(Normativa di riferimento: C.p.p. artt. 107,108)
Il fatto
La Corte di Appello Milano confermava la sentenza di primo grado che, in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena complessiva di un anno e sei mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per il reato di cui agli articoli 73, comma 5 e 80, lett. g dpr 309/90 e 697 cod. pen..
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il suddetto provvedimento, proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo due motivi di ricorso, per violazione di legge penale processuale e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen.; in particolare, con il primo motivo, il ricorrente impugnava l’ordinanza con la quale la Corte di Appello aveva rigettato una richiesta di rinvio dell’udienza avanzata dall’imputato e dal difensore che era stato nominato contestualmente alla revoca del precedente e che non era materialmente presente alla udienza, così che era stato nominato un difensore di ufficio ex art. 97, comma 4 cod. proc. pen. che non aveva beneficiato del termine a difesa ex art. 108 cod. proc. pen. perché negato dalla Corte mentre, con il secondo motivo, il ricorrente aveva svolto considerazioni critiche in merito al mancato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche e all’applicazione della recidiva.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso (che assorbiva il secondo) alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come, nella udienza del 27/4/2018 davanti alla Corte di Appello, l’imputato avesse revocato il precedente difensore di fiducia Avv. L., presente in aula, e contestualmente avesse nominato un nuovo difensore di fiducia, l’ Avv. M., materialmente non presente alla udienza.
Tal che, verificatasi questa evenienza processuale, la Corte distrettuale procedeva alla nomina di un difensore di ufficio ex art. 97, comma 4 cod. proc. pen. individuando lo stesso nell’ Avv. R. e, a fronte di ciò, l’imputato aveva chiesto conseguentemente “un rinvio” mentre la Corte l’aveva negato e quindi la concessione del termine stesso con la motivazione che “l’imputato avrebbe potuto revocare tempestivamente il difensore“.
Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, la negazione da parte della Corte di Appello del termine a difesa doveva ritenersi illegittima e motivata con una considerazione sostanzialmente eccentrica rispetto all’assetto normativo esistente atteso che l’art. 108 cod. proc. pen., in uno con l’art. 107 cod. proc. pen., prevede che, in caso di revoca del difensore, la concessione del termine sia oggetto di un vero e proprio diritto del nuovo difensore, salva sempre la operatività effettiva della revoca, per quanto qui di diretta rilevanza, solo dopo il decorso del termine stesso.
Da ciò se ne faceva discendere la conclusione secondo la quale la concessione del termine richiesto sarebbe dovuto essere doverosa da parte della Corte che non poteva opporre, come invece aveva fatto, la necessità di una revoca tempestiva, come affermato da Cass. Sez. 2 12/3/2008 n. 15413, omissis, Rv 239644, a mente della quale il diritto alla concessione di un congruo termine per la difesa nei casi di rinuncia può essere esercitato anche quando detti fatti, e la conseguente nomina del nuovo difensore, si siano verificati nell’immediatezza della celebrazione del giudizio rilevandosi al contempo che, anche se fosse stato concesso il termine di cui all’art. 108 cod. proc. pen., il processo avrebbe potuto comunque proseguire durante la decorrenza di detto termine come previsto dall’art. 107, comma 3 cod. proc. pen. fermo restando però che il Giudice, in tale evenienza, può legittimamente compiere solo le attività processuali il cui svolgimento risulti in concreto compatibile con il decorso del predetto termine, essendo, invece, tenuto al differimento delle altre, in particolare della discussione e della pronuncia della sentenza conclusiva della fase (così: Cass. Sez. 5, 6/4/2016 n. 38239, omissis, Rv. 267787).
Invece, rilevavano i giudici di Piazza Cavour nella sentenza in commento, la Corte di Appello di Milano, non solo non aveva concesso un termine a difesa che era doveroso riconoscere al difensore di ufficio nominato ex art. 97, comma 4 cod. proc. pen. in luogo di quello fiduciario revocato ma aveva altresì proceduto, con il difensore ufficioso evidentemente all’oscuro della conoscenza dei fatti di causa, alla discussione e alla deliberazione della sentenza, in una situazione quindi di ingiustificata frustrazione della effettività del diritto di difesa.
Di talchè la sentenza impugnata veniva annullata e rinviata per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
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Conclusioni
La decisione in commento è sicuramente condivisibile in quanto rispettosa, nell’ambito di quanto previsto dal nostro ordinamento processuale penale, delle guarentigie necessarie affinché il diritto di difesa, riconosciuto dalla nostra Costituzione, come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, c. 2 Cost.), possa considerarsi realmente effettivo.
Infatti, non concedere un rinvio, affinché il difensore che subentrato a quello revocato possa adeguatamente studiare il fascicolo inerente la posizione del proprio assistito, al fine di svolgere attività difensive cruciali nell’interesse di questi, come è quella rappresentata dalla discussione, rappresenta evidentemente una situazione atta a vanificare l’effettività del diritto di difesa, e quindi un evento di tal fatta (qual è quello verificatosi nel caso di specie) non può che comportare una violazione di questo diritto che, come appena visto, è espressamente riconosciuto come inviolabile dalla nostra Legge fondamentale.
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