“Impugnazione di piani urbanistici e interesse a ricorrere: quali requisiti?” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, sentenza n. 1580 del 16.06.2014).

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Questa recente sentenza del tribunale amministrativo lombardo – che ha dichiarato inammissibili le impugnative proposte da alcune società avverso un piano particolareggiato per difetto di legittimazione e di interesse ad agire – sintetizza l’attuale e prevalente orientamento giurisprudenziale relativo al tema dell’impugnazione dei piani urbanistici, anche attuativi.

Per integrare il requisito della legittimazione e dell’interesse ad agire, ad avviso del Collegio, “non é sufficiente il mero requisito della “vicinitas” dell’area oggetto dell’intervento urbanistico, esigendosi anche (e soprattutto) “la prova concreta della specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica”.

Nella fattispecie di cui trattasi, ad esempio, la mera vicinanza geografica del terreno ad una discarica di rifiuti “non legittima per ciò solo ed automaticamente il proprietario frontista ad insorgere contro il provvedimento autorizzativo dell’opera, essendo necessaria, al riguardo, anche la prova del danno che egli da questa possa ricevere” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 27.4.2012, sentenza n. 2460). Secondo i giudici amministrativi, dunque, è assolutamente necessario che il soggetto interessato fornisca la prova non solo della vicinanza del proprio fondo a quello oggetto del piano, ma anche “dell’effettività del danno derivante dall’intervento urbanistico” (cfr. sul punto, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 24.10.2012, sentenza n. 2594; Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.4.2008, sentenza n. 1548; più recentemente, cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, sentenze nn. 85 del 11.1.2013 e 939 del 12.4.2013).

La sopracitata “vicinitas”, peraltro, è un requisito da valutarsi con estremo rigore: è necessario individuare uno “stabile collegamento fra il fondo della parte ricorrente e il territorio oggetto della trasformazioni urbanistiche contestate” (cfr., tra le più recenti, Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.4.2014, sentenza n. 1995), non potendo detto requisito trasformarsi, in sostanza, nel fattore legittimante “di una sorta di azione popolare di controllo del territorio e delle sue trasformazioni”.

Ciò in quanto un’eccessiva dilatazione del concetto di interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c., norma applicabile al processo amministrativo in virtù del c.d. “rinvio esterno” di cui all’art. 39, comma 1, del D.Lgs. n. 104 del 2010[1]), con specifico riferimento ai piani urbanistici, consentirebbe l’impugnativa anche a soggetti “titolari di un interesse di mero fatto” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenze nn. 4545 del 13.7.2010 e 8365 del 30.11.2010).

Il Consiglio di Stato, d’altronde (cfr. Sez. V, 13.11.2012, sentenza n. 5715), aveva già recentemente  intuito la delicatezza della tematica in esame, evidenziando come in seguito all’approvazione e all’esecuzione delle scelte urbanistiche occorre – ai fini della legittimazione e dell’interesse ad agire – che il ricorrente subisca “un pregiudizio certo e concreto in relazione ai molteplici aspetti e ai vari interessi costitutivi della sua sfera giuridica” (cfr., in tal senso, anche Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 6619 del 24 dicembre 2007).

Avv. Tramutoli Daniele

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