Il vaglio di ammissibilità dell’appello penale e la specificità dei motivi

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Commento a Cass.Pen.sez.III, 18 ottobre 2019, n.42942

 

Facendo seguito alla stringente e sempre più sentita necessità di “evitare impugnazioni esclusivamente dilatorie e di ammettere solamente quelle considerate serie”, il legislatore ha introdotto da alcuni anni, con la Legge 23 giugno 2017, n.103 di modifica al codice penale, codice di procedura penale e legge sull’ordinamento giudiziario, il principio di “completezza” della motivazione della sentenza, correlato alla necessaria “specificità” dei motivi dell’atto di impugnazione, caratterizzandoli come “modelli funzionali necessariamente correlati”.

Il rinnovato fine evidenziato del legislatore, appare sostanzialmente quello di valorizzare   un apparato motivazionale della sentenza di merito maggiormente rigoroso, al quale correlare simbioticamente l’esposizione delle ragioni di gravame e, quindi, del perchè della doglianza, mediante “l’enunciazione di motivi seri e specifici, che possano dare almeno un’impressione di fondatezza”.

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I requisiti della sentenza

La Legge 103 del 2017 ha dunque operato una radicale riforma degli articoli 546 (Requisiti della sentenza) e 581 (Forma dell’impugnazione), del codice di procedura penale, caratterizzando la sentenza e l’appello come “modelli funzionalmente correlati”.

La nuova formulazione dell’art.546 C.p.p. prevede quali nuovi requisiti della sentenza, alla lettera e);  la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri per la valutazione della prova adottati, con enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell’art.533 e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali….

            Il nuovo art.581 dello stesso codice prevede invece che “l’impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il giudice che lo ha emesso, con l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: a) dei capi e dei punti della decisione, ai quali si riferisce l’impugnazione; b) delle prove  delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione; c) delle richieste, anche istruttorie; d) dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta”.

Le due rinnovate disposizioni codicistiche evidenziano pertanto due parametri simmetrici, rappresentati  da un lato dalla “concisione”, quale paradigma che dovrà ispirare la motivazione della decisione giudiziale e dall’altro dalla complementare “specificità”, che dovrà pervadere fortemente l’impianto dell’atto di impugnazione, anche ai fini del preliminare vaglio di ammissibilità.

La dottrina più autorevole, ha validamente rimarcato come la connotazione afferente la concisione debba ritenersi  in realtà congiunta anche al requisito della completezza nel valutare ed argomentare quanto ai capi, punti, questioni, logicità del ragionamento e fedeltà nell’esporre, verso il raggiungimento di una vera e propria decisione stabile e, quindi, sostanzialmente di qualità.

Concisione quindi come completezza, postulando una decisione completa una decisione logica, coerente, convincente e, in definitiva, di qualità.

Maggiormente completà sarà la decisione, maggiormente circoscritti saranno i confini di doglianza entro i quali potersi muovere in sede di impugnazione, atteso che, come osservato, “solo la motivazione rigorosamente costruita con riguardo alla tenuta, sia informativa che logica, della decisione, può costituire l’effettivo paradigma sul quale posizionare la facoltà di impugnazione delle parti e i poteri di cognizione del giudice dell’impugnazione”.

Altri autori hanno peraltro segnalato una non trascurabile problematica sul punto, evidenziando come una simile pretesa di completezza potrebbe finire per portare inevitabilmente il giudice ad un’ampia ed eccessiva discrezionalità nel considerare la genericità dei motivi di gravame e quindi, in conseguenza, l’inammissibilità dell’atto di impugnazione.

Giova comunque tenere a mente che la disposizione di cui all’art.581 del codice di rito, generalmente dedicata sia all’appello che al ricorso per cassazione, aggancia stabilmente al giudizio di ammissibilità dell’impugnazione il requisito della specificità anche con riferimento alle prove,  seppure anche su tale ultimo punto sono sorte obiezioni in dottrina, dato che la norma, in realtà, non chiarisce se sia sufficiente la sola elencazione specifica delle prove, oppure se debba ritenersi necessario indicare in forma specifica anche le diverse valutazioni del dato probatorio.

Certamente non si pongono particolari problemi sul versante dell’ammissibilità dell’atto di gravame, con riferimento all’indicazione specifica dei capi e dei punti della decisione impugnata, delle prove ritenute inesistenti, omesse o erroneamente assunte o valutate e delle mere richieste istruttorie.

Difficoltosa appare invece l’osservanza del requisito della specificità, rispetto all’indicazione dei motivi sui quali si fonda l’impugnazione e degli elementi di diritto e di fatto che la sorreggono, attesa l’estensione portata dall’intervento riformatore del 2017, dedicato quasi esclusivamente in punto impugnazioni all’appello, essendo il ricorso in Cassazione già fortemente limitato ai soli casi previsti tassattivamente dal codice di rito.

Senza ombra di dubbio, come segnalato efficamente dalla migliore tradizione giuridica, si è potuto assistere ad una metamorfosi dell’appello, trasformato da mezzo d’impugnazione a “critica libera” a strumento di impugnazione a “critica vincolata”.

Occorre dunque tenere ben presente, determinando la mancanza di specificità, o se vogliamo la genericità dei motivi di appello (così come dei motivi nuovi e aggiunti ex art.585 c.p.p.), l’inammissibilità ab origine dell’atto di impugnazione, che occorre principalmente muoversi sul terreno dei  capi e dei punti della sentenza, corrispondendo a paradigmi rigidi dei quali si deve tenere conto sia nella redazione motivazionale del provvedimento conclusivo del giudizio di merito, sia nel corrispondente atto di gravame.

Nel sistema generale delle impugnazioni, per capo della sentenza si intende un atto giuridico completo, tale da potere costituire anche da solo o separatamente, il contenuto di una sentenza riferibile ad ogni singola imputazione, sicchè per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno o più  reati ascritti all’imputato, mentre la nozione di punto della sentenza appare maggiormente ridimensionata, avendo riguardo a tutte quelle statuizioni o frammenti della motivazione suscettibili di autonoma considerazione, coincidendo con le parti della sentenza necessarie per il giudizio su ogni singolo reato, come ad esempio l’accertamento della responsabilità e la determinazione della pena, che rappresentano due distinti punti della sentenza.

A ciò consegue che ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, necessaria alla completa definizione di ciascuna impugnazione, sulla quale il potere del giudicante non potrà ritenersi esaurito fino a quando non siano stati decisi tutti i punti relativamente ad accertamento del fatto, attribuzione di esso all’imputato, qualificazione giuridica, inesistenza di cause di giustificazione, colpevolezza, valutazione e comparazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, questioni dedotte dalle parti o rilevabili d’ufficio, determinazione della pena e concessione dei benefici (così Cass.S.U., 19 gennaio 2000, n.1).

Eppure in passato la giurisprudenza di legittimità aveva inteso precisare, con una pronuncia forse spendibile con funzioni di salvacondotto rispetto alla riformata normativa, che “l’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi deve essere esclusa quando sono identificabili, con accettabile precisione e siano esposti in maniera quantomeno intellegibile, i punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali delle medesime, in considerazione della natura di tale specifico mezzo di impugnazione, nonché del principio del favor impugnationis…anche in considerazione della possibilità del giudice dell’appello di accogliere l’impugnazione sulla base di argomentazioni proprie e diverse da quelle dell’appellante, purchè inerenti ai punti della sentenza attinti dal gravame (Cass.pen.sez.VI, 24 novembre 2015, n.3721).

L’inammissibilità dell’appello

Ulteriore e importante corollario dell’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, viene peraltro ribadito in una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.pen.sez.III, 18 ottobre 2019, n.42942, in commento), laddove si specifica in maniera alquanto sibillina che: “l’inammissibilità dell’appello dovuta alla mancanza di specificità dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art.129 C.p.p. (Nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata, ma prima della sentenza di appello”.

            Si tratta di una conseguenza di non poco conto, considerato che l’aspecificità dei motivi di doglianza proposti dall’appellante andrebbe a determinare, secondo la Corte, l’inesistenza della stessa impugnazione e l’impossibilità nel rilevare eventuali cause di non punibilità- nel caso di specie, l’intervenuta prescrizione del reato – nel frattempo maturate.

Sembra dunque che gli arresti più recenti della giurisprudenza di legittimità, nella non tanto malcelata ottica di alleggerire un carico giudiziario ritenuto eccessivo, abbiano intrapreso la strada maestra dello strumento meramente deflattivo e per molti versi anche sbilanciato verso derive latamente persecutorie, atteso che il riconoscimento del difetto di specificità, con conseguente inammissibilità dell’atto di appello e della rilevabilità di cause di non punibilità, risulta di non facile identificazione nei casi in cui l’impugnazione sia limitata alla sola contestazione del trattamento sanzionatorio o dei criteri di quantificazione della pena concretamente inflitta o delle relative circostanze.

Un’autorevole posizione dottrinale ha osservato che “l’appello viene da sempre considerato l’anello più problematico della sequenza procedimentale, sia nei sistemi inquisitori, sia in quelli accusatori, senza per questo escludere quelli misti”.

D’altra parte, “non si può pretendere che l’imputato debba rassegnarsi alla condanna e, quindi, determinarsi a prestare acquiescenza, sol perchè oggettivamente difficile scardinare la ricostruzione offerta con la sentenza di primo grado”.

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Bibliografia:

1) R.Bricchetti: il modello motivazionale della sentenza di merito e il più rigoroso regime della specificità e della inammissibilità dell’atto di impugnazione; il dovere di ragionare delle parti coinvolte deve essere reciproco; in AA.VV. Le impugnazioni penali, a cura di G.Canzio-R.Bricchetti;

G.Canzio: le impugnazioni penali fra riforme legislative e diritto giurisprudenziale, cit.;

A.Marandola: Prime riflessioni sul nuovo giudizio di appello, in www.penale contemporaneo, 28 febbraio 2018;

M.Massa: Contributo allo studio dell’appello nel processo penale, cit.

G.Spangher: La riforma Orlando della giustizia penale, prime riflessioni, in Riv.trim,dir.pen.cont., 1, 2016;

Commento a Cassazione penale, sez.III, 18 ottobre 2019, n.42942, in Dir.Pen.Processo 5/2020, a cura D.Cimadomoe AA.VV.;

Avv. Buzzoni Alessandro

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