Illegittimo art. 629 c.p.: Manca previsione lieve entità del fatto

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale: vediamo come
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 629)
Per approfondire: La Riforma Cartabia del sistema sanzionatorio penale

Corte costituzionale -sentenza n. 120 del 24-05-2023

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1. Il fatto


Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare su un’imputazione di estorsione, reato che sarebbe stato consumato in danno di una minore d’età, la quale, perduto il possesso del telefono cellulare in conseguenza di un furto patito durante i festeggiamenti notturni del capodanno del 2022, lo aveva riacquistato solo dietro il pagamento della somma di quaranta euro, preteso dall’imputato quale condizione per la restituzione dell’oggetto.
Ciò posto, dal canto suo pure il Tribunale ordinario di Roma, doveva giudicare su un’imputazione di estorsione, aggravata dalla commissione da parte di più persone riunite, reato che sarebbe stato consumato da due autori, entrambi recidivi, i quali, dopo aver sottratto le chiavi dal blocchetto di accensione di un motociclo, avrebbero preteso e ottenuto dal proprietario la dazione di cento euro quale condizione per la restituzione del bene.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione


Orbene, ad avviso del Tribunale fiorentino, il fatto estorsivo sarebbe stato di lieve entità, atteso il carattere estemporaneo della condotta, l’esiguità del danno patrimoniale e del profitto, nonché la scarsa incidenza della minaccia, limitatasi alla prospettazione del mancato recupero del bene, ma considerata la severità del minimo edittale della pena detentiva per il reato di estorsione, la sanzione da irrogare in concreto, a suo avviso, sarebbe risultata irragionevole e sproporzionata, nonostante l’eventuale riduzione per l’attenuante comune della speciale tenuità, di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen..
Quest’organo giudicante, pertanto, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente i due terzi quando il fatto risulti di lieve entità», e, in via subordinata, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando il fatto risulti di lieve entità».
In particolare, il giudice a quo addiveniva a siffatta conclusione, oltre per la ragione appena richiamata, anche perché l’omessa previsione nell’art. 629 cod. pen. di una specifica attenuante per lieve entità violerebbe l’art. 3 Cost., sia per l’irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, sia in comparazione con altre ipotesi delittuose.
Più nel dettaglio, l’attestarsi del minimo edittale per il delitto di estorsione alla soglia dei cinque anni di reclusione sarebbe di per sé irragionevole, in quanto riferibile anche a fatti connotati – soprattutto per la natura solo patrimoniale della minaccia – da «una gravità modesta, se non addirittura bagatellare», fermo restando che, sul piano comparativo, il rimettente insisteva sulla diminuzione di pena fino a due terzi prevista dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. per la violenza sessuale di minore gravità.
A suo avviso, in effetti, si avrebbe il paradosso per cui, nel caso di specie, considerato il minimo edittale di sei anni di reclusione per la violenza sessuale, «se in funzione della restituzione del telefono l’imputato avesse preteso e ottenuto un atto sessuale, si sarebbe potuta applicare – qualora il fatto fosse risultato di minore gravità – la pena di anni due di reclusione», cioè una pena assai inferiore al minimo edittale del reato di estorsione, pur ridotto di un terzo ai sensi dell’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen.
Ciò posto, altri tertia comparationis erano individuati nei reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale e di violenza o minaccia per costringere a commettere reato, rispettivamente puniti dagli artt. 336 e 611 cod. pen. con un massimo edittale pari al minimo dell’estorsione, nonostante l’analogia strutturale delle fattispecie tipiche.
A parere del giudice a quo, invero, la mancata previsione di un’ipotesi attenuata di estorsione di lieve entità violerebbe altresì la finalità rieducativa della pena, enunciata dall’art. 27, terzo comma, Cost. atteso che, «ogniqualvolta il fatto estorsivo abbia una gravità contenuta», una pena resa sproporzionata dall’assenza di una previsione moderatrice «sarà avvertita inevitabilmente dal condannato come ingiusta».
Il rimettente chiedeva quindi, a questo punto della disamina, che, utilizzando la tecnica del “ritaglio”, all’interno della censurata norma incriminatrice, la Corte costituzionale enucleasse una fattispecie attenuata di lieve entità, come nella sentenza n. 68 del 2012 relativa al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, e come del resto previsto dalla legge per altri reati contro il patrimonio, segnatamente la ricettazione attenuata di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., e anche per delitti contro la persona, quale appunto la violenza sessuale di minore gravità di cui all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. fermo restando che, proprio in quest’ultima disposizione, il rimettente indicava la grandezza predata per la richiesta pronuncia additiva, che avrebbe quindi dovuto consentire al giudice di diminuire la pena fino a due terzi quando il fatto estorsivo risulti di lieve entità.
In subordine, lo stesso rimettente chiedeva che per tale ipotesi fosse introdotta un’attenuante ad effetto comune, tale da permettere la riduzione della pena fino a un terzo, secondo la regola prevista dall’art. 65 cod. pen. e sul modello della citata sentenza n. 68 del 2012.
Detto questo, anche il Tribunale ordinario di Roma (reg. ord. n. 126 del 2022), richiamando la pacifica natura estorsiva della fattispecie concreta, designata nella prassi giurisprudenziale con l’immagine del “cavallo di ritorno”, poiché l’autore del furto estorce alla persona offesa una somma di danaro quale prezzo della refurtiva, osservava che la pena detentiva minima applicabile a entrambi gli imputati sarebbe pari a otto anni e quattro mesi di reclusione.
Determinata in applicazione del criterio di concorso tra aggravanti di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen., quindi facendo prevalere sull’aggravante della pluralità di persone riunite ex artt. 629, secondo comma, e 628, terzo comma, numero 1), cod. pen. l’aggravante della recidiva reiterata, specifica per un imputato e infraquinquennale per l’altro, la predetta misura sanzionatoria appariva a tale Tribunale irragionevole e sproporzionata, attesa l’estemporaneità dell’azione delittuosa nonché l’esiguità del danno e del profitto.
Di conseguenza, pure siffatto organo giudicante sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 629, primo e secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non preved[e] una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»,  in riferimento agli stessi parametri prospettati dal Tribunale fiorentino, fermo restando che, in tale occasione, però, erano sviluppati argomenti simili, con l’evocazione aggiuntiva del parametro di cui al primo comma dell’art. 27 Cost., sotto il profilo del canone di personalità della responsabilità penale, che il rimettente assume violato dall’ostacolo normativo all’individualizzazione della sanzione.
Il Tribunale di Roma, tuttavia, non formulava istanze subordinate, ma chiedeva unicamente che il trattamento sanzionatorio del reato di estorsione fosse ricondotto a legittimità costituzionale tramite una diminuente ad effetto comune, la medesima già introdotta nella disciplina del sequestro di persona a scopo di estorsione dalla menzionata sentenza n. 68 del 2012.


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3. La soluzione adottata dalla Consulta


Il Giudice delle leggi reputava fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Roma e, in via subordinata, dal Tribunale di Firenze.
Si osservava a tal proposito prima di tutto che, in base al primo comma dell’art. 629 cod. pen., l’estorsione è, nella forma semplice, la condotta di «[c]hiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno», evidenziandosi al contempo che, a fronte di questa tipizzazione legislativa, rimasta inalterata dall’entrata in vigore del codice, il trattamento sanzionatorio del titolo di reato ha registrato un progressivo inasprimento, che ha interessato sia la pena detentiva, sia la concorrente multa, anche con riguardo all’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma dello stesso art. 629.
Uno snodo cruciale di tale percorso – anche per la diretta incidenza sulle odierne questioni – andava quindi identificato, per la Corte, nell’innalzamento del minimo edittale della pena detentiva per l’estorsione semplice da tre a cinque anni, operato dall’art. 8 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419 (Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172, dato che siffatto incremento del minimo edittale ha determinato una sostanziale impossibilità per l’autore del reato di estorsione di accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena, ove pure il fatto-reato sia in concreto, non soltanto esente da circostanze aggravanti, ma finanche connotato dalla speciale tenuità del danno patrimoniale e del lucro.
Orbene, a fronte di ciò, i giudici di legittimità costituzionale osservavano inoltre che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di tale innalzamento di pena, al metro degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., la medesima Consulta dichiarò le questioni manifestamente infondate, con un argomento in linea con le finalità emergenziali del d.l. n. 419 del 1991, come convertito, rilevandosi in quella occasione che detto inasprimento, «come emerge dalla Relazione accompagnatrice del disegno di legge di conversione del decreto, appare comunque giustificato dalla esigenza di evitare che possano essere irrogate pene che, con il concorso delle circostanze attenuanti, si mantengano nei limiti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, a causa della difficile individuazione in concreto dell’aggravante di far parte di un’associazione di stampo mafioso» (ordinanza n. 368 del 1995, sostanzialmente confermata dall’ordinanza n. 460 del 1997).
Pur tuttavia, per il Giudice delle leggi, riguardando specificamente l’entità del minimo edittale, questo precedente non pregiudicava le questioni in esame che concernevano il diverso profilo dell’inesistenza di un’attenuante di lieve entità e, quindi, maggiore attinenza ha la sentenza n. 68 del 2012, sull’attenuante di lieve entità nel sequestro di persona a scopo di estorsione, cui infatti gli odierni rimettenti affidano larga parte delle loro tesi.
In effetti, con la sentenza appena indicata, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità.
Come il reato di estorsione, anche quello di sequestro di persona a scopo di estorsione, previsto dall’art. 630 cod. pen., ha conosciuto un progressivo inasprimento del trattamento sanzionatorio, sebbene ovviamente in una diversa, e più elevata, scala di grandezza.
Ebbene, notavano i giudici di legittimità costituzionale nelle decisione qui in esame, le tappe e le ragioni di questo percorso di aggravamento sono illustrate nella medesima sentenza n. 68 del 2012, che ricostruisce gli interventi normativi, sviluppatisi «con i tratti tipici della legislazione “emergenziale”», i quali, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, hanno inteso contrastare, anche mediante forti inasprimenti sanzionatori, lo «straordinario, inquietante incremento, in quel periodo, dei sequestri di persona a scopo estorsivo, operati da pericolose organizzazioni criminali, con efferate modalità esecutive (privazione pressoché totale della libertà di movimento della vittima, sequestri protratti per lunghissimi tempi, invio di parti anatomiche del sequestrato ai familiari come mezzo di pressione) e richieste di riscatti elevatissimi, al cui pagamento spesso non seguiva la liberazione del sequestrato, che trovava invece la morte in conseguenza del fatto».
Ebbene, atteso che la fattispecie descritta dall’art. 630 cod. pen. è capace di includere «anche episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa, la Consulta ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nei termini sopra ricordati, sulla scorta del tertium comparationis della diminuente della «lieve entità del fatto», prevista dall’art. 311 cod. pen. per i delitti contro la personalità dello Stato, tra i quali il sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione, punito dall’art. 289-bis cod. pen. dal momento che, rilevato che il sequestro terroristico o eversivo offende l’ordine costituzionale, quindi un bene superiore al patrimonio viceversa colpito dal sequestro estorsivo, i giudici di legittimità costituzionale hanno ritenuto manifestamente irrazionale – e dunque lesiva dell’art. 3 Cost. – la mancata previsione, in rapporto al sequestro di persona a scopo di estorsione, di una attenuante per i fatti di lieve entità, analoga a quella applicabile alla fattispecie “gemella” che, ceteris paribus, aggredisce l’interesse di rango più elevato,
tenuto conto altresì del fatto che la sentenza de qua ha inoltre ritenuto sussistente la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., nella prospettiva della proporzionalità della pena come premessa della finalità rieducativa, «tanto più ove si consideri la particolare funzione assolta da detta attenuante, rientrante nel novero delle circostanze cosiddette indefinite o discrezionali (non avendo il legislatore meglio precisato il concetto di “lievità” del fatto): funzione che consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entità del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale».
Ciò posto, il Giudice delle leggi osservava oltre tutto come un analogo iter argomentativo sia stato seguito più di recente dalla sentenza n. 244 del 2022, relativa al cosiddetto sabotaggio militare, con la quale sempre la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 167, primo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevedeva che la pena fosse diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risultasse, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità.
Il minimo edittale di otto anni di reclusione, stabilito dalla richiamata norma per ogni fattispecie di sabotaggio, anche solo temporaneo, è parso invero alla Consulta atto a determinare una situazione «in larga misura corrispondente a quella oggetto della pronuncia con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen.», per l’assenza di una «valvola di sicurezza» a fronte di una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza, fermo restando che l’irrazionalità della carenza normativa è emersa anche dalla comparazione con la parallela figura delittuosa del sabotaggio comune, che l’art. 253 cod. pen. sanziona con uguale asprezza, alla quale risulta tuttavia applicabile l’attenuante della lieve entità di cui all’art. 311 cod. pen..
In effetti, pur ritenendo impraticabile un’estensione di tale attenuante dal sabotaggio comune al sabotaggio militare, il Giudice delle leggi ha osservato che «[l]’indisponibilità di un’analoga valvola di sicurezza nel sistema penale militare comporta, invece, che anche rispetto a condotte del militare che non provochino alcun disservizio significativo, il tribunale militare sia vincolato ad applicare la pena della reclusione non inferiore a otto anni», trattamento sanzionatorio che può risultare, anche per il militare in servizio, «manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla sua necessaria funzione rieducativa».
Orbene, riferite tali considerazioni alle questioni odierne, per la Corte di legittimità costituzionale, non poteva che riscontrarsi un vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena, visto che la mancata previsione di una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza.
Del resto, tenuto conto che il reato di estorsione ha sperimentato un rigido aggravamento del trattamento sanzionatorio in funzione del contrasto ad un mezzo operativo tipico della criminalità organizzata, per la Consulta, può per esso ripetersi quanto la più volte citata sentenza n. 68 del 2012 ha osservato a proposito del sequestro estorsivo, esso pure interessato, per analoghe ragioni, da un inasprimento della pena, sebbene su un differente ordine di grandezza.
In altri termini, deve cioè constatarsi che, al pari dell’art. 630 cod. pen., anche l’art. 629 del medesimo codice è capace di includere nel proprio ambito applicativo «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa.
Ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, l’affinità tra l’estorsione e il sequestro di persona a scopo di estorsione, che dunque non emerge soltanto dalla parziale coincidenza dell’oggettività giuridica, ma anche dal parallelismo evolutivo dei rispettivi trattamenti sanzionatori, imponeva di estendere all’un titolo di reato la medesima «valvola di sicurezza» introdotta per l’altro dalla sentenza n. 68 del 2012.
Invero, sebbene il Tribunale di Firenze, con la locuzione «quando il fatto risulti di lieve entità», sembrasse esporre un petitum meno definito rispetto a quello del Tribunale di Roma, per la Consulta, è tuttavia da ritenere, dato il comune richiamo alla sentenza n. 68 del 2012, che entrambi i rimettenti intendevano riferirsi all’attenuante introdotta da tale sentenza la quale ha riscontro nell’art. 311 cod. pen. («quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»).
Ebbene, per il Giudice delle leggi, a fronte di ciò, gli indici dell’attenuante di lieve entità del sequestro estorsivo, individuati dalla giurisprudenza di legittimità nell’estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 febbraio-20 aprile 2017, n. 18981), risultano coerenti con la fisionomia oggettiva del delitto di estorsione, nonché sono in grado di garantire che la riduzione della pena – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona.
Tutto ciò considerato, era dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., assorbita la censura di cui al primo comma dello stesso art. 27 – nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

4. Conclusioni


Con la pronuncia in esame, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Di conseguenza, per effetto di questa pronuncia, sarà adesso chiedere una diminuente di pena, nella misura non eccedente un terzo (si tratta quindi di una attenuante ad effetto comune), allorché, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità (i cui indici, da cui potere desumere ciò, sono individuati dalla giurisprudenza di legittimità nell’estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi).
Ciò posto, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesto provvedimento, poiché tende a garantire una pena, per questo reato, proporzionale al fatto commesso, ove esso sia di lieve entità, attraverso l’introduzione di una sorta di «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, non può che essere che positivo.

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