Il risarcimento del danno non costituisce una condizione di ammissibilità dell’ordinanza di ammissione della messa alla prova

Indice:

Il fatto

Il Tribunale di Salerno dichiarava non doversi procedere nei confronti una persona imputata in ordine ai delitti al medesimo ascritti, stante l’avvenuta estinzione degli stessi per esito positivo della messa alla prova.

In particolare, questo soggetto era accusato, in concorso con altra persona, dei delitti di cui all’art. 73, quarto comma d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 1), riqualificato in quello di cui al quinto comma dell’art 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, di resistenza aggravata a pubblico ufficiale di cui agli artt. 61 n. 2, 110 e 337 cod. pen. (capo 2) e di danneggiamento dell’autovettura di servizio degli agenti di polizia, che aveva speronato per sottrarsi al loro controllo, di cui agli artt. 61 n. 2, 110, 635, comma secondo, n. 1, in relazione all’art. 625 n. 7 cod. pen. (capo 3).

Sull’argomento, vedasi:

Giovanni Varriale, La sospensione del procedimento con messa alla prova, 1 aprile 2020 ;

Antonio Di Tullio D’Elisiis, Sospensione del procedimento con messa alla prova, 1 novembre 2021, ; Francesca Sforna, Ammissibilità della messa alla prova per gli enti alla luce delle recenti pronunce, 16 settembre 2021, ;

Mariachiara Gamen, La richiesta di messa alla prova è ammissibile anche per più reati, 12 giugno 2015, ;

Fulvio Graziotto, Basta un precedente per negare la messa alla prova?, 10 marzo 2016,  ;

Antonio Di Tullio D’Elisiis, All’inammissibilità dell’istanza di messa alla prova presentata in sede di opposizione a decreto penale non consegue, tout court, l’inammissibilità dell’opposizione a decreto penale, 5 novembre 2020

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore generale della Corte di Appello di Salerno deducendo che l’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova non sarebbe stata mai comunicata alla Procura Generale presso la stessa Corte di Appello e che aveva appreso della stessa solo per effetto della comunicazione della sentenza che aveva dichiarato estinto i reati, rilevando al contempo che l’ordinanza, che aveva disposto l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova, sarebbe stata illegittima in quanto, in violazione degli artt. 168 bis, secondo comma, cod. pen. e 464 bis, comma 4, lett. b), cod. proc. pen., non conterrebbe statuizioni relative al risarcimento del danno.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Era prima di tutto osservato che, secondo il disposto dell’art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen., «contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa».

Ciò posto, era altresì fatto presente come le Sezioni Unite abbiano interpretato restrittivamente questa disposizione statuendo che l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen., in quanto l’art. 464-quater, comma settimo, cod. proc. pen., nel prevedere il ricorso per Cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova (Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016).

Le Sezioni Unite hanno, pertanto, alla stregua di ciò, escluso la ricorribilità immediata dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione da parte dell’imputato, che è titolare del ben più ampio potere di rinnovare la richiesta di accesso al rito fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento e che, in ogni caso, una volta emessa la sentenza di primo grado, ha sempre la possibilità di appellare l’ordinanza congiuntamente alla sentenza, secondo la regola generale fissata dall’art. 586 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016) mentre, al contrario, il pubblico ministero avverso il provvedimento con il quale il giudice, vagliata preventivamente l’ammissibilità dell’istanza di messa alla prova, dispone la sospensione, è legittimato ad esperire, in via esclusiva, uno specifico strumento di impugnazione, ovvero il ricorso per Cassazione, previsto dall’art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen., con il quale può sollecitare il sindacato sulla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 168-bis cod. pen..

Oltre a ciò, era altresì fatto presente che, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche la sentenza con la quale il giudice, ai sensi dell’art. 469-septies cod. proc. pen., definisce il procedimento speciale di messa alla prova e dichiara che la prova ha avuto esito positivo con conseguente estinzione del reato è ricorribile per Cassazione secondo i principi generali fissati dall’art. 111, comma 7, Cost. e dall’art. 568, commi 2 e 3, cod. proc. pen. rilevando però al contempo che il perimetro della cognizione dei due giudizi di impugnazione attivabili dal pubblico ministero, quello avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen. e quello avverso la sentenza di cui all’art. 469-septies cod. proc. pen., è necessariamente diverso (Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020) osservando a tal proposito che, con il ricorso per Cassazione avverso la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato, non possono essere proposti motivi attinenti all’ammissibilità della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova (Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020) o all’originaria insussistenza di uno dei presupposti stabiliti dall’art. 168-bis cod. pen. per l’accesso al rito speciale (Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020) essendo i medesimi preclusi dall’avvenuta decorrenza del termine entro il quale deve essere proposta l’impugnazione avverso l’ordinanza di cui all’art. 464-quater, commi 3 e 7, cod. proc. pen. mentre, al contrario, ben potranno essere dedotte, secondo le regole ed i limiti del giudizio di legittimità, censure attinenti alla fase del procedimento successiva all’ordinanza di sospensione, di natura processuale ovvero errores in iudicando, anche sotto il profilo dell’illogicità della motivazione.

Orbene, alla stregua di ciò, la giurisprudenza di legittimità è giunta alla conclusione secondo cui è inammissibile il ricorso per Cassazione del pubblico ministero contro la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 464-septies, cod. proc. pen. quando denunci vizi afferenti il provvedimento di sospensione del processo, di cui all’art. 464-quater cod. proc pen, che avrebbero potuto essere fatti valere contro quest’ultimo (Sez. 5, n. 5903 del 14/01/2020, fattispecie in cui il procuratore generale aveva dedotto una violazione di legge per l’erroneo calcolo della durata del lavoro di pubblica utilità, riferita al provvedimento di sospensione del processo) fermo restando che il procuratore generale presso la Corte di Appello è legittimato ad impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della prova, qualora non sia stata effettuata nei suoi confronti la comunicazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza di sospensione (Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso del procuratore generale con il quale deduceva l’estraneità della fattispecie di reato a quelle per le quali è ammissibile il rito speciale).

Ciò posto, alla stregua di tali rilievi, secondo il Supremo Consesso, il ricorso proposto era stato tempestivo in quanto l’ordinanza di sospensione del processo e di ammissione dell’imputato alla messa alla prova non risultava essere stata comunicata al Procuratore generale ma era inammissibile in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge posto che le Sezioni Unite hanno affermato che il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento ammissivo, previsto dall’art. 464-quater comma 7, cod. proc. pen., è ammissibile solo per contestarne la legittimità e non già il merito e, pertanto, hanno affermato le Sezioni Unite, «non possono essere dedotte questioni rilevanti che attengono al merito, come ad esempio la quantità e la qualità degli obblighi e delle prescrizioni imposte, nonché i termini della loro esecuzione ovvero la congruità rispetto al fatto commesso e alle finalità rieducative che giustificano il provvedimento stesso» (Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016).

Per la Corte di legittimità, in particolare, la doglianza relativa alla mancata previsione di statuizioni risarcitorie nell’ordinanza ammissiva della messa alla prova esulava dal sindacato consentito al giudice di legittimità visto che l’elisione delle conseguenze dannose della condotta criminosa o il risarcimento del danno, nel sistema delineato dal legislatore per la messa alla prova, a differenza, ad esempio, di quanto è previsto in materia di accesso al patteggiamento con riferimento ad alcuni delitti contro la pubblica amministrazione o ai delitti tributari, non costituiscono una condizione per l’accesso al rito speciale visto che l’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. nei procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 bis del codice penale, sancisce, che l’ammissibilità della richiesta di applicazione della pena è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato, tenuto conto altresì del fatto che l’art. 13, comma 2-bis, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 prevede che, per i delitti in materia tributaria sanzionati nel medesimo decreto, le parti possano chiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (c.d. patteggiamento) solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti mentre radicalmente diversa è la disciplina dettata dal legislatore per l’eliminazione delle conseguenze del reato e il risarcimento del danno nella messa alla prova poiché l’art. 168-bis, secondo comma, cod. pen., sancisce che la «messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato».

Oltre a ciò, era inoltre evidenziato, una volta fatto presente che l’art. 464-bis, comma 4, lett. b), cod. proc. pen. prevede, che il programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, allegato all’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova contenga «le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale», come tali disposizioni dimostrino come, nel disegno del legislatore, il risarcimento del danno non costituisca una condizione di ammissibilità dell’ordinanza di ammissione della messa alla prova, bensì un contenuto del programma di trattamento, peraltro solo eventuale («ove possibile») dal momento che il risarcimento del danno potrà non essere «possibile» in ragione della natura del reato contestato, che non consente di configurare un danno risarcibile, dell’insussistenza o dell’irreparabilità della vittima o del danneggiato, ma anche delle condizioni economiche dell’imputato, che rendano la riparazione pecuniaria di fatto inesigibile; nella verifica di tale possibilità, si esercita la discrezionalità del giudice.

Tale disciplina consente, peraltro, anche di “compensare” l’assenza di risarcimento del danno per incapienza dell’imputato ammesso alla prova con una maggiore durata delle prescrizioni comportamentali o con la previsione di ulteriori impegni specifici.

A differenza del difetto delle condizioni di ammissibilità per disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova, che può essere sindacato in sede di legittimità (ex plurimis: Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019, relativa all’insussistenza dei limiti edittali per consentire l’accesso a tale rito speciale), pertanto, per la Corte di legittimità, la mancata previsione del risarcimento del danno, anche in relazione alla sua impossibilità nel caso di specie, attiene al novero delle censure di merito, quali quelle relative alla quantità e la qualità degli obblighi e delle prescrizioni imposte sottratte al sindacato della Corte di Cassazione visto che, secondo le Sezioni Unite, «la decisione del giudice sull’ammissione o meno dell’imputato alla prova trova il suo fulcro proprio nella valutazione di idoneità del programma, caratterizzata da una piena discrezionalità che attinge il merito» dal momento che il «giudizio sull’idoneità del programma, quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte “afflittiva” sia di quella “rieducativa”» postula una «valutazione complessa, connotata da una forte discrezionalità del giudizio che riguarda l’an e il quomodo dell’istituto della messa alla prova in chiave di capacità di risocializzazione, verificando i contenuti prescrittivi e di sostegno rispetto alla personalità dell’imputato, che presuppone anche la valutazione dell’assenza del pericolo di recidiva» (Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016).

Alla stregua di tali rilievi il ricorso proposto, quindi, era dichiarato inammissibile.

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che il risarcimento del danno non costituisce una condizione di ammissibilità dell’ordinanza di ammissione della messa alla prova, bensì solo un contenuto del programma di trattamento.

Di conseguenza, ove venga adottata una ordinanza di questo tipo, ossia che imponga il ristoro del danno come condizione di ammissibilità di accesso a questo rito speciale, ben potrà essere impugnato un siffatto provvedimento nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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