Il Valore Probatorio Della Documentazione Irritualmente Acquisita Alla Luce Delle Recenti Pronunce Della Corte Di Cassazione

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Primo corso pratico sul processo tributario

Corso ipsoa svolto a Lecce

 

INDICE

PREMESSA

  1. IL CONTESTO NORMATIVO

  2. LA POSIZIONE DELLA DOTTRINA

  1. DOTTRINA CONTRARIA ALL’UTILIZZO DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

  2. DOTTRINA FAVOREVOLE ALL’UTILIZZO (TOTALE O PARZIALE) DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

  1. LE CIRCOLARI MINISTERIALI

  2. L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE

  1. ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE CONTRARIO ALL’UTILIZZO DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

  2. ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE FAVOREVOLE ALL’UTILIZZO DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

  1. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

PREMESSA

Il D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 introduce le disposizioni sul processo tributario, in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge n° 413/91.

L’inadeguatezza a regolamentare l’intera materia attribuita alla competenza della giurisdizione tributaria è testimoniata dalle pronunce della Suprema Corte, che con sentenze di portata estremamente innovativa, hanno consentito di arginare la lacunosità dell’assetto normativo.

La fase istruttoria, ad esempio, è secondo autorevole dottrina la parte più importante del processo tributario, perché è il momento in cui si supporta la validità delle proprie richieste e/o eccezioni con idonea documentazione.

Ciò nonostante, il D.Lgs. n. 546/1992 non enuncia una definizione di mezzi probatori utilizzabili, rischiando di compromettere la tutela giurisdizionale del contribuente, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria dovesse produrre delle prove illegittime, ossia delle prove che, pur rilevanti ai fini del perfezionamento della pretesa tributaria, siano state tuttavia acquisite con modalità irrituali, ossia contra legem.

La tutela giurisdizionale del contribuente assume peraltro rilevanza non solo con riferimento alla fase per così dire finale del procedimento di formazione dell’atto impositivo (impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992) ma anche e soprattutto nella delicata fase “istruttoria”, che precede l’esercizio vero e proprio della potestà impositiva, ed i cui vizi possono essere denunciati solo attraverso il ricorso contro il successivo atto autonomamente impugnabile, realizzando di fatto una difesa differita.

L’accertamento della illegittimità istruttoria è certamente uno dei temi più dibattuti in diritto tributario, mancando una norma che, analogamente a quanto avviene nel campo penale, disciplini la fattispecie della invalidità degli atti compiuti dall’Amministrazione Finanziaria.

Una recente sentenza della giurisprudenza di legittimità1, affermando il principio della piena utilizzabilità nel processo tributario di informazioni acquisite in sede penale, anche in assenza dell’autorizzazione prevista dall’articolo 63, secondo comma del D.P.R. n. 633/72, offre l’occasione per approfondire la problematica del valore probatorio nel processo tributario della documentazione irritualmente acquisita, esaminando il contesto normativo di riferimento, la posizione della dottrina ed i principi espressi dalla Suprema Corte.

 

  1. IL CONTESTO NORMATIVO

Il procedimento tributario, così come delineato dalla normativa vigente, non contiene una espressa regolamentazione del sistema probatorio, né tanto meno una previsione di quali siano o possano essere i mezzi di prova utilizzabili, lasciando intravedere la possibilità di avvalersi di qualunque informazione sia in possesso dell’Amministrazione Finanziaria.

Né d’altronde sono di aiuto le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633/1972 e nel D.P.R. n. 600/1973 che, regolamentando l’accertamento in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sui redditi, e le modalità di esercizio dei poteri a tal fine attribuiti agli uffici, non hanno previsto le conseguenze che deriverebbero dalla inosservanza delle regole ivi stabilite, in termini di validità dell’atto di accertamento successivamente emesso sulla scorta dell’attività istruttoria, viziata ab origine in quanto espletata contra legem.

La mancanza nel diritto tributario di una disposizione che espressamente preveda e regolamenti la fattispecie della “prova illegittima”, presta il fianco a diverse e spesso contrastanti posizioni della dottrina e della giurisprudenza sugli effetti prodotti sul processo tributario dall’utilizzazione, ai fini dell’accertamento, di elementi probatori acquisiti irritualmente.

In materia penale la fattispecie è per contro espressamente contemplata dall’articolo 191 del c.p.p. che, mutuando il concetto di “inutilizzabilità” già presente nel codice di procedura penale del 1930 abrogato, al primo comma dispone l’impossibilità di utilizzare le prove “ ….. acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge…. “.

In materia civile manca invece una regola analoga, essendo rimesso al giudice il potere discrezionale di valutare l’ammissibilità delle prove, salvo che disposizioni speciali prevedano diversamente: l’inutilizzabilità non è pertanto un’automatica conseguenza dell’assunzione di una prova operata in violazione della legge.

 

  1. LA POSIZIONE DELLA DOTTRINA

La dottrina, in varie occasioni, ha affrontato il problema delle conseguenze che possono derivare da una condotta dell’Amministrazione Finanziaria non conforme al dettato legislativo, attesa la mancanza di una norma che disciplini la materia, al pari della giurisdizione penale.

Il vuoto normativo e la necessità di contemperare due interessi contrapposti, di assicurare cioè il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, ed al tempo stesso di non limitare a priori l’attività dell’Amministrazione finanziaria, anch’essa costituzionalmente tutelata ( 1° comma dell’art. 53 della Costituzione), ha portato alla elaborazione di interpretazioni contrastanti.

Una prima corrente di pensiero, sostanzialmente conforme all’orientamento giurisprudenziale espresso sino al 2001, mutuando il principio di illegittimità derivata presente nel diritto amministrativo, ha sostenuto l’inidoneità degli elementi probatori comprovanti situazioni evasive o comunque irregolari a fondare legittimamente una pretesa tributaria, ove acquisiti nell’inosservanza delle regole dettate dal legislatore.

Pur con le critiche formulate da alcuni Autori all’attuato richiamo all’illegittimità derivata in ambito tributario2, l’orientamento “garantista” dei diritti del contribuente sostiene la tesi, sia pur unitamente ad altre argomentazioni, partendo dall’assunto che ove non vi fossero effetti sulla legittimità dell’accertamento, una disposizione di legge finalizzata alla regolamentazione delle modalità di esercizio da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei poteri di controllo rimarrebbe di fatto priva di senso.

Il secondo filone, confortato da un mutamento di orientamento giurisprudenziale, appare invece consolidato sul riconoscere la piena utilizzabilità dei mezzi di prova irritualmente acquisiti, attesa la mancanza di una norma che espressamente ne preveda l’inutilizzo, come invece sancito nel codice di procedura penale con l’articolo 191.

Un terzo indirizzo interpretativo, invece, sostiene l’utilizzabilità per così dire parziale dei mezzi probatori irritualmente acquisiti ai fini dell’accertamento, ove questo risulti comunque giustificato da altre informazioni legittimamente reperite.

A ) Dottrina contraria all’utilizzo della documentazione probatoria irritualmente acquisita

L’orientamento contrario all’utilizzo dei mezzi probatori irritualmente acquisiti parte dall’assunto che le norme procedurali stabilite dal legislatore in ambito tributario abbiano lo scopo di regolamentare quelle attività che potrebbero comportare significative limitazioni a diritti della persona garantiti in sede costituzionale, quali il diritto all’inviolabilità della persona (art. 13 Costituzione), del domicilio (art. 14 Costituzione), alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza (art. 15 Costituzione) e il diritto di difesa (art. 24 Costituzione) .

Secondo alcuni Autori, l’assenza nell’ordinamento tributario di una norma che espressamente sancisca l’inutilizzabilità delle prove acquisite contra legem, non può in sostanza legittimare l’ammissione di prove conseguite per effetto di comportamenti che integrino gli estremi di una violazione di legge o di un eccesso di potere. “Simili comportamenti non possono sfuggire al sindacato giurisdizionale tributario, il quale – investendo i profili di validità del provvedimento impugnato – non può mancare di rilevare i vizi istruttori incidenti sulla formazione dello stesso provvedimento3”. La conseguente inutilizzabilità ai fini dell’accertamento degli elementi acquisiti con modalità illecite o illegittime risponde, quindi, ad una logica imposta dall’applicazione dei criteri di legalità, imparzialità e buon andamento .

Altri Autori4 partono dall’assunto che le disposizioni procedurali siano state dettate dal legislatore al fine di regolamentare tutte le fasi dell’attività ispettiva, potenzialmente idonee a comportare una limitazione a diritti costituzionalmente garantiti. Il rigoroso rispetto di tali disposizioni assurge pertanto a requisito essenziale affinché alle prove raccolte in esito all’esercizio dei poteri de quo possa essere conferita la rilevanza prevista dalla legge. Detta interpretazione, secondo questi Autori, non sarebbe peraltro in contrasto con la formulazione adottata dal legislatore nella stesura dell’articolo 39, 2° comma, del D.P.R. n. 600/1973, in quanto da intendersi riferita all’ampiezza dei poteri istruttori, e non anche quale implicita deroga al principio di legittimità nell’acquisizione.

Questo orientamento è stato confermato da prevalente dottrina che, richiamando il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità con sentenza n. 16424/2002, ha individuato nella regola generale della “invalidità derivata” degli atti di un procedimento amministrativo, la legittimazione al principio di inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite.

L’atto quindi è inutilizzabile e, in quanto atto finale di un procedimento amministrativo, soggiace al principio generale secondo il quale i vizi di atti prodromici di un procedimento, non autonomamente impugnabili, si traducono in vizi dell’atto finale che, conseguentemente, deve essere annullato.

La dichiarazione di “inutilizzabilità”dei risultati acquisiti in modo irrituale consente non già di ristabilire l’equilibrio giuridico violato dall’atto illegittimo, ma piuttosto quello di impedire che i risultati acquisiti in violazione delle norme”…….. possano essere utilizzati contro il contribuente, che è pure il soggetto leso”5.

B ) Dottrina favorevole all’utilizzo (totale o parziale) della documentazione probatoria irritualmente acquisita

L’orientamento volto a riconoscere l’applicazione nel processo tributario del principio della piena utilizzabilità dei mezzi probatori acquisiti in maniera irrituale, privilegia invece l’aspetto sostanziale dell’indagine, in assenza di una disposizione di legge che espressamente disponga in senso contrario.

Si è affermato al riguardo che la formulazione legislativa adottata nella stesura degli artt. 39, comma 2 41, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 55 comma 1 del D.P.R. n. 633/1972, sia da intendersi quale implicita autorizzazione all’utilizzo di elementi “comunque” acquisiti, e quindi anche all’esercizio di attività istruttorie attuato con modalità diverse da quelle indicate negli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972 .

Sulla scia degli orientamenti giurisprudenziali, la dottrina si è in realtà consolidata su posizioni “intermedie”, ammettendo l’applicazione del principio di inutilizzabilità della prova subordinatamente alla verifica della sussistenza di ulteriori condizioni, diverse dal mancato rispetto delle sole norme procedimentali stabilite dal legislatore.

In particolare è stata ristretta l’area applicativa del principio di inutilizzabilità alla violazione di posizioni di diritto soggettivo costituzionalmente garantite. Nel rispetto dell’orientamento della Suprema Corte6, il principio di inutilizzabilità, secondo alcuni Autori, troverebbe pertanto applicazione non solo nel caso in cui le prove fossero “oggettivamente vietate”, ma anche qualora fossero state acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli artt. 13,14 e 15, in cui la prescrizione di inviolabilità consente la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.7

Pertanto, secondo questo orientamento, il principio di invalidità dell’atto finale sarebbe da escludersi ogni qualvolta l’acquisizione probatoria fosse avvenuta nell’inosservanza di disposizioni di minore gravità che riguardino l’organizzazione degli uffici8, piuttosto che un interesse generale.

Altri Autori, infine, affermano un principio di parziale utilizzabilità del mezzo probatorio. Ove nel corso della medesima attività ispettiva fosse possibile discriminare tra risultati emersi nel corso di un accesso “ viziato” rispetto ad altre prove regolarmente acquisite, l’inutilizzabilità sarebbe limitata “soltanto alle prove acquisite illegittimamente e non anche alle altre lecitamente raccolte e poste a fondamento della pretesa impositiva oggetto di contenzioso. Sicché dovrà considerarsi ancora pienamente legittima l’attività istruttoria conseguente all’accesso regolarmente effettuato in altri luoghi appartenenti al medesimo contribuente e pur sempre basata su elementi probatori comunque lecitamente acquisti: in tal caso, qualora la portata ed il valore delle fonti di convincimento reperite in modo legittimo fossero sufficienti a motivare la pretesa impositiva, l’avviso di accertamento non dovrebbe essere ritenuto passibile di annullamento”9.

 

  1. LE CIRCOLARI MINISTERIALI

In materia di esercizio dei poteri istruttori, l’Amministrazione finanziaria ha emanato diverse circolari atte a fornire istruzioni operative da osservare nello svolgimento dei controlli più o meno invasivi della sfera personale del soggetto ispezionato, in quanto attuati mediante accessi, verifiche finanziarie ed utilizzo della documentazione acquisita in sede penale.

Con specifico riferimento alle indagini finanziarie, ad esempio, nella Circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006 emanata dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Accertamento, al capitolo quarto intitolato “garanzie a tutela del soggetto sottoposto a indagini”, si dà atto dell’importanza della fase istruttoria ai fini della eventuale emanazione del provvedimento di effettivo esercizio della pretesa tributaria e, richiamando quanto già disposto dalla circolare n. 116/E/III/5/109310, si conferma “ … ( omissis) .. il carattere discrezionale dell’autorizzazione, la sua funzione di valutazione preventiva e di legittimazione all’uso dello strumento istruttorio e di controllo del corretto uso dello stesso”. L’autorizzazione, secondo quanto precisato nelle citate istruzioni operative, “…(omissis).. quale atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assume rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua immediata impugnabilità, in quanto non immediatamente né certamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione giuridica del contribuente interessato, che non ha ancora subito o potrebbe addirittura non subire alcun atto impositivo ..(omissis)… Detta temporanea limitazione, anche nella previgente normativa, non attenuava il valore di garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito di indagini così penetranti, atteso che, quale atto amministrativo preparatorio, consente al contribuente di valutarne l’iter logico -giuridico, con la connessa documentazione …(omissis) … a conclusione dell’intero procedimento di formazione dell’atto di accertamento” .

Si afferma altresì che se la motivazione dell’atto in esame a supporto delle richieste di indagini bancarie e creditizie deriva da precise disposizioni di legge … (omissis) … interpretate anche in modo assolutamente garantista delle esigenze difensive del contribuente sottoposto a controllo”, l’obbligo che detta autorizzazione sia allegata alla richiesta appare invece superato dalla constatazione che, ove contenente espliciti riferimenti agli esiti dell’attività ispettiva in precedenza operata, potrebbe rivelarsi “ … (omissis) … inaffidabile sul piano della tutela dei diritti del soggetto verificato”.

Quanto invece all’utilizzo degli esiti delle indagini effettuate nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, nella citata circolare, al paragrafo 5.3, dopo un breve richiamo alle disposizioni legislative in materia, ed in particolare alla possibilità di utilizzo della documentazione in oggetto previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, si precisa che la valenza probatoria dei predetti documenti non sarebbe comunque compromessa dalla mancanza dell’atto autorizzativo, in considerazione delle pronunce espresse dalla corte di Cassazione.

La circolare n. 6/E del 6 febbraio 2007 emanata dall’Agenzia delle Entrate, Dir. Centrale Accertamento, in materia di accertamento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, al paragrafo 2.2, ribadisce la necessità che gli accessi in luoghi diversi da quelli indicati al primo comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 siano eseguiti solo previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, e solo in caso di gravi indizi di violazione della normativa di riferimento, mentre, per le indagini finanziarie, richiama l’autorizzazione prevista dall’art. 32, comma 1 numero 7) del D.P.R. n., 600/1973, la cui applicazione si estende anche ai controlli ai fini delle imposte richiamate in oggetto.

Stessi principi sono contenuti nella Circolare del Comando generale della guardia di finanzia n. 250400 del 17 agosto 2000, diramata all’indomani della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge n. 212 del 27 luglio 2000 di approvazione dello “Statuto dei diritti del contribuente”.

Richiamando le linee operative già contenute nella circolare 1/199811, ed in applicazione delle specifiche disposizioni statuite in materia di “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, si circoscrive la discrezionalità nell’esercizio dei poteri istruttori e, nel caso in specie, del potere di accesso della guardia di finanzia presso i locali destinati all’esercizio dell’attività di impresa, alle “effettive esigenze di indagine e di controllo sul luogo”, attraverso un’espressa previsione dei casi in cui ricorrano siffatte situazioni. Qualora detti requisiti dovessero difettare, si dispone che le finalità ispettive possano essere perseguite attraverso l’esercizio di altri poteri istruttori, che non comportino l’effettuazione di accessi.

Più in dettaglio, le richiamate istruzioni prevedono che “ L’individuazione dei confini concreti della condizione imposta dalla norma in esame è strettamente legata alla definizione della ratio legis, la quale deve essere individuata nella necessità di contemperare l’interesse del contribuente a non subire limitazioni del proprio diritto al normale esercizio dell’iniziativa economica, con l’interesse dell’Amministrazione Finanziaria di ricercare in modo efficace le prove di eventuali violazioni alla normativa fiscale che andrebbero altrimenti disperse, ovvero di procedere a rilevamenti fisici sul posto diversamente non eseguibili”

Quanto invece ai poteri attribuiti dall’art. 63, comma 1, prima parte, del D.P.R. n.1972/633 e dall’art. 33, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973, il richiamato documento precisa che già la circolare n. 1/360000 del 20 ottobre 1998 aveva subordinato l’utilizzo dei documenti, dati e notizie acquisiti alla preventiva autorizzazione, che assurge pertanto ad elemento di legittimazione dell’utilizzazione medesima, in relazione alle ragioni giustificative delle verifiche effettuate, da rinvenirsi “ … (omissis) .. nell’adempimento dei compiti istituzionali assegnati per l’accertamento dell’imposta e la repressione della violazione delle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie.

Si tratta infatti di poteri investigativi specifici che possono essere esercitati solo nei casi previsti dalla legge, sicché “.. (omissis).. ove l’atto ispettivo fosse adottato non allo scopo preminente di controllare l’osservanza degli obblighi dei contribuenti, bensì per motivi extrafiscali, non pertinenti, allora la verifica sarebbe illegittima perché viziata per “eccesso di potere”….(omissis) .. In questi casi, non sussistendo “le ragioni giustificative della verifica” il contribuente ha pieno titolo a pretendere il rispetto assoluto dei diritti individuali fondamentali, quali la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza”.

 

  1. L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE

La tutela dei contribuenti da attività istruttorie attuate contra legem è sempre stato un tema molto dibattuto anche a livello giurisprudenziale, in considerazione della rilevanza degli interessi costituzionalmente garantiti, e della necessità di mediare il diritto di difesa e ad un giusto processo con l’interesse ad una equa imposizione.

La Corte di Cassazione è intervenuta infatti in più occasioni a dirimere controversie sull’argomento, contribuendo a colmare il vuoto normativo con l’affermazione di principi di carattere generale, che hanno consentito di “codificare” i casi in cui le attività di indagine condotte in difformità alle disposizioni di legge comportino l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito irritualmente, a fondamento di una pretesa tributaria.

Non si può sottacere al riguardo che l’analisi storica delle pronunce espresse ha evidenziato un contrastante orientamento giurisprudenziale almeno sino al 2002, quando i Supremi giudici, a Sezioni unite, hanno confermato l’inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite, ove la violazione riguardi disposizioni di legge stabilite a tutela di interessi costituzionalmente garantiti.

A partire dalla predetta data poi, sia pur affrontando la diversa questione dell’utilizzabilità ai fini fiscali dei dati ottenuti irritualmente a seguito dell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, si fa strada un opposto indirizzo, di fatto recepito anche con le successive pronunce espresse su controversie riguardanti il problema della validità dei documenti acquisiti irritualmente nel corso di indagini finanziarie.

A ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE CONTRARIO ALL’UTILIZZO DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

L’orientamento della Corte di Cassazione è stato, in linea di massima, orientato a riconoscere l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito in violazione delle norme stabilite dal legislatore nel regolamentare l’attività ispettiva dell’Amministrazione Finanziaria, soprattutto qualora la predetta attività abbia comportato una violazione di posizioni giuridiche costituzionalmente garantite.

E’ il caso ad esempio del materiale probatorio acquisito durante una “ accesso domiciliare illegittimo12” o all’interno di un’autovettura privata di una dipendente della società verificata, in carenza della prescritta autorizzazione del procuratore della Repubblica13.

Le sentenze pronunciate sull’argomento hanno il pregio di fare il punto sulla portata effettiva delle disposizioni regolamentanti le attività degli uffici durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche (ex art. 52 del D.P.R. n. 633/1972), sulla natura giuridica della “necessaria autorizzazione” prevista, e sul ruolo che la predetta autorizzazione riveste in termini condizione necessaria e sufficiente a legittimare l’intera attività di accertamento.

Con la sentenza n. 11036 pronunciata dalla Sezione I e depositata in data 8 novembre 1997, la suprema Corte ha affermato l’illegittimità, e quindi l’annullamento, di un avviso di rettifica della dichiarazione Iva di una società, basato sulla documentazione contabile rinvenuta all’interno di un’autovettura di proprietà di una dipendente della società medesima, e acquisita durante un controllo da parte della Guardia di Finanza, senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. La Corte, dopo un richiamo ed un approfondito esame della disciplina contenuta nell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, evidenzia che “Una volta accertato invero che i documenti si trovavano al di fuori dell’ambito spaziale (locali destinati all’esercizio dell’impresa) entro cui sono consentite le attività di ricerca senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, (o all’occorrenza, dell’autorità giudiziaria più vicina), la mancanza di questa non appare certo superabile col porre l’accento sulla spontaneità dei vari comportamenti della dipendente F…. (omissis)..” . Conclude affermando che, “….(omissis)…. È innegabile che, in assenza della prescritta autorizzazione, la detentrice F. non potesse validamente acconsentire all’acquisizione, in quanto –fermo restando che la “spontaneità” denota un concetto più pregnante di quello della mera volontarietà dell’atto- non appare superabile il rilievo dell’indisponibilità giuridica della documentazione, da parte di lei, al di fuori dell’ambito dell’impresa e senza alcuna possibilità, ai fini dell’incidenza sull’accertamento di opporre un producente rifiuto”.

L’irrilevanza giuridica della mancata opposizione del contribuente all’attività del fisco, qualora illegittima, è riproposto nella sentenza n. 1036 , depositata in data 2 febbraio 1998, pronunciata dalla Sezione I, in cui la suprema Corte è stata chiamata a decidere su un caso analogo al precedente esaminato, e riguardante l’acquisizione da parte della Guardia di Finanza di documenti contenuti in una borsa posta all’interno di un’autovettura privata del contribuente. Nel dispositivo si legge che “… Dunque tutta la fase di ricerca ed acquisizione della borsa appare avvenuta senza né l’autorizzazione della Procura della Repubblica, né il consenso del sig. L. e, quindi, in violazione dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972; la conseguente nullità travolge la successiva acquisizione, anche se è sopravvenuto il consenso dell’interessato, in quanto la procedura irregolare non è stata interrotta attraverso la restituzione del plico e, quindi, si è trattato di un insieme di operazioni non scindibili”.

Dal confronto tra i due dispositivi appare evidente che mentre nella sentenza n. 11036/1997 è affermato il principio secondo il quale il consenso del contribuente non può mai sanare l’illegittimità di un accesso non autorizzato, attesa l’“indisponibilità giuridica” del bene per la cui acquisizione si esprimerebbe il consenso, la sentenza n. 1036/1998 sembra invece attribuire al consenso il valore di condizioni necessaria e sufficiente a regolarizzare una condotta irrituale.

Si legge infatti “ Sembra, quindi, che solo in un secondo momento l’apertura del plico sia avvenuta con il consenso del contribuente” . Siffatta formulazione lascia infatti intendere che il consenso dell’interessato avrebbe sanato l’illegittima acquisizione documentale, ove la procedura irregolare fosse stata interrotta dalla consegna del plico.

Il riferimento alla spontaneità della collaborazione del contribuente quale condizione necessaria e sufficiente a “sanare” un’acquisizione irrituale dei mezzi probatori, perde di rilevanza invece nella sentenza n. 7368 depositata in data 27 luglio 1998, pronunciata dalla Sezione I. Operando infatti un’inversione di tendenza, la suprema Corte, chiamata a decidere sulla legittimità di un accesso domiciliare eseguito senza la prescritta autorizzazione, ha affermato che non può valere il rilievo per cui il difetto di autorizzazione sarebbe stato sanato dalla consegna spontanea operata dal contribuente, in quanto l’accesso ai locali adibiti ad abitazione è illegittimo senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. La pronuncia ha il pregio altresì di confermare la natura amministrativa dell’avviso di accertamento o di rettifica o di irrogazione delle sanzioni, atto quindi che, al pari di ogni atto amministrativo, può essere “… affetto dal vizio che va sotto il nome di violazione di legge”, oltre che di “inutilizzabilità processuale”, ove acquisito in violazione di diritti costituzionalmente garantiti.

Nel caso in specie, la mancanza dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica fa venir meno la “… prevalenza dell’interesse fiscale, anch’esso costituzionalmente garantito dall’art. 53 della Costituzione, sul diritto del contribuente alla inviolabilità del proprio domicilio.. (omissis) .. Le attività compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio, non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazione delle sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito … (omissis)”.

La natura amministrativa dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica è ribadita nella sentenza n. 12050 pronunciata dalla Sezione I e depositata in data 27 novembre 1998.

Richiamate le precedenti pronunce n. 11036/1997 e 1036/1998 in riferimento alla portata della disposizione legislativa, la Suprema Corte rimarca la necessità che detta autorizzazione sia imprescindibilmente motivata, sebbene anche in maniera concisa, disponendo conseguentemente l’inutilizzabilità della documentazione acquisita a seguito di un accesso illegittimo.

Il principio di inutilizzabilità a sostegno di una pretesa tributaria dei documenti acquisiti a seguito di accessi in luoghi adibiti ad abitazione privata non o illegittimamente autorizzati è riproposto nella sentenza n. 15230, depositata in data 3 dicembre 2001, e pronunciata dalla Sezione tributaria della Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi su un caso di autorizzazione del procuratore della Repubblica non congruamente motivata, per effetto del riferimento all’esistenza di fonti confidenziali anonime denuncianti gravi indizi di violazione fiscali richiesti dal D.P.R. n. 633/1972. La suprema Corte, in quella sede, conferma la natura di atto amministrativo condizionante la legittimità dell’accertamento dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica (già espressa con sentenza n. 12050 del 27 novembre 1998 dalla Cassazione Civile, I Sez.) sindacabile in sede di contenzioso tributario. Ne consegue, al pari di ogni atto amministrativo, l’obbligo della motivazione “.. facendo riferimento ad indizi di violazione della norma tributaria che tale richiesta giustificano …” così che “ … l’assenza, l’abnormità, l’insufficienza e l’incongruenza della motivazione addotta per supportarlo, consequenzialmente, si riflettono, escludendola, sulla legittimità dell’atto in argomento e comportano, perciò, il potere – dovere del giudice tributario che le rilevi di dichiarare l’invalidità, dedotta, dell’atto medesimo, e derivatamente, dell’intero procedimento di accertamento basato su prove acquisite a seguito della relativa esecuzione, atteso che attività compiute illegittimamente ed in ingiustificata violazione del diritto, costituzionalmente garantito, alla inviolabilità del domicilio non possono essere assunte a basamento di atti impositivi a carico di chi quelle attività illegittime abbia suo malgrado subito”. La Suprema Corte afferma infine che costituisce principio generale ed immanente al vigente sistema giusprocessualistico quello per il quale il giudice “… prima di utilizzare ai fini della decisione qualsiasi emergenza probatoria, deve verificare la regolarità della relativa acquisizione, restando tenuto a non porre a base della sua pronuncia prove che riscontri indebitamente raccolte”.

Con sentenza n. 16424 depositata in data 21.11.2002, pronunciata a Sezioni Unite, i Supremi giudici si sono espressi sulla legittimità di un provvedimento di autorizzazione all’accesso domiciliare richiesto dalla polizia tributaria in base a notizie appresa da una fonte anonima, e sulla conseguente utilizzabilità della documentazione acquisita a seguito dell’accesso medesimo a sostegno dell’atto impositivo successivamente emesso. Risolvendo un contrasto giurisprudenziale emerso tra le pronunce espresse dalla Sezione Tributaria con sentenza n. 15230/2001 e con sentenza n. 1344/ 2002 in ordine alla sindacabilità della motivazione addotta in sede di rilascio dell’autorizzazione ex art. 52 D.P.R. n. 633/1972, i Supremi giudici hanno ribadito il potere-dovere del giudice tributario di verificare la presenza nel decreto autorizzativo di motivazione “ circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che” faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria (omissis ) ………” Partendo dal dettato normativo, la suprema Corte afferma che l’autorizzazione richiesta dal 2° comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 richiede un “quid pluris” rispetto alle situazioni disciplinate dal 1° comma, conferendo “…… all’autorizzazione medesima la portata di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione (non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore)”.Ed ancora “..(omissis)… la presenza di detto requisito di legge, che condiziona la validità dell’accesso nell’abitazione e dei connessi atti di acquisizione di documenti ed altre prove, non può sfuggire alla verifica del giudice deputato al sindacato della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva, in quanto coinvolge la regolarità del procedimento accertativo su cui si fonda tale pretesa” .

Nelle conclusioni il Supremo Collegio, rispondendo alle obiezioni mosse dall’Amministrazione finanziaria, ribadisce che detto principio dell’inutilizzabilità “… non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”. Afferma altresì che il compito del giudice di vagliare le prove offerte presuppone la preventiva verifica della rituale assunzione e che l’acquisizione di un documento attuata in seguito ad una violazione di legge “…(omissis).. non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente od indirettamente responsabile”.

Richiamando i principi già espressi con sentenza n. 16424/2002, nella sentenza n. 19689 depositata in data 1 ottobre 2004, la Suprema Corte ribadisce l’inutilizzabilità14, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso di un accesso illegittimo, derivando il principio di inutilizzabilità “ ..( omissis ).. dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della Costituzione”. E’ affermato altresì che l’eventuale mancata opposizione del contribuente non solo non equivale a consenso all’acceso, ma non ha rilevanza ai fini della legittimità di un accesso viziato ab origine “ .. (omissis) .. non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”.

Quest’ultimo principio è poi richiamato nella sentenza n. 20253 depositata in data 19 ottobre 2005 pronunciata dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte, in cui si conclude con la conferma dell’ inutilizzabilità a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso di una perquisizione illegale, in ragione della inviolabilità della libertà personale a norma dell’art. 13 della Costituzione. La sentenza in esame, dopo aver richiamato i principi già espressi nella sentenza n. 16424/2002 pronunciata a Sezioni Unite, trasfusi poi nelle pronunce n. 19689/2004 e 19690/2004, conferma che il principio della inutilizzabilità deve essere preferito al contrario orientamento espresso dalla stessa sezione tributaria con sentenza n. 8344/2001, in quanto discende dal valore stesso dell’inviolabilità della libertà personale costituzionalmente garantito dal secondo comma dell’art. 13 Costituzione, che ne ammette una limitazione, solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. L’assenza dell’autorizzazione importa quindi l’inutilizzabilità a sostegno dell’accertamento tributario delle prove reperite nel corso della perquisizione illegittima, non assumendo rilevanza alcuna la mancata opposizione, che non potrà mai sanare un’attività compiuta contra legem, in quanto priva di rilievo giuridico, non essendo richiesta da nessuna norma di legge .

Conferma di questo orientamento la si rinviene anche nelle sentenze n. 26454 e n. 21974 pronunciate dalla Sezione Tributaria e depositate rispettivamente in data 4 novembre 2008 e 16 ottobre 2009.

Con la prima si ribadisce la natura amministrativa dell’autorizzazione all’accesso nell’abitazione del contribuente, l’invalidità della documentazione acquisita a seguito di un accesso non autorizzato (come nel caso in specie) o autorizzato illegittimamente e la conseguente inutilizzabilità a fondamento di una pretesa tributaria.

La sentenza n. 21974 invece, affronta nuovamente il problema del sindacato di legittimità attribuito al giudice tributario in ordine alla verifica della correttezza dell’apprezzamento operato dal procuratore della Repubblica in sede di rilascio dell’autorizzazione, circa il concorso di gravi indizi di violazione di norme tributarie, dichiarando nel caso in specie l’illegittimità, in quanto emessa esclusivamente sulla scorta informazioni anonime. E’di particolare pregio il richiamo operato alla natura di provvedimento amministrativo dell’autorizzazione de quo che “… (omissis)… ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario ( o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti di collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare i gravi indizi..(omissis )..”.

Il principio costituzionalmente garantito della inviolabilità del domicilio permea la pronuncia di illegittimità della documentazione probatoria acquisita a seguito di un accesso domiciliare autorizzato con atto del procuratore della Repubblica privo di congrua motivazione, espressa con sentenza n. 6836 emessa dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione e depositata in data 20 marzo 2009. In particolare i giudici richiamano i principi contenuti nella sentenza n. 16424/2002 in riferimento alla necessità che detta autorizzazione trovi giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione di norme tributarie, e ribadiscono la rilevanza del potere-dovere di verificare la presenza nel decreto autorizzativo della motivazione oltre che di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento espresso, al fine di “ … (omissis) …conciliare la rilevanza di diritti costituzionalmente garantiti con l’esigenza di acquisire elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale … (omissis) …”.

In linea con i richiamati orientamenti, nella sentenza n. 10137 pronunciata dalla Sezione tributaria, depositata in data 28 aprile 2010, la Suprema Corte conferma il principio secondo il quale la motivata autorizzazione del p.M. condiziona l’utilizzabilità dei dati acquisiti e posti a sostegno dell’accertamento tributario. In realtà, pur scaturendo l’annullamento dell’avviso di accertamento dalla mancata produzione di prove a conferma della circostanza che l’accesso fosse stato eseguito presso locali per i quali non era necessaria l’autorizzazione de quo, l’aspetto innovativo è l’affermazione del principio secondo il quale “…(omissis).. ai sensi dell’art. 35 della legge n.4/1929, la Guardia di Finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, …..(omissis)… non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria … (omissis)..”.

B. ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE FAVOREVOLE ALL’UTILIZZO DELLA DOCUMENTAZIONE PROBATORIA IRRITUALMENTE ACQUISITA

L’orientamento giurisprudenziale favorevole all’”utilizzo” del materiale probatorio irritualmente acquisito parte dall’assunto che il principio di utilizzabilità ai fini fiscali discenda dalla mancanza di disposizioni che prevedano il contrario.

L’espressione di questo nuovo orientamento trova puntualizzazione nella sentenza n. 8344 pronunciata dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, e depositata in data 19 giugno 2001 (in data quindi antecedente rispetto alla sentenza n.16424), in cui il supremo collegio è stato chiamato a pronunciarsi sull’utilizzo ai fini dell’accertamento fiscale, di documentazione acquisita in sede penale senza la prescritta autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente. Nel caso in esame gli elementi relativi alla società nei cui confronti era stato poi notificato avviso di rettifica delle dichiarazioni, erano stati acquisiti nel corso di un accesso domiciliare regolarmente autorizzato nell’ambito di un’indagine di polizia giudiziaria, a carico del legale rappresentante della società medesima. Il Supremo Collegio, dopo avere affermato il “ … (omissis).. principio di autonomia delle regole di accertamento tributario rispetto alle regole che disciplinano le indagini ed il giudizio di responsabilità penale”, precisa che “ …( omissis) .. gli elementi di conoscenza raccolti secondo le regole che vincolano l’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria ben possono essere impiegati ai fini dell’accertamento tributario se non ne derivi pregiudizio alle esigenze interne al processo penale (onde la necessità della previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria che di quegli elementi di prova abbia la disponibilità funzionale) … (omissis)..“ e ancora, l’utilizzabilità ai fini fiscali della documentazione acquisita in sede penale “ …(omissis) .., in quanto utilizzata nell’accertamento tributario, va giudicata sulla base delle norme disciplinanti i modi di tale accertamento e non di quelle che disciplinano il procedimento penale”. Quanto infine alla lamentata violazione delle disposizioni contenute nell’ art. 52 del D.P.R. n. 633/1973, i giudici ricordano che la richiamata normativa non disciplina le indagini penali e che per contro, proprio la lettura degli artt. 54 commi 2 e 3 e 63, comma 1 del citato D.P.R. consente di affermare che gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti di cui siano venuti in possesso “… salvo la verifica dell’attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico. La violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti. …….. ( omissis)….. Non esiste cioè nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Tale principio è stato introdotto nel nuovo codice di procedura penale, e vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale. …(omissis) …”.

Secondo la Suprema Corte l’unica sanzione prevista in questo caso è da individuarsi sul piano disciplinare ai danni di chi ha commesso il comportamento illegittimo.

E, nell’esprimere questo principio, riportano l’esempio dell’acquisizione di elementi determinanti ai fini dell’accertamento avvenuta il trentunesimo ( o sessantunesimo) giorno lavorativo dall’inizio della verifica, per confermare che dall’inosservanza delle disposizioni statuite dal quinto comma dell’articolo 12 comma 5 della Legge n. 212/2000, non può discendere l’inutilizzabilità degli elementi probatori, trattandosi di una prova oggettivamente valida . Si attribuisce così natura ordinatoria al termine stabilito dal citato articolo.

La portata innovativa di questa pronuncia consiste pertanto nell’aver stabilito un principio di carattere generale (utilizzabilità della documentazione acquisita irritualmente) in un contesto in cui l’oggetto della controversia concerneva di fatto l’utilizzabilità ai fini fiscali di elementi acquisiti in sede penale, normativamente regolamentate dagli art. 33, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.

Rispetto poi alla sentenza n. 3852/200115, l’affermazione del principio di utilizzabilità non è supportato da una preventiva analisi della differenza esistente tra l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica prevista dall’art. 52, commi 2 e 3 del D.P.R. n. 633/1972, e l’autorizzazione disciplinata dall’art. 63, comma 1 del medesimo D.P.R., differenza che, in considerazione degli interessi tutelati, giustifica, secondo i supremi giudici, l’attribuzione di un diverso rilievo giuridico all’inosservanza di disposizioni di legge.

Con sentenza n. 4001 pronunciata dalla Sezione tributaria della Suprema Corte, e depositata in data 19 febbraio 2009, si conferma il principio di utilizzabilità dei mezzi probatori irritualmente acquisiti, ove la violazione appaia di “minore entità16.

Chiamato a decidere sull’utilizzabilità della documentazione bancaria acquisita con autorizzazione del procuratore della Repubblica priva di motivazione, il Supremo Collegio conferma il principio secondo il quale “ .. (omissis).. la mancanza (e a fortiori, l’eventuale illegittimità) dell’autorizzazione ( del comandante di zona o dell’autorità giudiziaria) ai fini dell’acquisizione di documentazione bancaria (ovvero dell’utilizzazione di quella acquisita nell’ambito di un processo penale), non incide sul valore probatorio dei dati acquisiti né sulla validità dell’atto impositivo adottato sulla scorta dei suddetti dati”. Si rileva infatti che detta autorizzazione” … attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (v. Cass. n.4987 del 2003)”. Si precisa altresì che l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria richiesta per la trasmissione dei dati e delle notizie acquisite in ambito penale è posta solo a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento, con la conseguenza che “…(omissis) … la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi.”

I principi affermati dalla Suprema Corte con le esaminate sentenze sono di portata estremamente significativa, soprattutto alla luce del diverso orientamento espresso con la sentenza n. 16424/200200.

L’’inversione di tendenza tuttavia è segnata dalla dichiarata non vigenza in ambito tributario del “ principio della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite”, indipendentemente dal contesto normativo in cui è maturata l’affermazione del citato principio.

Secondo i Supremi Giudici, infatti, ove la violazione riguardi norme per così dire “organizzative”, poste cioè a garanzia della regolarità dell’azione amministrativa, o ancora poste a tutela delle indagini penali, prevarrebbe l’interesse fiscale tutelato dall’art. 53 della Costituzione; laddove invece la condotta illegittima dovesse violare norme poste a tutela di diritti costituzionalmente garantiti, ne deriverebbe l’inutilizzabilità .

E, a ben vedere, questo principio era già stato espresso dalla Sezione tributaria della Suprema Corte, con sentenza n. 22035 depositata in data 13 ottobre 2006, ove la doglianza concerneva l’avvenuta trasmissione dei dati acquisiti dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un procedimento penale, in assenza dell’ autorizzazione prevista dal comma 1 dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972. I Supremi Giudici hanno confermato in quella sede che è oramai orientamento giurisprudenziale consolidato il principio secondo il quale l’autorizzazione richiesta dal citato comma dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972 sia posto a tutela della riservatezza delle indagini penali e”… non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza della autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi”.

Di indubbia portata innovativa è invece il principio espresso nella sentenza n. 16874 pronunciata dalla Sezione Tributaria e depositata in data 21 luglio 2009. La Suprema Corte, chiamata a decidere su una questione inerente la portata giuridica e sostanziale dell’autorizzazione all’accesso ai conti bancari, afferma che le violazioni commesse dall’Amministrazione Finanziaria durante l’attività istruttoria possono comportare l’inutilizzabilità dell’atto di accertamento solo laddove sia accertato la sussistenza di due requisiti17:

  • la mancanza di autorizzazione;

  • il riscontro del concreto pregiudizio per il contribuente prodotto dalla mancanza materiale dell’autorizzazione, avuto riguardo ai fondamentali diritti del contribuente, quali quello di difesa (art. 24 Cost.) e quello alla riservatezza.

La Corte conferma il principio secondo il quale la legittimità dell’accertamento bancario è subordinato all’esistenza dell’autorizzazione e non alla esibizione dell’autorizzazione medesima, per la quale non sussiste peraltro l’obbligo della motivazione, derivando il potere di indagine finanziaria dal generale potere di controllo della dichiarazione.

Con la sentenza n. 4741, depositata in data 26 febbraio 2010, pronunciata dalla Sezione Tributaria dalla Suprema Corte, i Supremi Giudici confermano che l’autorizzazione prevista dal 1° comma dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972 (e riprodotto nell’art. 33 comma 3 del D.P.R. n. 600/1973) non ha alcuna finalità di tutela del contribuente a differenza di quella contemplata dall’art. 52 commi 2 e 3 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972: l’eventuale mancanza non può pertanto inficiare la validità dell’atto impositivo adottato sulla base di quella documentazione “irritualmente “ acquisita18 19.

In ultimo, il principio di piena utilizzabilità in ambito tributario di prove acquisite in sede penale è ribadito nella sentenza n. 25617 depositata in data 17 dicembre 2010, e pronunciata dalla Sezione Tributaria. Il Supremo Collegio conferma infatti il principio di piena utilizzabilità e di conseguente validità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli elementi probatori “irritualmente acquisiti”, essendo l’autorizzazione del magistrato penale prevista e posta solo a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel procedimento. Richiamando principi già espressi dalla Suprema Corte, la sentenza ribadisce altresì che “ nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di giudicato opponibile in sede giurisdizionale diversa da quella penale20, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione, secondo le regole proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova presuntiva”.

 

  1. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In conclusione, pur nella consapevolezza che la tematica esaminata non sia di facile soluzione definitiva, l’analisi condotta ci consente di formulare alcune considerazioni sugli orientamenti giurisprudenziali espressi dalla Suprema Corte.

Dall’apparente mutevolezza delle pronunce, che certamente non aiuta a fare chiarezza sull’argomento, è emerso che:

a ) il principio di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita trova applicazione nel caso di accesso domiciliare e/o perquisizione personale eseguiti in mancanza dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica, oppure eseguiti in forza di un’autorizzazione non idoneamente motivata, in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per il suo rilascio. In tali casi:

  • il giudice tributario ha il potere – dovere di valutare la congruità della motivazione adottata dal procuratore della Repubblica nel rilasciare l’autorizzazione de quo;

  • il consenso e/o la mancata opposizione del contribuente non ha rilevanza ai fini della legittimità di un accesso non autorizzato e/o non idoneamente motivato, in quanto non previsto o richiesto da nessuna norma di legge;

  • la documentazione acquisita nell’inosservanza delle citate disposizioni è inutilizzabile a sostegno dell’accertamento, in quanto reperita in modo illegittimo, violando un interesse costituzionalmente garantito;

  • un documento acquisito in violazione di norme di legge non può essere utilizzato in favore di colui che ha commesso la violazione, e ai danni di chi di fatto quella violazione abbia subito;

  • la tutela del contribuente è comunque differita alla fase di impugnazione dell’atto impositivo emesso sulla scorta della documentazione acquisita nel corso di un accesso illegittimo – in quanto l’atto istruttorio, non avendo una propria autonomia funzionale, non è autonomamente impugnabile ex art. 19 del D.Lgs. n.546/1992 – facendo valere il vizio per illegittimità derivata21 .

 

b ) Il principio di utilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita trova applicazione nel caso di mancanza dell’autorizzazione richiesta dalla legge per le indagini finanziarie, ove non ne sia derivato un concreto pregiudizio avuto riguardo agli interessi costituzionalmente rilevanti, o per l’utilizzo in sede tributaria di elementi probatori acquisiti in sede penale.

In sostanza, secondo la Suprema Corte, l’illegittima attività istruttoria produce i suoi effetti in termini di annullabilità dell’atto di accertamento emesso sulla scorta della documentazione irritualmente acquisita, ogni qualvolta siano violati i diritti costituzionalmente garantiti; in caso contrario l’eventuale violazione di disposizioni di legge non ha un effetto invalidante sulla pretesa impositiva conseguentemente formulata dall’amministrazione finanziaria.

Questi principi, a modesto avviso di chi scrive, sembrano contrastare con il dettato legislativo.

L’esercizio della poteri istruttori coinvolge infatti a priori degli interessi costituzionalmente garantiti.

Basti pensare all’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza davanti alla legge, all’articolo 13 della Costituzione, che sancisce il principio della inviolabilità della libertà personale ed il divieto di ogni restrizione, se non nei modi e nei casi previsti dalla legge e per atto motivato dell’autorità giudiziaria, all’art. 14 della Costituzione, che statuisce l’inviolabilità del domicilio (rinviando alle garanzie previste per la libertà personale, in ordine a possibili restrizioni all’interesse tutelato), all’articolo 15 della Costituzione, che tratta dell’inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.

Ancora, l’articolo 24 della Costituzione statuisce l’inviolabilità del diritto di difesa, mentre l’articolo 53 sancisce il dovere di concorrere alla spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, e l’articolo 97, comma 1, della Costituzione recita testualmente “ I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

Infine l’art. 111, comma 1, statuisce che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

L’esercizio dei poteri istruttori attribuiti all’Amministrazione Finanziaria non può pertanto prescindere dall’osservanza dei principi stabiliti dalle norme costituzionali.

E infatti, il legislatore nella formulazione degli artt. 51, 52, 63 del D.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 ha rispettato il dettato costituzionale.

L’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972, richiamato anche dal comma 1 dell’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973, prevede infatti diversi provvedimenti da adottarsi a seconda che l’accesso riguardi i locali destinati all’esercizio delle attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, o locali destinati anche ad abitazione, o ancora locali “diversi” da quelli sopra indicati.

In particolare, laddove l’accesso riguardi locali diversi da quelli destinati all’esercizio dell’attività oggetto di verifica piuttosto che destinati anche ad abitazione, il citato articolo, al secondo comma, dispone che l’autorizzazione richiesta sia anche supportata da idonea motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di violazione delle norme tributarie ( non solo quindi semplice indicazione dello scopo dell’accesso), al fine “di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”. La motivazione, in linea con le statuizioni contenute nell’articolo 13 e 14 della Costituzione, diviene pertanto condizione necessaria e sufficiente per decretare la legittimità dell’accesso autorizzato.

Con l’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972, il legislatore ha quindi regolamentato l’attività degli uffici nell’esercizio delle funzioni istruttorie, introducendo dei controlli preventivi all’operato degli stessi, al fine di limitare la discrezionalità esecutiva e garantire il rispetto di principi costituzionalmente garantiti, ivi incluso il principio contemplato dall’art. 97 della Costituzione (buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione).

Analoghe considerazioni possono essere formulate in riferimento alla portata dell’autorizzazione prevista dall’art. 51, comma 2 numeri 6 bis22 e 7) del D.P.R. n. 633/1972.

La discrezionalità implicitamente rinvenibile nella formulazione del comma 2 che recita “ Per l’adempimento dei loro compiti gli Uffici possono …. (omissis) ..: “ è successivamente limitata dalla previsione della preventiva autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale, autorizzazione che assurge conseguentemente a controllo preventivo, posto proprio al fine di limitare la discrezionalità nell’esercizio dei poteri istruttori, ed assicurare contestualmente l’imparzialità dell’amministrazione.

Mentre quindi nel caso di accesso illegittimo, in quanto attuato nell’inosservanza delle disposizioni contemplate dal comma 2 dell’articolo 52, la violazione del diritto soggettivo è certamente perpetrata, nel caso di verifica finanziaria non autorizzata sussiste il rischio di violazione del diritto alla riservatezza23 oltre che del principio costituzionalmente garantito dell’imparzialità dell’amministrazione, rischio che non può, a modesto avviso di chi scrive, essere giustificato dal prevalere dell’interesse ad una giusta imposizione, per quanto anch’esso costituzionalmente tutelato.

In direzione conforme a questa interpretazione si muove anche l’Amministrazione finanziaria ed il Comando generale della guardia di finanzia, che con le circolari già commentate, emanate al fine di regolamentare l’esercizio dei poteri istruttori, ribadiscono la funzione di garanzia riconosciuta all’autorizzazione prevista per le indagini finanziarie, autorizzazione che assurge pertanto a legittimazione all’uso dello strumento istruttorio e a controllo del corretto uso, al fine di contemperare l’interesse costituzionalmente garantito alla riservatezza con l’esigenza di acquisire informazioni utili ai fini dell’attività di controllo e di accertamento, e di scongiurare il sospetto di illegittimità della relativa procedura per “eccesso di potere”.

Diversa sembrerebbe invece l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 63 del D.P.R. n. 633/197224.

Questa interpretazione scaturisce da una lettura dell’articolo in esame, nella formulazione previgente alle modifiche apportate dall’art. 18, comma 2, lettera l, della legge n. 30.12.91 n. 413.

Mentre infatti nella versione attualmente vigente si legge “ .. (omissis)… Essa inoltre, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale, utilizza e trasmette agli Uffici documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”, il testo vigente dal 1 gennaio 1992 al 14 aprile 2000 recitava testualmente “ previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto ..(omissis)..” ed infine il testo in vigore nell’anno 1991 statuiva “ ..( omissis).. previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto istruttorio..(omissis)..”, riproponendo la formulazione già presente nel testo vigente dal 24 luglio 1982.

La diversa formulazione adottata si ritiene non modifichi quindi la portata interpretativa inizialmente attribuita, scaturendo esclusivamente dall’esigenza di adeguare un testo alle intervenute variazioni apportate al codice di procedura penale.

D’altronde questa interpretazione appare condivisibile anche in considerazione del richiamo operato dal legislatore alle norme e facoltà contemplate dagli artt. 51 e 52 del citato D.P.R., esclusivamente in relazione alle modalità di esercizio dei poteri attribuiti alla guardia di finanza nell’ambito della collaborazione con gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto. Richiamo non operato invece nella seconda parte del primo comma dell’art. 63 del D.P.R. n. 633/1972.

Appare ragionevole quindi riconoscere che l’autorizzazione in esame sia espressamente giustificata dall’esigenza di salvaguardare l’efficienza e il buon esito dell’indagine penale.

Ma perseguendo questo obiettivo, non si tutela anche il diritto della persona sottoposta all’indagine?

Questa chiave di lettura indurrebbe quindi a ritenere che la mancanza di autorizzazione prevista dall’art. 63, comma 1 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto anche solo potenzialmente lesiva di interessi costituzionalmente garantiti, dovrebbe comportare l’illegittimità dell’atto impositivo emesso sulla scorta di quegli elementi probatori irritualmente acquisiti.

Quindi, ciascuna delle situazioni sopra esaminate lede o rischia comunque di violare interessi costituzionalmente garantiti, ed in quanto tali, meritevoli di tutela.

Né d’altronde, si può ritenere che l’autorizzazione alle indagini bancarie piuttosto che l’autorizzazione all’utilizzo di elementi probatori acquisiti in sede penale abbiano solo una valenza meramente interna, di natura squisitamente amministrativa.

Siffatto inquadramento evidentemente :

  • Non attribuisce all’autorizzazione la giusta rilevanza di atto di avvio di un procedimento di imposizione fiscale, ed in quanto atto prodromico, suscettibile di vincolare la legittimità dell’atto impositivo finale;

  • trascura l’aspetto sostanziale della perpetrata violazione di norme di legge, che rimarrebbe in tal modo priva di effetto ove dalla condotta illegittima dell’amministrazione finanziaria non si facesse derivare un vizio del provvedimento impositivo conseguentemente emesso, rendendo quindi priva di significato la previsione normativa stessa;

  • legittima l’esercizio di un potere discrezionale, violando il principio costituzionalmente garantito del “giusto processo”;

  • è in contrasto con il principio di legalità .

Ne consegue che, a parere di chi scrive, le disposizioni regolamentanti l’esercizio dei poteri istruttori attribuiti all’Amministrazione Finanziaria non può non attribuire ai requisiti ivi stabiliti per l’esercizio degli stessi un valore determinante ai fini della qualifica di un’attività contra legem o secundum lege : altrimenti non avrebbe significato avere previsto al riguardo una regolamentazione giuridica.

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Queste brevi considerazioni evidenziano la necessità di un intervento del legislatore che, colmando il vuoto normativo, introduca espressamente nel processo tributario il principio dell’inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite.

Lecce, 26 gennaio 2011


 

1 Cfr. Cassazione civile, sezione tributaria, Sentenza n° 25617 depositata in data 17 dicembre 2010.

2 Cfr. C. Glendi, Indagini tributarie e tutela giurisdizionale, in Corriere tributario n. 44/2009, pag. 3616.

3 Cfr. S. Stufano, Sulla utilizzabilità delle prove illecite o illegittime, in Corriere Tributario n. 39/2002, pag. 3534.

4 Cfr. M.Pisani, La valenza delle prove irrituali nell’accertamento tributario, in il fisco n. 11/2005, pag. 1570.

5 Cfr. S. Gallo, Utilizzo di prove irregolarmente acquisite nel corso di accessi domiciliari, in il fisco n. 36/2007, pag. 5307.

6 Cfr. Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 5021 del 27 marzo 1996.

7 Cfr. S. Gallo, in il fisco n.36/2007.

8 Cr. A.Marcheselli, Ai fini tributari è limitata l’utilizzazione di materiale proveniente da indagini penali, in Corriere tributario, n.35/2006, pag.2787.

9 Cfr. S. Gallo, in il fisco n.36/2007, pag. 5311.

10 In detta circolare, al paragrafo 3, è in particolare richiamata l’attenzione sulla necessità che il rilascio dell’autorizzazione sia subordinato ad una preventiva e necessaria valutazione dei requisiti di legittimità e di merito, anche con riferimento alla proficuità dell’indagine. E’altresì ribadita la natura discrezionale, con la conseguente possibilità per gli Organi competenti di opporsi al rilascio, qualora emerga l’insussistenza dei presupposti.

11 Cfr. Circolare n. 1/360000 del 20 ottobre 1998 del Comando generale guardia di finanza , su Big online.

12 Cfr. Cass., Sez.I, 27 luglio 1998, n.7368.

13 Cfr. Cass., Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11036.

14 Si veda al riguardo il diverso principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con sentenza n. 8344 depositata il 19 giugno 2001.

15 Cfr. Sentenza Cassazione Civile, sezione Tributaria, n. 3852 depositata in data 16 marzo 2001.

16 Cfr. Sentenza Cassazione Civile, sezione Tributaria, n. 4987 depositata in data 1 aprile 2003 .

17 Cfr. Sentenza Cassazione Civile, Sez. Tributaria, 15 giugno 2007, n. 14023.

18 In tal senso dispongono i supremi giudici anche nella Sentenza n. 22555, depositata in data 26 ottobre 2007.

19 Principio espresso anche nella Sentenza della Cassazione Civile, Sez. tributaria n. 27947, depositata in data 30 dicembre 2009.

20 Con sentenza n. 12577 depositata in data 22 settembre 2000, la Sezione tributaria della Suprema Corte aveva già affermato il principio secondo il quale il giudice” può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di “giudicato opponibile” in sede giurisdizionale diversa da quella penale”, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori.

21 Cfr. Sentenza Corte Cassazione, S.U. n. 6315 depositata in data 20 gennaio 2009.

22 Numero aggiunto con effetto dal 1 gennaio 1996 dall’art. 3 comma 177 della legge 28.12.95 n. 549.

23 In tal senso si erano espressi anche i Supremi Giudizi nella sentenza n.16874 depositata in data 21 luglio 2009. L’inutilizzabilità, secondo il Supremo Collegio, era subordinata al concreto pregiudizio per il ricorrente, avuto riguardo ai diritti fondamentali.

24 Analoga autorizzazione è prevista dall’art. 33, comma 3 del D.P.R. n.600/1973.

Avv. Villani Maurizio

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