Il Trust e la sua natura giuridica: una panoramica

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Il Trust è un istituto giuridico relativamente recente, di origine anglosassone. Questo articolo, nel trattarlo, inizierà nel darne una definizione secondo quanto riportato dalla Convenzione Aja del 1° Luglio 1985, per proseguire approfondendone la relativa natura giuridica. In ultimo, si parlerà dell’azione di riduzione e dell’azione revocatoria, il tutto con una rassegna dottrinale e giurisprudenziale

Indice

1. La natura giuridica del Trust

Nel voler tracciare una definizione del Trust ed un quadro normativo, ci viene incontro quanto stabilito dall’art. 2 della Convenzione Aja del 1° Luglio 1985 (ratificata nel nostro paese dalla L. 16 Ottobre 1989 n. 364 ed entrata in vigore l’1 Gennaio 1992). Questo recita:
“Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente –con atto tra vivi o mortis causa- qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.”.
Per la maggior parte della dottrina, la natura del Trust non è una donazione (il contratto con il quale, una parte arricchisce un’altra, disponendo verso quest’ultima di un suo diritto o assumendo un’obbligazione verso questa, per spirito di liberalità, ai sensi dell’art. 769 c.c.)[1]; per quanto riguarda la giurisprudenza di merito e di legittimità ci sono una serie di pronunce, secondo cui sarebbe una donazione ed altre secondo cui non lo sarebbe. Un maggior consolidamento giurisprudenziale, secondo cui il Trust non rientrerebbe nelle donazioni, si rinviene nell’orientamento della giurisprudenza tributaria[2].
Nel citare dei riferimenti secondo cui l’istituto in oggetto sarebbe da inquadrare nelle donazioni (anche indirette, cioè quegli atti che danno luogo agli effetti della donazione, senza essere delle donazioni dal punto di vista tecnico-giuridico), c’è la delibera del Comitato di Coordinamento del Servizio Centrale degli Ispettori Tributari (Se.C.I.T.), 11 maggio 1998 n. 37. Questa rileva che quando viene costituito un Trust per atto inter vivos, si ha davanti una riduzione del patrimonio in capo al disponente per spirito di liberalità, potendola assimilare, per lo meno sotto il profilo fiscale, alle donazioni indirette ex art. 809 c.c.. Questa tesi è stata ribadita dalla Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, 29 marzo 2001[3].
Anche secondo l’ordinanza della Corte di Cassazione 24 febbraio 2015, n. 3735, sarebbe da inquadrare nelle donazioni, assoggettandolo al tributo sulle successioni e donazioni. Questa ordinanza,  riguarda una controversia avente ad oggetto un Trust autodichiarato dove il disponente, si è destinato in qualità di trustee, degli immobili per rafforzare la generica garanzia patrimoniale da lui prestata in qualità di fideiussore.  Il fondo residuale del Trust, era destinato a ritornare nelle mani del disponente se in vita o agli eredi legittimi. L’Agenzia delle Entrate riteneva di applicare l’imposta sulle donazioni con aliquota dell’8% però, in sede di appello, il giudice rilevava che per via della costituzione del Trust:“il disponente non aveva certo beneficiato di arricchimento alcuno, in quanto la segregazione dei beni era intesa esclusivamente alla prestazione di una garanzia. Dunque, mancando una liberalità (nonché, possiamo aggiungere, il trasferimento di beni o diritti e l’arricchimento di una sfera altrui), alcuna imposta poteva essere applicata”[4]. Nonostante il fatto che la Corte d’appello avesse dato ragione al disponente, la Cassazione ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate. Sul punto si possono menzionare anche le ordinanze 3737/2015 e 3886/2015.
Per quanto riguarda la posizione secondo cui, invece, si differenzia dalle donazioni, è intervenuta la Circolare 6 agosto 2007, n.48 dell’Agenzia dell’Entrate, nel quale si specifica che con i beni conferiti in Trust, giuridicamente viene costituito un patrimonio autonomo e separato da quello del disponente e del trustee; differenziandosi dagli altri casi di costituzione di vincoli di destinazione: Il trustee è titolare/intestatario del patrimonio ma questo non gli appartiene, potendo disporne per finalità prestabilite dal disponente [5].
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Venezia, si esclude che un immobile dato in conferimento mediante l’istituto del Trust si possa qualificare come donazione, per via dell’ “assenza di qualsiasi intento di liberalità da parte del settlor nei confronti del trustee, in quanto quest’ultimo costituisce solo il mezzo per la realizzazione del programma voluto, che è quello di attribuire un vantaggio patrimoniale ai beneficiari finali”.
Ne consegue che nell’atto di trasferimento dal disponente al trustee, non sono presenti l’animus donandi (l’elemento soggettivo della donazione) e l’impoverimento nella sfera patrimoniale del donante a favore di quella del donatario (l’elemento oggettivo della donazione). La proprietà dei beni acquisita dal trustee, non entra nella suo patrimonio personale ma nel patrimonio la cui titolarità è giustificata dall’essere trustee. La sfera patrimoniale del donatario sarà arricchita, solo nel momento in cui il beneficiario acquisterà il diritto ad avere dei vantaggi dal trust [6].
Tra le sentenze della giurisprudenza tributaria, secondo cui l’istituto non è una donazione e non va assoggettato alla relativa imposta, possiamo trovare il CTR di Milano n. 73/15/12. Qui la Commissione Tributaria Regionale di Milano ha “escluso l’assoggettamento all’imposta sulle successioni e donazioni del c.d. trust auto-dichiarato” sottolineando che la “ratio dell’imposta è la tassazione dell’incremento patrimoniale del beneficiario, requisito non presente in ipotesi di trasferimento di beni o diritti non sorretti da spirito di liberalità”.
Anche per l’Ordinanza della Cassazione n. 734/2019, non siamo nell’ambito delle donazioni. Questa ha ad oggetto un Trust liberale costituito da persona fisica con un trasferimento di beni immobili nel Trust, indicando come beneficiari i parenti entro il quarto grado. In seguito al versamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa, l’Agenzia delle Entrate chiedeva il pagamento dell’imposta di successione e donazione in misura proporzionale. La Corte con la sua pronuncia del 2019, cita e appoggia un precedente orientamento della stessa Cassazione (Cass. 17 gennaio 2018, n. 975) in cui si sostiene che “il trasferimento del bene dal disponente al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, sicchè detto atto sarebbe soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecarie e catastali. (…) Il trasferimento dei beni al trustee, avendo natura transitoria, non esprime alcuna capacità contributiva, sicchè il presupposto d’imposta si manifesta solo ed esclusivamente con il trasferimento dei beni dal trustee al beneficiario [7]. La Suprema Corte, prosegue affermando che non è corretto applicare in tutti i casi di Trust, l’imposta sulle successioni e donazioni nel momento in cui avviene il trasferimento di proprietà dal trustee al beneficiario. Infatti, per la Corte, bisogna verificare ogni singolo caso e soprattutto se nella volontà del disponente si voglia realizzare un trasferimento di beni e diritti a favore di un terzo. Nel caso in cui un Trust venga costituito senza conferimenti, senza arricchimento patrimoniale, l’imposta da pagare è solo quella di registro in misura fissa. Dopo aver enunciato quanto esposto, ad ogni modo, ritiene applicabile la tassa sulla donazione al caso di specie in quanto il disponente nella sua volizione ha trasferito dei beni immobili al trustee con un arricchimento dei beneficiari. Sul punto si è espressa anche la Sentenza della Corte Cassazione – Sezione 6, del 4 gennaio 2021, n. 13. 

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2. L’azione di riduzione e l’azione revocatoria nel Trust

In materia di donazione, nell’ambito del discorso sull’applicarla o meno in merito al Trust, credo sia utile parlare delle conseguenze producibili, nel caso in cui venga lesa la quota a favore degli eredi legittimari (quegli eredi che hanno diritto alla c.d. quota di legittima, rinvenibili nei figli, negli ascendenti e nel coniuge di chi viene a mancare). In questo caso, questi ultimi, in seguito alla morte del donante, possono esperire l’azione di riduzione, suscettibile di ordinaria prescrizione di dieci anni, ai sensi degli articoli 553 e seguenti del Codice Civile.
Un primo quesito da risolvere è da quando decorrono i dieci anni: la giurisprudenza ha avuto diversi orientamenti: Secondo la Sentenza della Cassazione Civile 11809/1997, questa inizia a decorrere dalla data di apertura della successione del testatore; Con la Sentenza di legittimità 5920/1999, invece, il termine di prescrizione decorre dalla data di pubblicazione del testamento mentre, con un altro orientamento più recente (Sentenza della Cassazione Civile 20644/2004), decorre dalla data in cui il chiamato accetta l’eredita.
Le donazioni, si riducono a cominciare dall’ultima risalendo man mano alle anteriori. Può accadere che nel frattempo, queste siano state vendute a terzi. In questo caso, l’articolo 563 dispone che se sono stati alienati beni dal donatario a terzi, i legittimari possono chiedere la restituzione dei beni dai successivi acquirenti, con un termine di prescrizione di 20 anni.
L’articolo 15 della Conv. Aja 1985 dispone che la disciplina sul Trust non deroga alle disposizioni di legge vigenti nei fori ratificanti, menzionando espressamente, alla lettera c), i testamenti e le quote di legittima; derivandone che i beni facenti parte di queste ultime, non possono essere sottratti con l’istituzione di un Trust. Secondo autori come Azzariti e Iannaccone: “il trust non può comportare la sottrazione dei beni che lo costituiscono alla disciplina della reintegrazione della quota riservata ai legittimari”.
Quindi, così come pensa anche la dottrina maggioritaria [8], nel momento in cui vengano lesi i diritti dei legittimari, sarà possibile esperire i rimedi quali l’azione di riduzione, nella parte occorrente per la reintegrazione della quota di riserva spettante. Se l’azione non è proposta entro il termine di dieci anni e questi decidano di rinunciare, le disposizioni e i trasferimenti di proprietà nascenti dal Trust, restano ferme.
Per Lupoi [9], invece, l’azione di riduzione è uno strumento poco adeguato per tutelare le pretese dei legittimari. Questi ultimi, potrebbero vedersi opposta l’assenza di legittimazione passiva nel comparire in giudizio, sia in capo al trustee (che non riceve un bene destinato a trovare collocazione definitiva nel proprio patrimonio), che in capo al beneficiario (che potrebbe opporre il non avere ancora ricevuto i beni oggetto di Trust).
Per lo stesso autore [10], il pregiudizio patito dagli eredi non consegue agli effetti del Trust in quanto tale ma “dalla dichiarazione di trust o dell’atto dispositivo che trasferisce i beni al trustee”. Quindi, è contro questi atti che il legittimario pregiudicato, “deve orientare la propria azione”.
Sempre per Lupoi [11] , una soluzione a tutela dei legittimari sarebbe quella di applicare l’art. 13 Conv. Aja, negando il riconoscimento al Trust. In questo modo, ci sarebbe il travolgimento del dispositivo lesivo con la conseguenza che il bene oggetto di trasferimento, rientrerebbe nel patrimonio del disponente.
Resta da stabilire chi sia, il legittimato passivo nell’eventuale azione di riduzione esperibile dai legittimari secondo il resto della dottrina e della giurisprudenza.
Secondo un orientamento della dottrina [12] , il legittimato passivo è da individuare nel beneficiario finale in quanto questo è l’unico soggetto ad avere un arricchimento economico. Questa ricostruzione, però pone dei problemi nel caso in cui nel momento in cui si apre la successione del disponente, non si riescano ad individuare chi siano i destinatari aventi l’arricchimento dal Trust. A risoluzione di questa problematica, sempre in dottrina, c’è chi conclude che nel caso di legittimato passivo non identificabile, il Trust sarebbe da considerarsi non riconoscibile.
A questo orientamento, se ne aggiunge un altro [13]  secondo cui, a seconda dei singoli casi, il legittimario può agire contro il trustee o contro il beneficiario. Nel periodo in cui il fondo di Trust non ha avuto la sua distribuzione al beneficiario, è il trustee ad essere legittimato passivo dell’azione e i beni vengono recuperati a lui; Se invece la distribuzione è avvenuta al beneficiario finale, diventa questo il soggetto contro cui esperire l’azione di riduzione. Anche per questa tesi vengono mosse delle critiche, in quanto il trustee non è destinatario di un arricchimento causato dal Trust e, la mutazione del legittimato passivo pare mettersi in antitesi con la natura del rimedio dato dall’azione di riduzione.
Secondo ulteriore altra dottrina [14], l’unico soggetto che andrebbe identificato come legittimato passivo contro cui esperire i rimedi a tutela dei legittimari, sarebbe il trustee; questo anche se i beni lesivi delle quote di legittima, siano nella sua disponibilità o meno. Secondo questo orientamento, il legittimato passivo continuerebbe ad identificarsi nella figura del trustee, anche in seguito alla distribuzione dei beni oggetto del Trust, al beneficiario finale; dovendo il legittimario agire in giudizio per la restituzione contro il beneficiario finale, dopo aver vinto il giudizio di riduzione nei confronti del trustee. Anche questa ricostruzione, non è condivisa appieno perché basata su un ragionamento viziato di incoerenza.
Venendo agli orientamenti giurisprudenziali sul tema, la sentenza  Trib. Venezia, 4 gennaio 2005, in un caso dove era già maturata la distribuzione in capo al beneficiario finale, ha ritenuto che il legittimato passivo dell’azione di riduzione fosse da rinvenire solo nel beneficiario finale senza neanche prendere in considerazione l’idea che potesse essere il trustee. Sembrerebbe l’unico caso in chi si è giunti a questa soluzione: In tutti gli altri precedenti giurisprudenziali di merito, in casi dove il vincolo istituito con il Trust durava anche oltre la morte del disponente, si è rinvenuta nel trustee la figura del legittimato passivo contro cui agire. In tal segno si segnalano le sentenze  Trib. Lucca 23 settembre 1997; App. Firenze 9 agosto 2011; Trib. Udine 14 agosto 2015; Trib. Lucca 19 aprile 2017; Trib. Imperia 21 novembre 2018.
Dopo aver parlato dell’azione di riduzione, vorrei spendere due parole sull’azione revocatoria a tutela dei creditori disciplinata dall’art. 2901 del Codice Civile italiano. Con questa, si vuole conservare la garanzia patrimoniale del creditore facendo dichiarare giudizialmente inefficaci, gli atti con cui il debitore ha disposto del patrimonio arrecando pregiudizio ai creditori, consentendo a questi ultimi la possibilità di esercitare sui beni oggetto dell’atto, l’azione esecutiva e realizzare il credito. Il creditore, può promuovere azioni conservative o esecutive sui beni oggetto dell’atto impugnato, anche nei confronti dei terzi acquirenti. La prescrizione per l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2903 c.c. è di cinque anni dal compimento dell’atto di disposizione del debitore.
Sull’azione revocatoria applicata al Trust, possiamo trovare un utile riferimento normativo nell’art. 15, lett. e) della Conv. Aja 1985. Questa disposizione, protegge i creditori nei casi di insolvibilità e si può estendere anche all’azione revocatoria; facendo si che, riconoscendo gli effetti del Trust, siano derogate le norme ed i “principi di ordine pubblico della legge  richiamata dalle norme di conflitto del foro” [15].
Citando della giurisprudenza di legittimità sul punto, si può menzionare la Sentenza 29/05/2018 n. 13388 della Cassazione Civile, dove in un’azione revocatoria con oggetto un bene conferito in un Trust, lo stato soggettivo del terzo a cui l’art. 2901 comma 2 c.c. rimanda, è quello del beneficiario finale e non invece quello del trustee.

  1. [1]

    T. Tassani, Sono sempre applicabili le imposte di successione e donazione sui vincoli di destinazione?, in Trusts, n. 4/2015, pp. 352 ss. E. Adducci, A. Di Zillo, A. Sani, Patrimoni separati – Creditori da fatto illecito e tutela della stabilità della società costituente patrimoni separati, Halley editrice, 2007, Matelica, p. 118.

  2. [2]

    S. Leconte, Non tutti i trust sono uguali, ovvero, i trust devono essere tassati in base ai loro effetti concreti, in Trusts n. 2/2013, pp. 137 ss.

  3. [3]

    P. Rotondo, E. Senini, E. Lizza, Profili donativi nel trasferimento al trustee di un trust liberale, in Trusts, n. 3/2003, p. 371.

  4. [4]

    D. Stevanato, La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione, in Trusts, n. 4/2015, p. 341

  5. [5]

    Anonimo, Trust testamentario e imposta sulle successioni, in Trusts 1/2011.

  6. [6]

    G. Errani, Il trust come liberalità indiretta “anomala” e il suo rapporto con le norme a tutela dei legittimari in Trusts, n. 4/2019, p. 382

  7. [7]

    G. Corasaniti, L’imposizione indiretta dei trust liberali: luci e ombre nella più recente giurisprudenza di legittimità, in Trusts n. 3/2019, pp. 305 ss

  8. [8]

    E. del Prato, M. Costanza, p. Manes (opera diretta da), Donazioni, atti gratuiti, patti di famiglia e trusts successori, Zanichelli editori, 2010, Bologna, pp. 657-658.

  9. [9]

    Lupoi, Lettera ad un notaio conoscitore di trust, in Riv. Not., 2001, p. 1163

  10. [10]

    Lupoi 2005, p. 263 citatio in, M. Sesta (a cura di), Codice delle successioni e donazioni, Volume 2, p. 942, Giuffrè editore

  11. [11]

    Lupoi, Op. Cit.

  12. [12]

    G. Errani, Op. Cit, pp. 394 ss.

  13. [13]

    Ibidem

  14. [14]

    Ibidem

  15. [15]

    G. Tucci, Trust, concorso del creditori e azione revocatoria, in Trusts, n. 1/2003, p. 24

Fabio Di Viesto

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