Indagini bancarie e finanziarie: evoluzione, novità legislative, efficacia probatoria (tipologia)

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PARTE SECONDA 

1. Presunzioni e legalità nel diritto tributario

Quando il Fisco applica una presunzione lo fa in uno dei vari segmenti dell’azione amministrativa in cui l’Autorità fiscale è legittimata ad esercitare una certa discrezionalità. In particolare, il ricorso alla metodologia volta all’applicazione dello strumento presuntivo non deve ledere il principio di legalità, consacrato dall’art. 23 della Costituzione ed emblematicamente richiamato dallo Statuto dei diritti del Contribuente all’art. 1, primo comma secondo cui << Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge >>.

In buona sostanza, l’adozione del meccanismo presuntivo da parte dell’Amministrazione finanziaria non deve intaccare gli aspetti essenziali del prelievo tributario, sia per quanto riguarda l’an che il quantum debeatur (aliquota e base imponibile), che devono rimanere saldamente ancorati al disposto normativo.

La conferma dell’assunto emerge da vari passaggi della vigente normativa tributaria di disciplina dei meccanismi probatori, in genere, presuntivi, in particolare, tesi all’individuazione di contesti indicativi di capacità contributiva.

È il caso, ad esempio, della disciplina prevista dagli artt. 38 e 39 del d.p.r. n. 600/1973, in cui, con particolare minuzia ed attenzione, il Legislatore regolamenta i presupposti probatori finalizzati alla legittima rettifica della dichiarazione. A seconda delle circostanze, concede maggiore o minore discrezionalità all’Amministrazione finanziaria, vuoi precludendo il ricorso allo strumento presuntivo e pretendendo la ricostruzione diretta del fatto ignoto, vuoi ammettendo presunzioni semplici, vuoi legittimando anche l’ingresso alle così dette presunzioni semplicissime1.

Il rischio, ben interpretato dal Legislatore, è che un maggiore margine di << movimento >> concesso all’Autorità fiscale avrebbe rischiato di intaccare il principio di legalità che << blinda >> tutto l’ordinamento tributario.

 

2. Le cd. presunzioni a catena

Le generali considerazioni poste in ordine all’applicazione del metodo presuntivo nel diritto tributario portano a giustificare la grande diffidenza che deve caratterizzare l’adozione del doppio strumento presuntivo, le cd. presunzioni a catena, o di secondo grado.

Qui il fondamento del fatto presunto, che si intende dimostrare, non si incardina su un fatto certo, come accade con le presunzione di primo grado, ma su un’altra presunzione, dunque su un altro fatto non certo, dunque presunto.

Lo scetticismo che anima la dottrina è motivato del ragionamento, del tutto condivisibile, per cui un accertamento fiscale fondato su una catena di conclusioni presuntive, ad eccezione della prima basata sull’unico dato certo, determinerebbe conclusioni del tutto illogiche: il fatto da provare, ad origine della pretesa tributaria, verrebbe ricondotto all’unico fatto certo attraverso una serie di presunzioni, conseguendone che il fatto verrebbe provato attraverso la presunzione che un altro fatto, a propria, si presume si sia verificato, e così via. Ma tutto questo non può portare ad una logica ed accettabile ricostruzione della realtà: si verificherebbero conclusioni estreme poiché un cattivo uso della doppia presunzione porterebbe a poter dimostrare tutto quello che si vorrebbe. Il contribuente verrebbe schiacciato da un insieme di ricostruzioni presuntive poiché il Fisco potrebbe dimostrare ogni << astratta >> situazione ritenuta indice di capacità contributiva.

Tutto questo fa riflettere poiché nell’ambito degli accertamenti bancari e finanziari sembra proprio che la doppia presunzione sia ammessa.

In particolare, l’art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 legittima l’Amministrazione finanziaria a presumere che un prelievo di denaro del contribuente (titolare di reddito di impresa o di lavoro autonomo) dal proprio conto serva, presuntivamente, ad effettuare acquisti << in nero >>, la cui vendita, effettuata – ancora – presuntivamente << in nero >>, genera il fatto che si vuole dimostrare indicativo di capacità contributiva, ossia il ricavo o il compenso.

Ritenuto che la giurisprudenza in varie occasioni ha puntualizzato che i metodi di accertamento presuntivo si prefiggono unicamente di offrire al Fisco uno strumento agevolato e non persecutorio a danno del contribuente, allo scopo della corretta ricostruzione della capacità contributiva di questi2, vi è da chiedersi quale sia stata l’evoluzione dei giudici tributari nel tempo.

Inizialmente, secondo la Corte di Cassazione il fatto ignoto poteva legittimamente scaturire solo dalle uniformi conseguenze attribuibili al fatto certo, dunque attraverso un legame di consequenzialità necessaria, tale da far apparire il fatto ignoto come l’unica possibile derivazione dal fatto noto. Infatti, << quando le conseguenze di un fatto certo non si producono con uniformità quasi costante, si è fuori dalla presunzione ex 2727 c.c., per cui occorre che i fatti sui quali essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile di un fatto noto >>3.

Solo successivamente, al criterio dell’<< unitarietà >> venne sostituito quello della << probabilità >>, per cui la presunzione sarebbe apparsa legittima anche << con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza >>4.

In varie occasioni, tuttavia, nel solco dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, è stato escluso che il riscontro della gravità, precisione e concordanza in caso di presunzioni di componenti positivi di reddito derivanti dalle così dette << percentuali medie di ricarico di settore >> fossero in grado di originare presunzioni ammesse dall’ordinamento tributario, essendo necessario, a loro sostegno, il riferimento a dati che riflettono la particolare realtà economica5.

In ambito tributario, la giurisprudenziale maggioritaria, ispiratasi al divieto di cui all’art. 2727 c.c., nega che da una presunzione possano derivarne altre presunzioni poiché la presunzione è un mezzo dagli esiti non certi e, innestando su un esito incerto un nuovo ragionamento dall’approdo non sicuro, non sarebbe possibile raggiungere la prova. Non è stato così ritenuto legittimo risalire ad un fatto dimostrativo di capacità contributiva attraverso un accertamento in cui << l’Amministrazione non sia partita da un dato di fatto “noto” (tale risultante in base a prova storica e documentale), ma ha assunto come noto il risultato di una deduzione per applicarvi poi una praesumptio de praesumpto e, tramite questa, risalire al fatto ignoto, costituente il thema probandum >>6.

Tuttavia non sono da sottovalutare la giurisprudenza e la dottrina che si sono collocate su posizioni meno garantiste per il contribuente, ammettendo sistematicamente le presunzione fondate su altre presunzioni sull’assunto che, negandone formalmente l’esistenza, non esistono più presunzioni ma più passaggi logici della stessa presunzione7.

Le critiche a tale presa di posizione sono state mosse dall’assunto secondo cui una motivazione del genere di fatto aggira il divieto ex art. 2727 c.c.: nel momento in cui il Fisco, partendo dall’unico fatto noto, ha la necessità, tramite le risultanze del primo procedimento presuntivo, di approdare ad un’altra conclusione presuntiva, che sulle prime si basa, potrà sempre – ed illogicamente – addurre l’esistenza di una sola presunzione, la prima in ordine cronologico, definendo << passaggi logici tutte le stazioni di transito attraverso cui si ottiene il maggiore imponibile >>(8)(9).

 

3. I dati bancari e finanziari quali presunzioni semplici e semplicissime

Si è fatto cenno che le informazioni bancarie e finanziarie che il Fisco acquisisce, sia attraverso la procedura prevista dagli artt. 32, primo comma, n. 2), del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2), del d.p.r. n. 633/1972, sia attraverso l’esercizio di altri poteri di investigazione devolutigli dalla legge, sono idonee, sussistendone i presupposti, per formulare presunzioni semplici10.

Al di là dell’applicazione della presunzione legale relativa, di cui ai menzionati artt. 32 e 51, l’introito monetario in un conto bancario di un contribuente titolare di reddito di impresa o di lavoro autonomo, ad esempio derivante dall’incasso di un assegno, può costituire una presunzione semplice che rileva se connotata da gravità, precisione e concordanza, presupposti che possono concretizzarsi se a tale assegno sia abbinabile un altro documento, di qualsivoglia natura ma del medesimo importo, dai cui emerga la stessa causale ad indicazione dell’operazione svolta11.

Affinché l’elemento di indagine abbia la dignità di presunzione semplice, dunque sia idoneo, indirettamente, a provare l’evasione, è del tutto irrilevante la modalità procedimentale attraverso cui quell’assegno perviene al verificatore fiscale: va bene sia che questi lo abbia ottenuto attraverso la formale procedura specificatamente finalizzata a superare il segreto bancario, sia dopo un’attività di ricerca eseguita o nei locali aziendali (previa autorizzazione del capo dell’ufficio da cui dipende) o nell’abitazione del contribuente (a seguito dell’autorizzazione all’accesso da parte del Procuratore della Repubblica e dello stesso capo dell’ufficio), sia che detto documento gli pervenga spontaneamente, con consegna dal soggetto sottoposto a controllo fiscale o anche da parte di qualsiasi soggetto destinatario di un questionario tendente ad assumere informazioni. Quello che rileva è che l’acquisizione del documento avvenga nel rispetto di una delle procedure normativamente previste12.

La forza probatoria indiretta, riconducibile alla presunzione semplice che può assumere, nel significato precisato, il dato bancario o finanziario comunque ottenuto, è confermata da significativa giurisprudenza che, sul punto, si è formata nel tempo.

E’ stato infatti fatto notare13 che i giudici tributari hanno ritenuto legittima la rettifica della dichiarazione annuale Iva fondata su presunzione di cessione di beni, il cui acquisto risultava effettuato senza emissione di regolare fattura, ma emergeva da bolla di consegna e assegni emessi in pagamento dei beni14.

In altra circostanza è stato deciso che l’emissione di un assegno di conto corrente bancario, ancorché di per sé non idonea a provare una corrispondente cessione di beni o prestazione di servizi, acquista efficacia probatoria dell’esistenza di una operazione soggetta all’Iva in presenza di elementi concorrenti o integrativi, che consentano di inserire il pagamento nell’ambito dell’attività di impresa espletata da due soggetti, quale la circostanza che il pagamento ha avuto luogo tra due ditte operanti nel medesimo settore15.

In altro contesto, tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che i movimenti di entrata ed uscita di somme da conti correnti non possono costituire di per sé certezza di ricavi d’impresa poiché vi è, nella sostanza, un unico indizio, che seppur grave, non è né preciso, né concordante, << mancandone altri di qualsiasi genere che ad esso provano raccordarsi >>(16)(17).

A volte gli stessi dati bancari e finanziari possono assumere significativa rilevanza in ambito tributario anche allorché non concorrano a ricostruzioni presuntive contraddistinte da gravità, precisioni e concordanza. È necessario, tuttavia, che vi siano dei chiari riferimenti normativi in tale direzione, in relazione a specifiche circostanze per le quali il Legislatore ritiene comunque opportuno privilegiare l’interesse erariale innanzi ad un determinato comportamento tenuto dal contribuente: ciò si verifica in caso di determinazione extracontabile della base imponibile Iva e del reddito di impresa, rispettivamente ai sensi degli artt. 55 del d.p.r. n. 633/1972 e 39 del d.p.r. n. 600/1973. Si è soliti, in questi casi, parlare di << presunzioni semplicissime >>, dunque tassativamente previste dalla legge, pertanto di presunzioni matrice legale, per le quali il Legislatore non richiede che esse si basino su elementi gravi, precisi e concordanti.

Autorevole dottrina ha ritenuto che il ricorso alle presunzioni semplicissime riguardi le situazioni in cui l’obiettivo, di chi applica tale strumento, non è l’accertare un fatto, ma il determinarne il valore. Ne deriva che il giudice deve porsi in simili casi lo stesso problema prospettato dall’art. 1225 c.c., secondo cui se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare il giudice lo liquida tramite una valutazione equitativa. Alla luce di questo ragionamento, volto, per così dire, a dequalificare l’incidenza di tale particolare presunzione, poiché non sufficientemente idonea ad accertare il fatto, è stato concluso che << le presunzioni “semplicissime” non sono autentiche presunzioni nel senso tradizionale del termine, perché non riguardano l’accertamento di un fatto e, quindi non rinviano ad un modello deduttivo – sillogistico di conoscenza – che lega fatto noto e fatto ignoto con una massima di esperienza, ma ad un ragionamento di tipo induttivo, ossia, secondo altra formula tradizionale, ad una “valutazione equitativa” >>18.

In altre circostanze, nonostante il dato bancario o finanziario concorra a delineare la gravità, precisione e concordanze a supporto della presunzione semplice, il Legislatore, tuttavia, non legittima l’ingresso di questa nell’ordinamento tributario, fortificando i meccanismi probatori, in relazione a specifiche imposte, con sistemi chiusi di ricostruzione dei fatti indici di capacità contributiva. Ne deriva che in alcuni casi è la legge a predeterminare le situazioni in cui la presunzione semplice è ammessa o meno, potendosi ravvisare, in questo modo, una presunzione semplice di natura legale.

Dal generale panorama sinteticamente delineato ne consegue un’originale graduazione di meccanismi probatori a seconda della ponderata previsione normativa.

A volte con precisione sono enunciati i presupposti probatori che legittimano la rettifica della dichiarazione: è il caso (come già in precedenza è stato fatto cenno) degli artt. 38 – Rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche – e 39 – Redditi determinati in base alle scritture contabili – del d.p.r. n. 600/1973, in cui è previsto che la prova debba essere << certa e diretta >>; altre volte è ammesso il ricorso alla presunzione; in altri contesti ancora non solo è ammessa la presunzione ma tale è ritenuta nonostante l’assenza di gravità precisione e concordanza, dunque anche se ritenuta semplicissima19.

Ecco che, in fase di motivazione degli atti impositivi ed in assenza di una disciplina organica in ambito tributario finalizzata all’assunzione del materiale probatorio, gli uffici competenti ad emettere l’atto di accertamento e, dunque, a corredarlo dell’idonea motivazione, devono porre le dovute cautele ed assumere un comportamento attento e mutevole a seconda del caso concreto posto al loro vaglio, in relazione al dettame normativo.

In questa chiave di lettura i dati ed elementi probatori bancari e finanziari possono e devono essere accuratamente valorizzati, a seconda dei casi e, nel contempo assumere un preciso significato giuridico, se posti in relazione alle disposizioni tributarie che disciplinano ogni singolo tipo di accertamento.

L’agire del Fisco, quindi, deve << camaleonticamente >> attenersi ai vari contesti normativi a seconda che: – le scritture siano inesistenti; – le scritture siano connotate da irregolarità tali da considerarle del tutto inattendibili e/o il contribuente ne abbia omesso l’osservare degli obblighi relativi alla presentazione della dichiarazione; – le scritture siano formalmente regolari ed il soggetto, obbligato alla loro tenuta, abbia regolarmente adempiuto ai propri obblighi dichiarativi.

Gli uffici, dunque, devono ricercare gradualmente, a seconda della circostanza, la giusta misura del materiale probatorio necessario allo scopo, nei margini richiesti dalla singola norma di disciplina della tipologia di accertamento in uso.

A titolo solamente esemplificativo e più nello specifico:

1) l’art. 39, secondo comma 2 del d.p.r. n. 600 del 1973 (così detto << accertamento induttivo-puro >>), prevede, nella sostanza, che in caso di inosservanza degli obblighi di tenuta delle scritture contabili e di dichiarazione, l’ufficio competente determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti della gravità precisione e concordanza. Il comportamento gravemente negligente del contribuente, ostacolando l’azione di controllo, affievolisce l’onere probatorio in capo agli uffici affinché questi correttamente motivino il provvedimento di imposizione20.

Analogamente, la prova dell’evasione fiscale viene assunta dall’ufficio presuntivamente, in assenza di gravità, precisione e concordanza, in caso di << accertamento d’ufficio >>, ex art. 41 del d.p.r. n. 600/1973, in cui il contribuente ometta la presentazione della dichiarazione o abbia presentato dichiarazioni nulle nel significato enunciato dal titolo I del d.p.r. n. 600/1973.

È previsto ancora il ricorso a presunzioni semplicissime in presenza del cd. << accertamento sintetico >> del reddito complessivo netto delle persone fisiche, ex art. 38, quarto comma del d.p.r. n. 600/1973.

Presunzioni semplicissime sono ammesse, altresì, in ambito Iva in relazione all’<< accertamento induttivo >> ex art. 55 del d.p.r. n. 633/1972.

2) L’art. 38, terzo comma del d.p.r. n. 600/1973, in tema di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, prevede che l’ufficio possa ricorrere a presunzioni semplici, connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, se gli obblighi fiscali sono solo formalmente rispettati poiché, ad essi, non corrisponde una regolarità sostanziale a causa di incompletezza, falsità o inesattezza dei dati indicati nelle dichiarazioni dei redditi21.

Similmente, è richiesto il ricorso a presunzioni semplici, non essendo sufficiente l’adozione di quelle semplicissime, in sede di rettifica dei redditi determinati in base alle scritture contabili, ex art. 39, primo comma, lett. d) del d.p.r. n. 600/1973 (cd. << accertamento analitico-induttivo >>), per provare l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate.

I dati bancari e finanziari, pertanto, alla stessa stregua di ogni altro elemento di indagine, possono da soli costituire prova presuntiva a supporto dell’avviso di accertamento là dove, nell’ambito della previsione normativa, non è preteso che gli elementi probatori si caratterizzino per gravità, precisione e concordanza, ammettendo l’ingresso anche alle presunzioni semplicissime.

Viceversa, non sono idonei da soli a costituire prova presuntiva se la disposizione riguardante la specifica tipologia di accertamento non prescinde dalla gravità, precisione e concordanza degli elementi probatori a conforto della legittimità del provvedimento dell’Amministrazione finanziaria. In questo caso, affinché essi si elevino a dignità di prova in grado di sostenere in motivazione l’avviso di accertamento, dovranno, a propria volta, essere sostenuti da altri elementi idonei a suffragare tali caratteristiche che tipizzano la presunzione semplice22.

D’altro verso, si è detto che il rispetto della procedura di disciplina del potere di indagini bancarie e finanziarie determina che le presunzioni riconducibili alla complessiva casistica di cui agli artt. 32, primo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 633/1972 siano da ritenersi presunzioni legali relative, non necessitando, pertanto, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza pretesi per le presunzioni semplici affinché assurgano a dignità di prova.

In tal caso, in relazione alla valenza presuntiva riguardante tanto l’art. 32, primo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 600/1973, quanto l’art. 51, secondo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 633/1972, ci si domanda quale sia la portata concreta probatoria da attribuire, rispettivamente, alle espressioni: – << sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti di cui agli artt. 38, 39, 40 e 41 >> del d.p.r. n. 600/1973 e – << sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 54 e 55 >> del d.p.r. n. 633/1972.

Se parte della dottrina e della giurisprudenza ne rilevano la valenza di presunzione relativa legale23, c’è, chi, tuttavia, rimane scettico, legittimando l’interpretazione della norma quale presunzione iuris tantum limitatamente al periodo temporale antecedente l’entrata in vigore della l. n. 413/1991, allorché la normativa, all’epoca vigente, garantiva maggiore impermeabilità dei dati bancari alle indagini fiscali rispetto a quanto non accada attualmente24, in cui tale attività di indagine è, oramai, esperibile praticamente ed ordinariamente nei riguardi di ogni contribuente, in assenza dei vincoli operativi in capo al Fisco che, invece, la precedente normativa legava a specifiche ipotesi di acclarata evasione tassativamente determinate25.

Ne deriverebbe che l’inversione dell’onere probatorio legato alla presunzione de qua sarebbe in odore di illegittimità costituzionale poiché inidoneo a cogliere l’effettiva capacità contributiva del contribuente, il quale, oltretutto, subirebbe un’inaccettabile limitazione del diritto di difesa. Secondo tale convincimento deriva la riflessione secondo cui l’incapacità del contribuente di dimostrare che i dati ed elementi attinenti alle operazioni sono stati presi in considerazione per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine, può generare solo un indizio che, se supportato da altri elementi, potrà elevarsi a presunzione semplice contraddistinta dai caratteri della gravità precisione e concordanza a legittimazione degli accertamenti fiscali (tecnica di ricostruzione probatoria che, ragionevolmente, potrebbe essere adottata anche nella situazione in cui gli uffici del Fisco, pur ripercorrendo puntualmente l’iter previsto dagli artt. 32, primo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, punto n. 2) del d.p.r. n. 633/1972, interpretano l’invito << dei contribuenti, indicandone i motivi, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti >>, non come un obbligo ma come una mera facoltà, la quale dà al Fisco l’opportunità di acquisire ulteriori elementi a supporto dell’indizio bancario o finanziario che, solo in tal modo, si eleverebbe a dignità di prova).

Pur seguendo tale corrente di pensiero, che critica la valenza di presunzione iuris tantum delle informazioni bancarie e finanziarie, anche se assunte nel rispetto della procedura prevista dagli artt. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. n. 633/1972, è ragionevole ritenere che se, in determinati contesti, le specifiche disposizioni sull’accertamento non richiedono che la presunzione si caratterizzi per gravità, precisione e concordanza, ma ritengono sufficienti, ai fini impositivi, presunzioni semplicissime, allora tali dati o elementi bancari e finanziari possono comunque legittimare il relativo atto di accertamento, ancorché essi non siano sostenuti da altri elementi che qualifichino la presunzione(26)(27).

Per quanto da un’interpretazione del vigente panorama normativo, anche tenuto conto dei principi che ispirano lo Statuto dei diritti del contribuente, si sia portati ad aderire alle interpretazioni più caute del dato normativo, quindi maggiormente garantiste per il contribuente, volte, nella sostanza, ad assumere elementi che portino con maggior certezza a dimostrare l’esistenza di una capacità contributiva meritevole di soggiacere ad imposizione, nonostante ciò la corrente di pensiero che critica la forza di presunzione legale relativa degli elementi bancari e finanziari acquisiti attraverso la procedura degli artt. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 2) del d.p.r. n. 633/1972, porterebbe, di fatto, ad una sterilizzazione del contenuto di tali disposizioni: la valenza probatoria dei fatti ad esse riconducibili verrebbe, sostanzialmente, equiparata a quella desumibile dall’acquisizione dei dati bancari e finanziari attraverso le procedure previste dagli ordinari poteri di indagine tributaria.

 

4. Ancora sulla presunzione ex art. 32, primo comma, n. 2), d.p.r. n. 600/73

Si è fatto cenno che l’art. 32, primo comma, n. 2) del d.p.r. n. 600/73 prevede, tra l’altro, che i prelevamenti e gli importi riscossi che emergono dai dati e dagli elementi bancari e finanziari derivanti dai rapporti e dalle operazioni, sono posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti (previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 dello stesso decreto) in assenza di alcuna traccia nelle scritture contabili e sempreché il contribuente non ne indichi il soggetto beneficiario.

La struttura del dato normativo e la sua interpretazione letterale, nella parte in cui viene attribuita rilevanza ai prelevamenti e agli importi riscossi che non risultano dalle scritture contabili, ha portato parte della dottrina a ritenere che la norma si rivolgerebbe esclusivamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili attraverso il regime contabile ordinario, escludendo gli altri regimi che non consentono, alla stesa stregua del primo, di tener conto nel dettaglio della componente economica, nonché patrimoniale dell’operazione aziendale28.

Altra dottrina, tuttavia, è del parere che comunque la disposizione non possa escludere altri regimi più semplificati – in senso lato – rispetto a quello ordinario, proprio perché spesso in questi ultimi si annida l’evasione più difficilmente da scovare. In tal caso, tuttavia, è particolarmente arduo per i contribuenti interessati, che non dispongono di una contabilità analitica, poter avversare la presunzione in questione; difficoltà che avrebbe una persona fisica in relazione ai prelievi effettuati dal proprio conto per esigenze personali29.

Inoltre, parte della dottrina che paventa l’illegittimità costituzionale della norma per la ritenuta violazione della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., a seguito dell’irragionevolezza del meccanismo presuntivo ad essa sotteso, ha indotto alcuni commentatori ad intravedere nel dato normativo una giustificazione sanzionatoria: si tratterebbe, cioè, di una norma che sanzionerebbe il contribuente a causa della violazione dell’obbligo della tenuta delle scritture contabili, in cui è omessa l’indicazione dei prelievi e dei versamenti; si sarebbe di fronte ad una sanzione indiretta ed impropria30.

Se da una parte per le somme riscosse la presunzione assume una portata, per così dire, più immediata, sussistendo un legame diretto tra il fatto noto (l’importo riscosso) e quello ignoto (il concretizzarsi del componente positivo di reddito), dall’altra il prelievo (fatto noto), costituendo un’uscita di denaro, quindi, ragioneristicamente, una variazione numeraria passiva, non può essere correlato ad un’operazione che origina un componente positivo di reddito (fatto ignoto). Il prelievo semmai inerisce ad un’operazione che origina un componente negativo di reddito, quale un costo per l’acquisto di un bene.

In precedenza è stato fatto cenno che la disposizione porterebbe a ritenere che intanto un prelievo può generare un ricavo oppure un compenso, in quanto si ricorra ad uno strumento presuntivo di secondo grado: tramite l’acquisto << in nero >> del bene (primo fatto ignoto), che determina l’ingiustificato prelievo (unico fatto noto), ne scaturirebbe un ricavo o un compenso a seguito della vendita << in nero >> dello stesso bene (secondo fatto ignoto e oggetto della pretesa tributaria).

Ne emerge una catena attraverso la quale due fatti ignoti risultano legati tra loro tramite un unico fatto certo, ossia il prelievo(31)(32).

L’indicazione del soggetto che beneficia del prelievo, a cui fa riferimento l’art. 32, primo comma, n. 2), consente al contribuente che subisce il controllo di superare la presunzione33 poiché, evidentemente, << riversa >> sul beneficiario la verosimili realizzazione di ricavi o compensi non dichiarati. Per tale ragione è stata ritenuta una norma << antiomertà >>34.

C’è chi, poi, ha pensato che la genericità della disposizione induca ad ammettere che la stessa verrebbe sterilizzata se il soggetto che subisce l’indagine indica quale beneficiario sé stesso, se imprenditore individuale o titolare di reddito di lavoro autonomo, in relazione alle spese sostenute per esigenze personali o della propria famiglia35.

Nonostante puntuale dottrina ritenga che, forse, l’adozione della disposizione faccia acquisire al Fisco non la prova dell’evasione ma meramente un indizio, il cui concreto utilizzo in sede di accertamento dipende dalle regole probatorie stabilite dalla legge per le specifiche procedure accertative utilizzate dall’ufficio nei casi concreti36 (interpretazione che deriva da una ragionevole attenuazione dell’eccessiva portata riconducibile alla presunzione legale de qua, in quanto << inidonea a rappresentare il presupposto economico in base all’id quod plerumque accidit, alla comune esperienza e ragionevolezza >>), nei fatti si ritiene che il dato normativo sia chiaro ed il Fisco sia comunque formalmente legittimato a << sfruttarne >> l’importante valenza, fermo il rispetto della procedura prevista a legittimazione della presunzione iuris tantum de qua(37)(38).

 

1* Il presente lavoro è il secondo di due articoli pubblicati in questa Rivista.

Sulla tematica si ritornerà infra.

2 In questo senso, Cass., 15 novembre 2007, n. 23690, in banca dati il fiscovideo.

3 Analogamente, Cass., 12 dicembre 1978, n. 5906, in banca dati Iuris Data Giuffrè. Conformemente, Cass., 2 luglio 1981, n. 4295, in banca dati il fiscovideo; Id., 29 giugno 1981, n. 4222, ivi. Tale orientamento fin da subito venne avversato da: Cass., 3 marzo 1982, n. 1301, in Foro it., 1982, I, 1928; Id., 21 maggio 1984, n. 3109, in Rass. trib., 1984, 646; Id., 7 ottobre 1987, n. 7493, ivi, 1988, 50; Id., 23 luglio 1999, n. 7954, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big.

4 Cass., 17 febbraio 1986, n. 934, in banca dati Iuris Data Giuffrè. Nella medesima direzione, Cass., 27 aprile 1990, n. 3546, in Corr. trib., 1990, 1841; Id., 6 giugno 1997, n. 5082, in banca dati fisconline;Id. 6 marzo 1995, n. 2605, ivi; Id., 26 marzo 1997, n. 2700, ivi; Id., 16 novembre 1989, n. 4878, ivi; Id., 4 aprile 1989, n. 1621, ivi; Id. 17 maggio 1983, n. 3402, ivi; Id., 17 giugno 1980, n. 3846, ivi; Id., 13 novembre 1990, n. 1079, in Corr. trib., 1991, 988.

5 In argomento, Cass., 15 febbraio 1995, n. 1628, in Boll. trib., 1995, 1358; Id., 27 maggio 1995, n. 5903, ivi, 1314; Id., 2 settembre 1995, n. 9265, ivi, 1996, 1706; Id., 17 aprile 1996, n. 3603, ivi, 1996, 1790; Id., 6 maggio 1995, n 4976, ivi, 1995, 1314.

6 Cass., 23 giugno 1994, n. 6033, in banca dati fisconline, in cui i giudici di legittimità, a supporto della motivazione, hanno ritenuto che nella disciplina Iva (ed imposte sui redditi) << (…) l’accertamento in via indiziaria di operazioni imponibili non denunciate, all’infuori dei casi specifici nei quali é direttamente la legge ad autorizzarlo individuando determinate situazioni come fonti di presunzioni (artt. 53-55, d.p.r. n. 633/1972), non si sottrae ai canoni generali che presiedono alla prova presuntiva, incluso il principio secondo cui il fatto ignoto deve essere desumibile, secondo parametri di regolarità causale (id quod plerumque accidit), dal fatto noto, non da altro fatto a sua volta ignoto e ritenuto sussistente in forza di mera deduzione logica >>. Concordemente, Cass., 27 aprile 1990, n. 3546, cit.; Id., 5 febbraio 1996, n. 935, in Finanza&fisco, 1996, 1402; Id., 13 maggio 1983, n. 3306, in banca dati fisconline; Id., 15 giugno 1995, n. 6743, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big.

7 C’è chi, in dottrina, ha ritenuto che la presunzione abbia la stessa dignità di tutti gli altri mezzi di prova: essa serve ad accertare il fatto presunto e, se questo è vero, può essere accertato giuridicamente. Su una presunzione si può quindi innestare un’altra presunzione, sempre che il risultato complessivo sia ragionevolmente plausibile e convincente. Ecco dunque che, seguendo il ragionamento, è errato non ammettere categoricamente presunzioni (anche << a catena >>) le quali, invece, non devono essere escluse ogni qualvolta portino ad un ragionamento convincente (Marcheselli, Redditi di fonte illecita e accertamento presuntivo, in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria, 2003, 757 e, dello stesso Autore, Certezza, probabilità e contraddittorio nelle presunzioni semplici e nelle “presunzioni a catena”, in Dir. prat. trib., 1995, II, 1257).

8 In questi termini, Marino, Presunzioni semplici e divieto di doppie presunzioni in materia fiscale, in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria, 2000, 358. L’Autore, ponendo criticamente in rilievo tale linea di pensiero, evidenzia una sequenza di pronunce, discendendone, ad esempio, che << da un maggior consumo di energia elettrica si legittima la presunzione di maggiori ricavi per un pastificio >> (Cass., 11 gennaio 1992, n. 239, in Finanza&fisco, 1996, 1402); oppure che << si riconoscono validi accertamenti che, partendo dall’unico dato noto e certo, quale l’esistenza di merce in eccedenza rispetto al quantitativo acquistato con fattura, si arriva alla determinazione del maggior reddito imponibile considerando la valorizzazione dell’eccedenza delle suddette quantità al costo medio, e la percentuale di maggiorazione, attraverso semplici passaggi logici e razionali, anziché vere e proprie presunzioni a catena >> (Cass., 5 settembre 1996, n. 8089, in banca dati fisconline >>); infine, che un accertamento di maggiori ricavi imponibili nei confronti di un bar è stato ritenuto legittimo attraverso l’applicazione << al costo del venduto di una percentuale di ricarico del 100% calcolata prendendo a base il costo delle uova e di alcuni prodotti trascurando di includervi la birra che il contribuente aveva dimostrato essere il prodotto più venduto con un ricarico del 35% >> (Cass., 22 dicembre 1998, n. 12774, in banca dati fisconline). Conformemente, Cass., 1 luglio 1991, n. 7234, in banca dati fisconline; Id., 14 febbraio 1997, n. 1412, ivi; Id., 12 dicembre 1996, n. 11117, ivi; Id., 11 dicembre 1998, n. 12482, ivi (in cui, attraverso un unico fatto noto ed in assenza di una pluralità di fonti certe che parimenti convergano verso un identico risultato logico-deduttivo, è stato ritenuto legittimo un avviso di accertamento, nonostante la norma (art. 39, d.p.r. n. 600/1973 e art. 54, d.p.r. n. 633/1972) parli inequivocabilmente di presunzioni gravi, precise e concordanti al plurale).

9 Per completezza di trattazione, tra i tanti scritti in tema di presunzioni in materia tributaria, Valente, Le presunzioni nel diritto tributario internazionale, alla base della tassazione dei redditi prodotti da imprese residenti in Paesi con regime fiscale agevolati, in il fisco, 2001, 8734; Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributari, Milano, 1988; Trimeloni, Le presunzioni in materia tributaria, in Trattato di diritto tributario, Amatucci (diretto da), Padova, 1994; Tinelli, Presunzioni (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991, 2.

10 Si veda la Parte prima del presente lavoro.

11 Diametralmente, possono assumere dignità di presunzione semplice gli elementi cartacei di indole extracontabile acquisiti a seguito di indagini che, se da soli non assumono la dignità di presunzione in assenza di gravità, precisione e concordanza, possono elevarsi a tanto se successivamente risultino corroborati da altri presupposti, quali, giustappunto, l’esistenza di documenti bancari e finanziari.

12 In genere, in relazione alle presunzioni semplici nell’accertamento tributario, Palladino, Presunzioni fiscali semplici tra diritto penale e diritto tributario, in il fisco, 1994, 6509 ss.; D’Alessandro, La “Logica dei probabili” ed il valore probante delle presunzioni e degli indizi nell’accertamento induttivo in materia di Iva e di II.DD., in Boll. trib., 1986, 1636 ss.

13 Screpanti, La documentazione bancaria quale prova dell’evasione fiscale, in il fisco, 2003, 4974 ss.

14 Comm. trib. centrale, 1° febbraio 1990, n. 920, in banca dati il fiscovideo.

15 Comm. trib. centrale, 19 novembre 1990, n. 7504, in il fisco, 1991, 1508. Nella medesima direzione, Comm. trib. I grado di Reggio Emilia, 23 aprile 1992, in Boll. trib., 1992, 1276; Comm. trib. centrale, 12 febbraio 2001, n. 1047, la quale legittima il ricorso da parte del Fisco alla presunzione semplice nel caso di compensi non contabilizzati e non dichiarati in relazione al trasferimento di flussi finanziari da un imprenditore ad un professionista, il tutto documentato tramite assegni bancari, a seguito della circostanza, non contestata, dello svolgimento continuativo di una attività professionale del secondo in favore del primo, in presenza, oltretutto, di una valutazione di adeguatezza dell’ammontare dei flussi finanziari rilevati in relazione all’entità ed alla natura dell’attività professionale.

16 Comm. trib. reg. di Venezia, 17 dicembre 1998, n. 195, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big.

17 Si annota un importante orientamento, secondo cui gli elementi assunti dalle indagini di polizia giudiziaria – e poi successivamente utilizzati ai fini fiscali – << (…) non hanno valenza di prova dei fatti riferiti. Possono tuttavia essere ritenuti elementi indiziari, ma non anche presunzioni semplici aventi carattere di gravità, precisione e concordanza, come dispone l’art. 2729 c.c., per essere assunte come prove presuntive, in quanto né trovano origine da fatti certi (e come tali accertati), né trovano riscontro in altri sicuri elementi >> (Comm. trib. regionale di Venezia, 5 febbraio 2010, n. 43, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com).

18 Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. 1, Milano, 2000, 347, 348.

19 In questo senso, Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. 1, Milano, 2000, 348.

20 Sull’<< accertamento induttivo >>, ex art. 39, secondo comma, d.p.r. n. 633/1972, di significativo rilievo appare Cass., 10 aprile 1998, n. 3719, in banca dati il fiscovideo, così massimata: << In tema di imposte sui redditi, l’accertamento in rettifica della dichiarazione del contribuente disposta dall’ufficio finanziario può legittimamente fondarsi su elementi indiziari offerti da scritti riferibili a terzi che, quantunque privi di piena efficacia probatoria, risultino pur sempre provenienti dall’imprenditore, quali gli assegni (rinvenuti nelle scritturazioni dei suoi conti correnti) rilasciati ai propri fornitori abituali, da tale vicenda potendosi legittimamente desumere, in via presuntiva, la riferibilità dei pagamenti ad acquisti di merce non fatturata, così che sull’imprenditore incombe, conseguentemente, l’onere della allegazione di elementi di fatto di segno opposto al contenuto della presunzione suddetta, giusto il principio secondo il quale il contribuente è abilitato ad opporre, alle presunzioni “iuris tantum” addotte dall’ufficio finanziario nell’accertamento induttivo, tutte le prove contrarie che egli sia in grado di fornire >>.

21 Sul punto di interesse appare Cass., 12 luglio 1999, n. 7338, in banca dati il fiscovideo, la cui massima evidenzia che << il giudice di merito incorre nella violazione e falsa applicazione della normativa in tema di ricorso alla prova presuntiva se omette completamente di valutare se il “fatto noto”, e non controverso, della disponibilità di somme cospicue da parte del contribuente su propri c/c bancari negli anni di riferimento, non possa condurre, in via inferenziale e non “assiomatica”, al fatto, in accertamento, della provenienza di quelle somme dalla attività di impresa del contribuente, fornendone così quella “prova per presunzione”, di cui l’ufficio è autorizzato ad avvalersi ai sensi degli artt. 38 e seguenti del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 >>. Qui i giudici di legittimità equiparano la presunzione semplicissima, ex art. 39, secondo comma, d.p.r. n. 600/1973, che si tipizza per l’assenza della gravità precisione e concordanza, con la presunzione prevista per gli altri tipi di accertamento, in cui invece tali caratteristiche devono sussistere. Si confronti Cass., 4 febbraio 2000, n. 1209, in banca dati il fiscovideo, in cui i giudici traggono la conclusione che dal fatto noto del versamento di somme, non accompagnato da ulteriori riscontri probatori, si può dedurre che dette somme non potevano non derivare dall’unica ed esclusiva attività lavorativa del contribuente. In argomento, Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, in Rass. trib., 2001, 119, il quale, al riguardo, nutre qualche perplessità poiché << in tal modo la prova del fatto ignoto è raggiunta non attraverso la presunzione, ma desunta, a contrario, dall’inesistenza di prove contrastanti idonee a smentire la correttezza dell’inferenza presuntiva >>, contrariamente – continua l’Autore – a quanto ritenuto da chi (Stesuri, Commento a Cass., 12 luglio 1999, n. 7338, in Corr. trib., 1999, 3621) sostiene che la gravità, la precisione e concordanza, pretese ex art. 39, d.p.r. n. 600/1973, << debbano sussistere nello schema presuntivo di per sé considerato >>.

22 Sulla necessità che una pluralità di presunzioni siano tutte orientate verso un medesima direzione, allo scopo di concretizzare il requisito della concordanza, in dottrina, Taruffo, Presunzioni I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Vol. XXIV, Roma, 1991. Contra, Cass., 21 maggio 1984, n. 3109, cit. Per un approfondimento della tematica, Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit.

23 In giurisprudenza di tutto rilievo appare Cass., 5 luglio 2001, n. 9103, in banca dati il fiscovideo, secondo cui la fonte legale della presunzione ex art. 32, primo comma, n. 2), d.p.r. n. 600/1973, << rende utilizzabili “de plano” dall’Amministrazione finanziaria i dati e gli elementi risultanti dai conti (Cass. n. 9446/2000), anche se il carattere relativo di essa ammette la prova contraria da parte del contribuente – che può dimostrare di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile, ovvero che essi sono estranei alla produzione del reddito (…) >>. Si confronti Cass., 25 ottobre 2006, n. 22853, in banca dati il fiscovideo, la quale, in relazione a quanto disposto dall’art. 51, secondo comma, n. 2), d.p.r. n. 633/1972, così si esprime: << (…) come affermato da una consolidata giurisprudenza della Corte (si vedano, fra le altre, le sentenze n. 8422/2002; n. 14421/2005 e n. 18421/2005) tale norma non si limita a prevedere un mero indizio, da valutarsi nel quadro degli altri elementi tratti dall’attività dell’impresa, ma pone a carico di quest’ultima una presunzione de iure. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria può fondare l’accertamento esclusivamente sulla presenza di movimenti bancari riferibili al soggetto, in relazione ai quali quest’ultimo non abbia fornito la prova della loro estraneità ad operazioni imponibili, senza dover svolgere ulteriori indagini >>.

Si veda, inoltre, Cass., 6 novembre 2002, n. 15538, in banca dati il fiscovideo, a mente della quale la presunzione di cui all’art. 32, d.p.r. n. 600/1973, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 del codice civile per le presunzioni semplici. Nella medesima direzione si esprime, altresì, Cass., 28 settembre 2005, n. 19003, in banca dati il fiscovideo; Id., 18 gennaio 2002, n. 518, ivi; Id., 19 settembre 2001, n. 11778, ivi, Id., 19 giugno 2001, n. 8340, ivi. Si confronti, ancora, Cass., 12 luglio 1999, n. 7338, cit.; Id., 4 febbraio 2000, n. 1209, cit.

24 Sulla cancellazione, di fatto, del segreto bancario dall’ordinamento tributario attraverso la l. 30 dicembre 1991, n. 413, si veda la Parte prima del presente lavoro.

25 Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit. Si confronti Aiudi, Rilevanza presuntiva delle movimentazioni bancarie ed interpello del contribuente, in Boll. trib., 2000, 166 ss.; Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., 328 ss.; Fiducia, Conti cointestati e indagini bancarie, in Corr. trib., 1997, 1983 ss.

Sul punto, in relazione alla dottrina antecedente l’entrata in vigore della l. n. 413/1991, Tabet, Fisco e segreto bancario: profili procedimentali, in Boll. trib., 1986, 1110 ss.; Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, 242 ss.

26 Sulla suddetta notazione si confronti Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit. Al riguardo, l’Autore, dopo aver segnalato alcune posizioni dei giudici di legittimità, riconducibili a Cass., 12 luglio 1999, n. 7338, cit. (in cui i giudici di fatto assimilano le presunzioni utilizzabili durante l’accertamento induttivo, che possono essere prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con quelle previste negli altre tipologie di accertamento che, al contrario, devono essere qualificate dai citati presupposti) e a Cass., 4 febbraio 2000, n. 1209, cit., pone in evidenza un orientamento della giurisprudenza di merito, a mente del quale << l’accertamento analitico dei versamenti di conto corrente costituisce lo strumento per quantificare con più esattezza, diremmo quasi matematica, gli occultamenti dei corrispettivi i quali, per la loro natura di partite extracontabili, non sono conoscibili e valutabili in modo preciso; ciò comunque e sempre una volta che venga offerta la prova o sussista la fondata presunzione che il contribuente abbia adottato un comportamento indirizzato all’evasione d’imposta. Una volta offerta la prova o raggiunta la presunzione grave, precisa e concordante di una avvenuta omissione di ricavi, la movimentazione bancaria si pone a base, insieme agli altri elementi, della quantificazione della materia imponibile (…), per cui l’utilizzo dei dati bancari nell’accertamento non costituisce un mero strumento di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale si deve peritare di fornire giustificazione documentale rispetto ad operazioni economiche elementari, magari avvenute numerosi anni prima, sollevando (l’ufficio) da ogni successivo impegno di concreto accertamento della materia >> (Comm. trib. prov. di Vicenza, 17 aprile 1998, n. 159, in banca dati Ipsoa I quattro codici della riforma tributaria big. Analogamente, Comm. tributaria reg. di Venezia, 17 dicembre 1998, n. 195, cit; Comm. trib. prov. di Pavia, 17 dicembre 1998, n. 267, ivi).

27 Per un generale approfondimento della tematica si segnala Lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, cit.; Schiavolin, Appunti sulla nuova disciplina delle indagini bancarie, in Riv. dir. trib., 1992, 40; Consolo, Dal contenzioso al processo tributario, Milano, 1992, 926 ss.; Russo, La tutela del contribuente nel processo sui redditi virtuali o presunti: problemi generali, in Riv. dir. trib., 1995, 1 ss.; Cordeiro Guerra, Questioni aperte in tema di accertamenti basati su dati estrapolati da conti correnti bancari, in Rass. trib., 1998, 563 ss.; Dalmasso di Garzegna, Movimenti di conto corrente – accertamenti ex art. 32 d.p.r. n. 600/1973 e processo penale, in il fisco, 1994, 5079 ss.; Stufano, Valenza presuntiva ai fini tributari dei dati bancari, in Corr. trib., 1998, 2557; Tosi, Segreto bancario: irretroattività e portata dell’art. 18 della l. n. 413 del 1991, in Rass. trib., 1995, 1395 ss.; Tesauro, Le presunzioni nel processo tributario, in Granelli, Le presunzioni in materia tributaria. Atti del Convegno nazionale di Rimini, 22/23 febbraio 1985, Rimini, 1987; Ficari, Spunti in materia di documentazione bancaria ed accertamento dei redditi tra

evoluzione normativa e dibattito giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., 1995, 929 ss.

28 Al riguardo, tra la giurisprudenza di merito, Comm. trib. reg. di Roma, 4 luglio 2006. n. 101, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com, secondo cui la mancata registrazione delle operazioni bancarie nel libro giornale e l’omessa attivazione di un conto in banca inducono a ritenere che il recupero operato dall’ufficio non solo è legittimo sul piano procedimentale, ma è anche fondato sul piano sostanziale.

29 Si veda Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit.; Marrone, La disciplina degli accertamenti bancari ai fini fiscali, in Rass. trib., 1996, 622 ss.; Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, cit., 219 ss.

30 Stufano, Utilizzo presuntivo dei dati bancari nell’accertamento tributario, in Corr. trib., 1993, 2461 ss.

31 Già si è fatto cenno alla diffidenza che la dottrina ha avuto occasione di ravvisare circa il doppio strumento presuntivo. In relazione alle anomalie che l’adozione di tale presunzione determina, in particolare, in capo ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo, sia consentito il rinvio a G. D. Toma, Fisco e professionisti: cosa c’è di nuovo? Brevi riflessioni sulle recenti “attenzioni normative” rivolte alla categoria, in il fisco, 2007, 3652 ss. Al riguardo, le perplessità che la novella de qua genera ha portato parte della dottrina a ritenere la necessità di immediate correzione normative, tra cui si annovera l’orientamento più estremo che ravvede un necessario e drastico colpo di spugna volto all’abrogazione dello strumento presuntivo nei riguardi dei titolari di reddito di lavoro autonomo.

In giurisprudenza, per un’applicazione della presunzione de qua in capo ai titolari di lavoro autonomo, Cass., 3 settembre 2008, n. 22179, cit.; Id., 12 maggio 2008, n. 11750, in fiscalitax, 2008, 1253, secondo cui è irrilevante che la normativa adoperi l’espressione << ricavi >> (la pronuncia riguarda, evidentemente, una contestazione effettuata antecedentemente la modifica avvenuta attraverso la l. 30 dicembre 2004, n. 311, norma che, come noto, rivedendo l’art. 32, ha aggiunto al termine ricavo quello di compenso, estendendo l’ambito applicativo della presunzione anche ai redditi prodotti dai lavoratori autonomi), poiché la presunzione opera semplicemente ricorrendo i presupposti previsti dalla norma medesima ed è rivolta alla generalità dei contribuenti, compresi i professionisti.

32 Sul tema, in dottrina, Deotto, Indagini bancarie, retroattività in bilico per gli autonomi, in il Sole-24Ore, 14 novembre 2005, 29 e, dello stesso Autore, Nella presunzione sui conti bancari occorre considerare l’incidenza dei relativi costi, in Corr. trib., 2006, 1463 ss.; De Angelis, Feriozzi, Studi chi non ha i documenti paga, in Italia Oggi, 21 ottobre 2006, 41; Tozzi, Il fisco in banca non scorda il passato, in Italia Oggi, 20 ottobre 2006, 29; Gorret, Retroattivi gli accertamenti bancari, ivi, 12 ottobre 2006, 41 e, dello stesso Autore, Indagini fuori legge, ivi, 13 ottobre 2006, 31; Lupi, La difficoltà di “interpretazioni correttive” di una presunzione contro natura, in Dialoghi di diritto tributario, 2005, 1453; Deotto, Ardito, Il segreto bancario nella normativa tributaria, in Boll. trib., 1995, 1400 ss.; Lattanzio, Verifica bancaria e accertamento tributari, in il fisco, 1996, 5569 ss.; Barbone, Le norme sull’utilizzabilità dei dati bancari nell’accertamento: una matassa senza bandolo?, in Rass. trib., 1995, 725 ss.; M. Cancedda, Accertamenti bancari: il problema del riconoscimento dei costi occulti nella circolare n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle entrate e nell’elaborazione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in il fisco, 2006, 6963; Zappi, Professionisti: accertamenti bancari e finanziari, in La settimana fiscale, n. 44/2006, 22; Menti, Le operazioni bancarie di versamento e di prelevamento di somme e la loro assimilazione a ricavi, in Riv. dir. trib., 2006, 68 ss. In giurisprudenza, Cass., 9 settembre 2005, n. 18016, in banca dati il fiscovideo, secondo cui << in caso di acquisizioni dei movimenti di un c/c bancario debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive a meno che non si dimostri che corrispondano a operazioni già contabilizzate o estranee all’attività >>. Conformemente, Cass., 28 settembre 2005, n. 19003, cit., a mente della quale << l’art. 32 del d.p.r. n. 600/1973 muove dalla – ovvia – considerazione che gli evasori occultano le poste attive e non le poste passive. Pertanto, in caso di acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili all’impresa (…) debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive (a meno che l’imprenditore non dimostri che corrispondono ad operazioni già contabilizzate o estranee all’attività aziendale), senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili (…) >>. Si confronti Cass., 30 luglio 2002, n. 11240, in banca dati il fiscovideo; Id., 7 settembre 2001, n. 11514, ivi; Id., del 4 ottobre 2000, n. 13181, ivi.

33 In giurisprudenza, Comm. trib. prov. di Bologna, 4 giugno 2007, n. 158, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com, secondo cui << in mancanza della registrazione contabile, il contribuente può indicare le generalità del beneficiario >>, bastando, quindi la sola precisazione dell’accipiens.

34 Barbone, Le norme sull’utilizzabilità dei dati bancari nell’accertamento: una matassa senza bandolo, cit., 724.

35 Fanelli, Prelevamenti di somme dal proprio conto corrente e presunzione di ricavi, in Corr. trib., 1997, 1469; Schiavolin, Appunti sulla nuova disciplina delle indagini bancarie, cit., 40; Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit.

36 Bucci, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, cit.

37 Tra la copiosa giurisprudenza orientata in tale direzione, Comm. trib. reg. di Roma, 8 giugno 2006, n. 80, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com; Cass., 28 settembre 2005, n. 19003, cit.; Id., 8 giugno 2005, n. 225, in il fisco, 2005, 3933, secondo cui la norma impugnata stabilisce << una mera inversione dell’onere probatorio >> e per questo non priva affatto il contribuente di adeguata tutela, dal momento che << gli è consentito liberarsi dagli effetti della presunzione iuris tantum indicando il beneficiario del prelievo >>; Id., 13 maggio 2003, n. 7329, in banca dati il fiscoviodeo; Id., 13 giugno 2002, n. 8422, ivi; Id., 17 maggio 2002, n. 7267, ivi; Id., 29 marzo 2002, n. 4601, ivi; Id., 5 luglio 2001, n. 9103, cit.; Id., 10 gennaio 2001, n. 267, ivi; Id., 27 ottobre 2000, n. 14191, ivi; Id., 1 agosto 2000, n. 10060, ivi; Id., 28 luglio 2000, n. 9946, ivi; Id., 6 ottobre 1999, n. 11094, ivi; Id., 3 febbraio 2001, n. 1569, ivi; Id., 6 agosto 2008, n. 21180, in fiscalitax online; Id., 11 marzo 2010 n. 5913, documento reperito all’indirizzo http://bdprof.ilsole24ore.com; Id., 20 ago 2010, n. 18809, ivi; Id., 14 gennaio 2011, n. 767, ivi; Id., 13 giugno 2007, nn. 13818 e 13819, ivi; Id., 19 marzo 2009, n. 6617, ivi; Id., 5 giugno 2008, n. 14847, ivi; Id., 9 luglio 2011, n. 20449, ivi.

Tuttavia l’avversa giurisprudenza (soprattutto di merito) ritiene, in sintesi, che l’utilizzazione delle indagini bancarie e finanziarie integri una semplice constatazione di esistenza di partite contabili e che il mancato reperimento nella contabilità del contribuente di poste dei conti correnti bancari sia un indizio di evasione ovvero una presunzione semplice non assistita dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. Sul punto si rinvia a Comm. trib. reg. di Roma, 11 aprile 2006, n. 58, in banca dati il fiscovideo; Id., 5 aprile 2006, n. 35, ivi; Id., 9 settembre 2005, n. 50, ivi.

38 La tematica è stata trattata, tra i tanti, da Deotto, Prelievi: sparisce l’automatismo, in il Sole-24Ore, 3 novembre 2006, 25 e, dello stesso Autore, Piccole aperture ma alla fine vince la linea dura, ivi, 23 ottobre 2006, 39; D’Andrea, In banca il fisco lede il diritto di difesa, ivi, 18 dicembre 2006, 37; Lo vecchio, Pasquale, Sconto sui ricavi solo con l’induttivo, ivi, 22 ottobre 2006, 21; Fransoni, La presunzione di ricavi fondata sui prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, 973; Buscema, Sono ricavi i prelevamenti non giustificati, in FISCO oggi, 13 giugno 2005 e, dello stesso Autore, L’accertamento è al sicuro in banca, ivi, 2 agosto 2006; Antico, Indagini finanziarie: i chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria. Circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006: non è necessario il preventivo contraddittorio con i contribuente, in il fisco, 2006, 6362 ss.

Toma Giangaspare Donato

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