In che modo la tossicodipendenza rileva in materia di continuazione

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In che modo lo stato di tossicodipendenza, in sede di esecuzione, rileva in materia di continuazione

     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

1. La questione

La Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava una istanza avanzata diretta all’applicazione della continuazione tra i reati giudicati con sentenze in cui l’istante era stato condannato per reati in materia di sostanze stupefacenti.

In particolare, il giudice dell’esecuzione aveva negato la ricorrenza di una preventiva deliberazione unitaria dei delitti, sia pure di massima, rimarcando l’eterogeneità delle sostanze, trattandosi in un caso di detenzione a fini di spaccio di eroina, e nell’altro di importazione e detenzione di hashish, nonché le diverse modalità esecutive dei reati; si è inoltre rimarcato che dagli atti non risultava che l’imputato fosse tossicodipendente.

Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore che deduceva vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., con riferimento al travisamento della prova con riguardo all’omogeneità dei reati e allo stato di tossicodipendenza in quanto, a suo avviso, il giudice dell’esecuzione aveva reso una motivazione carente, senza rispondere alle specifiche deduzioni della richiesta di incidente di esecuzione, allegata al ricorso, dirette a evidenziare che i due reati erano in stretta correlazione, in quanto omogenei (detenzione a fini di cessione), distanziati soltanto da due mesi e commessi nelle stesse condizioni spaziotemporali, rilevandosi al contempo che la condizione di tossicodipendenza dell’istante risultava provata da una certificazione del Ser.T. di Roma pure allegata al ricorso e, da tale certificazione, si ricavava come il ricorrente fosse certamente tossicodipendente all’epoca di consumazione dei delitti in discorso.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il ricorso summenzionato fondato, ravvisandosi il travisamento della prova attinente alla condizione di tossicodipendenza del ricorrente, in corrispondenza dell’epoca di commissione dei reati per i quali si chiedeva il riconoscimento della continuazione, atteso che, se dal certificato del Ser.T., emergeva la sua dipendenza da oppiacei in trattamento nel periodo che comprendeva l’epoca di commissione dei reati unificandi, dal canto suo, invece, il giudice dell’esecuzione, nel negare tale circostanza, ad avviso del Supremo Consesso, non aveva considerato tale condizione, astrattamente in grado di incidere sul riconoscimento del vincolo ex art. 81 cod. pen., così dando luogo ad una illogicità motivazionale da doversi emendare.

Oltre a ciò, era altresì osservato – una volta fatto presente che è noto che la legge n. 49 del 2006 impone al giudice dell’esecuzione di considerare la condizione di tossicodipendenza ai fini della valutazione dell’unicità del disegno criminoso – che ciò rileva nei termini normativamente definiti dall’art. 671, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen.: “… Fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza.”, è che, se è vero che la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione in carenza di ulteriori elementi concordanti (Sez. 1, n. 39287 del 13/10/2010), detto stato costituisce comunque un indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato (Sez. 1, n. 18242 del 04/04/2014).

Orbene, ad avviso degli Ermellini, quanto appena esposto rilevava nel caso di specie, dovendosi considerare come violazione di legge, con riferimento all’indicata disposizione, nonché come omissione o illogicità motivazionale su circostanza rilevante ai fini della decisione, l’operato del giudice che ometta dì considerare, o svaluti totalmente senza adeguata giustificazione, lo stato di tossicodipendenza del condannato, specificamente dedotto e corroborato da idonea documentazione (Sez. 1, n. 4094 del 03/12/2019).

Pertanto, l’impugnata ordinanza era annullata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in qualità di giudice dell’esecuzione, in diversa composizione affinchè – nella piena libertà di apprezzamento – riesaminasse l’istanza ex art. 671 cod. proc. pen., tenendo conto anche della dedotta condizione di tossicodipendenza.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito in che modo lo stato di tossicodipendenza, in sede di esecuzione, rileva in materia di continuazione.

Si afferma difatti in tale pronuncia che lo stato di tossicodipendenza costituisce un indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato, con la conseguenza che l’operato del giudice che ometta dì considerare, o svaluti totalmente senza adeguata giustificazione, lo stato di tossicodipendenza del condannato, specificamente dedotto e corroborato da idonea documentazione, comporta che un provvedimento, in cui risulti tale omissione, risulta essere affetto da violazione di legge, nonché come omissione o illogicità motivazionale su circostanza rilevante ai fini della decisione.

Ove, quindi, si verifichi una situazione di questo genere, ben si potrà ricorrere per Cassazione, deducendo questi motivi.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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