Gli effetti della recidiva sulla prescrizione del reato

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La prescrizione del reato è annoverata tra le cause di estinzione del reato. Più precisamente la legge, con tale istituto, dà rilievo al venir meno dell’interesse pubblico alla repressione dei reati quando dalla commissione del reato sia decorso un tempo proporzionato desunto dalla pena edittale prevista per il reato contestato.
La recidiva, invece, è prevista nel nostro ordinamento quale circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole.
Due sono i requisiti necessari per contestare la recidiva: il primo elemento è rappresentato dalla commissione di un delitto non colposo dopo che il soggetto è stato condannato con sentenza definitiva per un precedente delitto non colposo; il secondo elemento afferisce alla maggiore colpevolezza e alla accentuata capacità a delinquere del nuovo delitto.  

Indice

1. La prescrizione del reato

Il primo comma dell’articolo 157 c.p. stabilisce che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria[1].
A tale comma segue il principio secondo cui per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante[2].

2. Gli effetti della sospensione e della interruzione

Come noto, l’articolo 159 del codice penale stabilisce che il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre ad altri casi espressamente previsti dal suddetto articolo[3]. A ciò si aggiunga che l’articolo 160 c.p. prevede una serie di atti che concorrono a interrompere il corso della prescrizione[4].
L’articolo 161 c.p. prevede che, salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà per i reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis e 640 bis, nonché nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105[5].

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3. Il contrasto giurisprudenziale

Attraverso il coordinamento degli articoli 157 e 161 c.p., è possibile rilevare il doppio aumento del termine prescrizionale nel caso in cui all’imputato venga contestata la recidiva prevista dall’articolo 99, secondo e quarto comma, del codice penale. Il primo aumento è previsto dall’articolo 157 c.p. e il secondo dall’articolo 161 c.p.
Sul punto si sono formati due contrapposti indirizzi giurisprudenziali che hanno generato nel corso degli anni sentenze totalmente difformi.
Il primo indirizzo ammette il doppio aumento del termine prescrizionale dovendosi escludere che ciò comporti una violazione del principio del ne bis in idem o dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della Cedu[6].
A corroborare tale principio soccorre una ulteriore pronuncia della Suprema Corte di Cassazione secondo cui <<la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul computo del termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 157, comma secondo, cod. pen., sia sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’articolo 161, comma secondo, cod. pen.>>.
La Suprema Corte con la sentenza in commento ha chiarito che una diversa interpretazione rimetterebbe al giudice la scelta della rilevanza da attribuire alla recidiva qualificata caso per caso, contraddicendo il principio costituzionale di tassatività[7].
Il secondo indirizzo giurisprudenziale afferma, invece, che in tema di prescrizione è possibile tener conto della recidiva al fine dell’individuazione del termine prescrizionale-base, ai sensi dell’articolo 157, comma 2, c.p. o del termine massimo, ai sensi dell’articolo 161, comma 2, c.p., ma non contemporaneamente, altrimenti si pone a carico del reo due volte lo stesso elemento (dunque l’aumento del termine), in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale[8]. 

4. Conclusione

Sebbene entrambi gli indirizzi giurisprudenziali proposti dalle varie Sezioni della Suprema Corte appaiono trovare una loro ratio normativa, gli stessi non possono assolutamente continuare a coesistere poiché germinano epiloghi diversi in casi simili.
Proprio al fine di pervenire ad una interpretazione uniforme che possa orientare i Giudici, sarebbe auspicabile un intervento delle Sezioni Unite per dirimere definitivamente la vexata quaestio.   

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  1. [1]

    Articolo 157, comma 1, codice penale.

  2. [2]

    Articolo 157, comma 2, codice penale.

  3. [3]

    Articolo 159 codice penale.

  4. [4]

    Articolo160 codice penale.

  5. [5]

    Articolo 161, secondo comma, codice penale.

  6. [6]

    Cass., pen., sez. VI, 16/48954; Cass., pen., sez. V, 18/32679.

  7. [7]

    Cass., pen., sez. II, 18/57755.

  8. [8]

    Cass., pen., sez. VI, 15/47269.

Avv. Fabio Montalto

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