l’anno 2023, una imposta straordinaria, determinata ai sensi dei commi 2 e 3, a carico delle  banche  di  cui all’articolo 1 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.
     2. L’imposta straordinaria e’  determinata  applicando  un’aliquota pari al 40 per cento sul maggior valore tra: a) l’ammontare del margine di interesse di cui alla voce  30  del conto economico redatto secondo  gli  schemi  approvati  dalla  Banca d’Italia relativo all’esercizio antecedente a quello in corso  al  1° gennaio 2023 che eccede per almeno il 5 per cento il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022; b) l’ammontare del margine di interesse di cui alla voce  30  del predetto conto economico relativo all’esercizio antecedente a  quello in corso al 1° gennaio 2024 che eccede per almeno il 10 per cento  il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso  al  1° gennaio 2022.
    3. L’ammontare dell’imposta straordinaria, in ogni caso,  non  puo’ essere superiore a una quota pari  allo  0,1  per  cento  del  totale dell’attivo relativo all’esercizio antecedente a quello in  corso  al 1° gennaio 2023.
    4.  L’imposta  straordinaria  e’  versata  entro  il   sesto   mese successivo a quello di chiusura dell’esercizio antecedente  a  quello in corso al 1° gennaio 2024. I soggetti che in base a disposizioni di legge approvano il bilancio oltre il termine di  quattro  mesi  dalla chiusura  dell’esercizio  effettuano  il  versamento  entro  il  mese successivo a quello di approvazione del bilancio. Per i soggetti  con esercizio non coincidente con l’anno solare, se il termine di cui  ai primi due periodi scade nell’anno 2023, il versamento  e’  effettuato nel 2024 e, comunque, entro il 31 gennaio.
     5. L’imposta straordinaria non e’ deducibile ai fini delle  imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive.
    6. Ai fini dell’accertamento, delle sanzioni  e  della  riscossione dell’imposta straordinaria, nonche’ del contenzioso, si applicano  le disposizioni in materia di imposte sui redditi.
    7. Le maggiori entrate derivanti dal presente articolo  affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata  del  bilancio  dello  Stato,  per essere destinate,  anche  mediante  riassegnazione,  sulla  base  del monitoraggio periodico dei relativi versamenti, in un apposito  fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell’economia  e delle finanze per essere assegnate al finanziamento delle  misure  di  cui all’articolo 1, comma 48, lettera  c)  della  legge  27  dicembre  2013, n. 147, e per interventi volti alla riduzione  della  pressione fiscale di famiglie e imprese. Alla ripartizione del fondo di cui  al primo periodo si procede con decreto  del  Ministro  dell’economia  e delle finanze”.

Professore Mario Conetti

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