In che misura il novum normativo derivante dalla sentenza della Consulta n. 253 del 2019 può incidere sulle opzioni definitorie della fase di legittimità

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(Annullamento con rinvio)

Il fatto

Il Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila respingeva il reclamo in tema di permesso premio proposto dal detenuto atteso che: a) il cumulo in espiazione, con pena dell’ergastolo, comprendeva reati ricompresi nella disposizione di legge di cui all’art. 4bis, comma 1, ord. pen.; b) l’istante non aveva collaborato con la giustizia; c) non sussistevano i presupposti in fatto della collaborazione impossibile o inesigibile (art. 4 bis, comma 1 bis) e la condotta risultava in fatto commessa al fine di agevolare l’associazione mafiosa di riferimento sicché restava ferma l’inaccessibilità al permesso derivante dai contenuti della previsione di legge di cui all’art. 4 bis, comma 1, ord. pen..

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – il detenuto deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in quanto, secondo il ricorrente, il reato commesso non poteva dirsi ostativo in virtù della mancata contestazione della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Si evidenziava, altresì, da parte del ricorrente, la pendenza di giudizio incidentale di legittimità costituzionale relativo al dubbio di ragionevolezza della presunzione assoluta di assenza di pericolosità rapportato alla scelta collaborativa.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso osservava prima di tutto che, in presenza di un ricorso che non andava dichiarato inammissibile per aspetti formali relativi alla tardività o alla legittimazione, la decisione del Tribunale di Sorveglianza doveva essere annullata con rinvio in rapporto all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale evocato nell’atto di ricorso dato che, con decisione numero 253 del 2019 (del 4 dicembre 2019), la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della previsione di legge di cui all’art. 4 bis ord.pen. proprio in riferimento all’istituto del permesso premio ed al regime legale della ostatività.
Trattandosi di sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale, sia pure parziale, ad avviso del Supremo Consesso, i contenuti della medesima devono essere oggetto di valutazione anche di ufficio ai sensi della previsione di legge di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2 (tra le molte, v. Sez. U. n. 33040 del 26.2.2015; Sez. VI n. 14995 del 26.3.2014; Sez. VI n. 37102 del 19.7.2012).

Premesso ciò, gli Ermellini ritenevano all’uopo necessario illustrare il contenuto della decisione Corte Cost. numero 253 del 2019, pubblicata in data 4 dicembre 2019 ed avente ad oggetto la disciplina del permesso premio in rapporto alle condizioni legali di accesso a tale beneficio penitenziario nei seguenti termini: “Il dispositivo testualmente recita: dichiara l’illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1, (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; dichiara, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale della L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’art. 416-bis c.p. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. (…) La decisione è intervenuta sulla (intera) previsione di cui all’art. 4 bis, comma 1 ed ha, in relazione ai suoi contenuti argomentativi, ritenuto contrastante con le norme costituzionali (art. 3 Cost. e art. 27 Cost., comma 3) la presunzione legale assoluta di pericolosità sociale – tale da inibire la concessione del permesso – correlata alla scelta di non prestare collaborazione con la giustizia. La collaborazione effettiva non può – dunque – essere più ritenuta quale unica prova legale di avvenuta rescissione del legame con il contesto criminale di provenienza. Detta presunzione assoluta è stata espunta dal quadro normativo e, a ben vedere, sostituita da una presunzione relativa (di perduranza del rapporto con il contesto in cui è maturata la commissione del particolare reato, in chiave di attuale pericolosità soggettiva, con analoga portata preclusiva del permesso) vincibile a determinate condizioni e con determinate regole probatorie.
Su tali aspetti occorre brevemente soffermarsi. (…) In presenza di una opzione del condannato orientata a mantenere il “silenzio” sui fatti delittuosi avvenuti prima della condanna, la Corte Costituzionale introduce un particolare regime dimostrativo, orientato a contrastare la presunzione relativa. Non è – infatti sufficiente – l’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (parametro contenuto nell’attuale testo di legge, al comma 1bis) ma occorre estendere la dinamica probatoria alla particolare condizione, sia pure correlata alla precedente, della inesistenza del pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali: (..) di entrambi tali elementi – esclusione sia dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro rispristino grava sullo stesso condannato che richiede il beneficio l’onere di fare specifica allegazione..(..). Non è un caso, dunque, che lo stesso dispositivo della sentenza n. 253 menzioni espressamente le due proposizioni probatorie cui si è fatto cenno (attualità dei collegamenti/pericolo del loro ripristino) con portata certamente additiva, tale da determinare la costruzione di un sistema differenziato quanto alle valutazioni giurisdizionali posteriori alla decisione di incostituzionalità.
Ciò in rapporto all’oggetto del giudizio incidentale che era – appunto rappresentato dalla presunzione legale assoluta di pericolosità sociale posta a carico dei condannati non collaboranti. La decisione della Corte Costituzionale non riguarda, pertanto, le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile (tenute espressamente al di fuori dell’oggetto del giudizio) che non solo restano vigenti ma che continuano ad avere una portata precettiva concreta, sia in ragione della diversità parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosità (profilo strettamente normativo), sia in ragione di una percepibile differenza ontologica, posto che l’accertamento in positivo della impossibilità o inesigibilità della collaborazione consente di qualificare in termini univoci (e non connotati da alcun minimo disvalore) la scelta del detenuto di non fornire informazioni alla autorità giudiziaria”.

Orbene, delineati i tratti essenziali che connotano questa pronuncia della Consulta, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano che, in tema di collaborazione impossibile o inesigibile,
in presenza di simile accertamento positivo (spettante ex lege al Tribunale), la scelta di non prestare collaborazione assume un significato del tutto neutro il che, nella logica proposta dalla Corte Costituzionale, consente di circoscrivere la dimostrazione probatoria al parametro della “esclusione di attualità dei collegamenti” mentre, laddove vi sia l’opzione del silenzio (con richiesta di accesso al beneficio basata in via esclusiva sulla assenza di attuale pericolosità), la dimostrazione probatoria è invece più complessa ed include il parametro aggiuntivo (sia pure di problematica aderenza a canoni epistemologici basati sulla materialità dell’oggetto della prova) dell’assenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti.

Detto questo, per i giudici di piazza Cavour, si pone, a questo punto della disamina, il problema di comprendere in che misura il novum normativo possa incidere sulle opzioni definitorie della fase di legittimità.

Veniva a tal riguardo fatto presente che, ove si discuta dell’accesso al permesso premio – con diniego confermato dal Tribunale prima della sentenza dichiarativa di incostituzionalità – il procedimento, secondo la Cassazione, va rimesso alla fase del merito (innanzi al Tribunale e previo annullamento con rinvio) in ragione del fatto che il novum portato dalla decisione numero 253 del 2019 introduce una opzione decisoria aggiuntiva che il reclamante può chiedere di attivare (causa petendi nuova, per definizione non proponibile in precedenza, di accesso al beneficio richiesto, in rapporto al diverso assetto sinora evidenziato ed alla eliminazione della presunzione assoluta); in altre parole, pur tenendosi conto della natura devolutiva del reclamo, che comunque trasferisce l’intera potestà decisoria al Tribunale (v. Sez. I n. 5322 del 2018) su ogni aspetto rilevante, la sopravvenienza di un nuovo oggetto del giudizio di merito, correlato alla richiesta iniziale della parte (con necessaria verifica delle proposizioni probatorie richiamate dalla Corte Cost.), rende doverosa la riapertura della fase di merito anche in ragione della natura tendenzialmente retroattiva (salvo il limite delle situazioni esaurite) delle decisioni dichiarative dell’illegittimità costituzionale (tra le molte Sez. I n. 33080 del 2016).

All’opposto, dove, per converso, la pronunzia impugnata abbia riguardato il tema della perdurante pericolosità sociale, è per la Corte di legittimità evidente che il novum contenuto nella decisione n. 253/2019 è del tutto assente (atteso che pur tenendosi conto della elisione della presunzione legale assoluta l’accesso al beneficio sarebbe precluso) ed il ricorso per cassazione segue l’ordinaria regola di valutazione dei suoi contenuti.

Ebbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, se ne faceva conseguire come la decisione impugnata – che non aveva affrontato i tema della pericolosità in concreto – dovesse essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila e ciò al fine di consentire al reclamante di introdurre in sede di merito i temi divenuti proponibili a seguito della decisione n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega in che misura il novum normativo derivante dalla sentenza della Consulta n. 253 del 2019 possa incidere sulle opzioni definitorie della fase di legittimità.

Difatti, dopo essere stati illustrati i contenuti che connotano questa pronuncia della Corte costituzionale, viene affermato che, da un lato, ove si discuta dell’accesso al permesso premio, con diniego confermato dal Tribunale prima della sentenza dichiarativa di incostituzionalità, il procedimento va rimesso alla fase del merito (innanzi al Tribunale e previo annullamento con rinvio), dall’altro, invece, qualora la pronunzia impugnata abbia riguardato il tema della perdurante pericolosità sociale, è evidente che il novum contenuto nella decisione n. 253/2019 è del tutto assente (atteso che pur tenendosi conto della elisione della presunzione legale assoluta l’accesso al beneficio sarebbe precluso) ed il ricorso per cassazione segue l’ordinaria regola di valutazione dei suoi contenuti e dunque tale questione giuridica deve essere trattata in sede di legittimità ordinaria.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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