Il medico competente e il reato di falso

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Introduzione

L’attività del medico competente nell’ ambito operativo a lui riservato dal D.Lgs.81/08 è sempre più frequentemente oggetto di attenzione da parte dell’ autorità giudiziaria.

Il caso di specie, su cui si è pronunciata da ultimo la Suprema Corte, è di particolare interesse, perché il thema decidendum, di natura penale, è esterno al complesso normativo della sicurezza del lavoro, ed attiene alla sua – per alcuni di sicuro sorprendente – qualificazione di estensore di un atto pubblico, con quanto ne consegue in termini di obblighi e doveri.

 

Il fatto

Il dr. XY, medico competente della società cooperativa Z, viene riconosciuto nei due giudizi di merito responsabile dei reati a lui ascritti, a titolo di falsità materiale e di falsità ideologica commessi da pubblico ufficiale in atti pubblici, e condannato alle pene ritenute di giustizia.

A XY “si contesta di avere contraffatto, in concorso con il legale rappresentante… gli elettrocardiogrammi e l’esame spirometrico, atti facenti fede fino a querela di falso, di alcuni lavoratori, sovrapponendo alla data originariamente apposta, attraverso l’uso del “‘bianchetto’, quella dell’8 giugno del 2009, e, di conseguenza, le attestazioni di idoneità al lavoro in cui si attestava falsamente che i predetti lavoratori erano stati giudicati idonei alla mansione lavorativa di operaio ad essi assegnata in quella data, laddove, in realtà, le relative visite mediche erano state effettuate nel pomeriggio del giorno successivo, vale a dire il 9 giugno del 2009”.

 

Il ricorso

Ricorre per Cassazione il difensore lamentando violazione di legge:

1) “in relazione agli artt.476 e 479, c.p., con particolare riferimento alla mancanza del dolo, posto che,… lungi dall’agire allo scopo di favorire (il datore di lavoro)…, l’imputato ha modificato la data… non con l’intenzione di alterare il documento e di formare un falso, ma solo allo scopo di ricondurre tutte le visite… al momento in cui era effettivamente iniziato l’iter clinico, vale a dire al giorno 8.6.09, quando i lavoratori erano stati convocati dallo stesso imputato, iter che si era, poi, concluso il successivo 9.6.09, come dimostrato, tra l’ altro, dalla circostanza che in tale ultima data XY aveva visitato un altro lavoratore, convocato, a differenza dei precedenti, in quel giorno, cui aveva rilasciato tutta la certificazione con la data del 9.6.09;

2) in ordine al ritenuto concorso tra l’art.479 e 476, c.p., nel caso in esame non configurabile, in quanto la falsa attestazione della data di formazione degli elettrocardiogrammi e degli esami spirometrici dei lavoratori A, B e C, non ha veste autonoma rispetto all’alterazione dei suddetti documenti, attenendo la falsità consistente nell’alterazione della data, alla essenza materiale del documento e non al suo contenuto ideale”.

 

La decisione

Così la Cassazione motiva la propria decisione. 

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto, con riferimento al secondo motivo di impugnazione…

Come chiarito da tempo dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, nell’ affrontare il tema del concorso formale tra falso ideologico e falso materiale, nel caso in cui la falsità concerne lo stesso documento, non può ricorrere il reato di falso ideologico, in quanto, trattandosi di documento alterato o contraffatto, non è possibile che esso sia anche idoneo ad ingannare i terzi in ordine al suo contenuto di veridicità, essendo, per l’appunto, irrilevante se sia veridico o meno un atto materialmente falso.

Può, dunque, affermarsi, che integra soltanto il delitto di falsità materiale di cui all’art. 476 c.p., e non anche la ‘falsità ideologica’ punita dall’art. 479 c.p., la falsa rappresentazione della realtà mediante l’alterazione di un documento pubblico, giacché in tal caso la falsità consiste nella alterazione della ‘genuinità’  del documento, come, ad esempio, nel caso di formazione di un verbale attestante l’espletamento di una riunione non svolta (cfr. Cass., sez. V, 21/12/2005, n. 14292, rv 234580; Cass., sez. V, 22/4/1997, n. 5495, rv. 208015; Cass., sez. V, 27/9/2005, n.38083, rv. 233076). Orbene tale profilo non è stato minimamente preso in considerazione dalla corte territoriale.

Il giudice di secondo grado, infatti, confermando la valutazione operata dal giudice del rito abbreviato, da un lato, ha correttamente ritenuto configurabile il delitto di falsità materiale nella alterazione della data apposta sui referti degli elettrocardiogrammi e degli esami spirometrici relativi ai lavoratori A, B e C; dall’altro, ha confermato la sentenza…, ritenendo la sussistenza del falso ideologico con riferimento alle attestazioni di idoneità al lavoro…, pur riconoscendo la contraffazione di tali attestazioni nella parte in cui recano la data dell’8.6.2009, dimostrata dalla circostanza che esse non potevano risalire ad una data anteriore al 9.6.2009, ‘in cui sono stati effettuati gli accertamenti da cui è disceso il giudizio di idoneità’ (cfr. p. 3 della sentenza…). Evidente, dunque, l’aporia interpretativa, che va sanata, tra l’avere riconosciuto, al tempo stesso, in relazione ai medesimi documenti (le attestazioni di idoneità al lavoro) l’avvenuta contraffazione e la sussistenza del falso ideologico.

Si impone, pertanto, sul punto, un annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione…, da condurre alla luce dei principi di diritto in precedenza indicati; esame che, ovviamente, coinvolgerà anche il profilo dell’elemento soggettivo del reato, che in tema di falsità documentale in atto pubblico, sia essa materiale o ideologica, si presenta come dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato ‘in re ipsa’, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (cfr., ex plurimis Cass., sez. III, 14/5/2015, n. 30862, rv. 264328).

 

Commento

Il reato di falso

La Suprema Corte si muove all’ interno di un indirizzo giurisprudenziale consolidato (peraltro disatteso dalle corti di merito), secondo il quale – sinteticamente – laddove si ravvisino gli elementi caratteristici del falso materiale, ciò risulta incompatibile con la qualificazione del fatto anche a titolo di falso ideologico, in quanto, con le stesse parole della sentenza, “appare… irrilevante se sia veridico o meno un atto materialmente falso”.

Escluso dunque il reato di falso ideologico per non cadere in tale contraddizione logica, resta ancora quello di falso materiale (consistente nell’ alterazione della data), per il quale viene richiesto alla Corte di Appello di rivalutare il profilo soggettivo del dolo dell’ agente, dovendosi infatti ritenere penalmente irrilevante l’ ipotesi di un falso materiale di natura colposa (che riveste più il carattere dell’ errore, pur colpevole, sul fatto attestato).

Nel caso di specie, verrà in rilievo nel nuovo giudizio la credibilità logica delle motivazioni addotte dal medico a giustificazione della propria condotta, che, pur non prive di pregio anche agli occhi della Cassazione, non appaiono però così solide. Si intravvede infatti – per quanto si può comprendere dall’ esposizione sommaria dei fatti riportata in sentenza – una possibile motivazione della correzione, quella di poter fornire cioè a terzi (datore di lavoro e/o organo di vigilanza) documentazione (i giudizi di idoneità dei lavoratori alla mansione specifica) antedatata al giorno in cui era stato iniziato – anziché concluso – l’ iter clinico-diagnostico con la convocazione a visita (il giorno 8 giugno, in luogo del 9 in cui furono pacificamente eseguiti gli esami).

È pur vero – a sostegno della tesi difensiva di una condotta non dolosa – che per un altro lavoratore,   convocato nella data del 9, la modifica in parola non era stata compiuta.

Vi è inoltre, a favore dell’ imputato, il dato obiettivo del carattere palese dell’ alterazione al documento, operata mediante correttore (comunemente definito ‘bianchetto’), che potrebbe anch’ esso far propendere per la buona fede di un medico magari per altro verso forse si potrebbe imputare una certa “leggerezza” o “negligenza” (per attenersi rigorosamente alle espressioni della sentenza).

Peraltro, per conforme giurisprudenza, è richiesto “un dolo generico, che consiste nella consapevolezza della immutatio veri, non essendo richiesto l’animus nocendi vel decipiendi (vedi Cass., Sez. 5^, 13 gennaio – 5 marzo 1999, n. 3004). Non si tratta, però, di un dolo in re ipsa, perché anzi deve essere provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza dell’agente”[1].

Su questi aspetti la Suprema Corte chiama a decidere il giudice del rinvio, speriamo in senso positivo per il medico.

 

Natura della documentazione redatta dal medico competente

Fa riflettere piuttosto, e merita un esame più approfondito in questa sede, il principio incontestato – e neppure oggetto di ricorso del difensore – che l’ atto formato dal medico competente in un ambito professionale essenzialmente privatistico (quale quello dell’ espletamento dell’ incarico di medico competente ai sensi dell’ art.38 e seguenti del D.Lgs.81/08, per nomina del datore di lavoro) abbia i caratteri di atto di fede privilegiata assimilato all’ atto pubblico, e sia dunque soggetto al relativo regime sanzionatorio.

I documenti qui pacificamente ritenuti tali consistevano nei referti di spirometrie ed ECG, eseguiti nell’ambito di un protocollo sanitario finalizzato alla espressione del giudizio di idoneità dei lavoratori, e nei correlativi giudizi di idoneità alla mansione specifica.

E’ un dato acquisito dalla dottrina e dalla giurisprudenza in rapporto a vari ambiti normativi che, ai fini della individuazione della natura di atto pubblico, non rilevi, a mente dell’art.357 c.p., la qualificazione pubblica o privata del soggetto che lo forma, quanto la finalità dell’ atto stesso.

Potrebbe tuttavia trovare applicazione almeno al fatto degli esami strumentali, la più ben più lieve fattispecie tipizzata dall’art.481 c.p., che, sempre all’interno dei delitti contro la fede pubblica, punisce:

1. Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 51 euro a 516 euro.
II. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro”.

Si tratta in questo caso di un reato proprio del professionista sanitario comunque inteso, compiuto nell’ esercizio della propria professione (come potrebbe essere il caso del medico competente), mentre il caso previsto e punito dall’art.476 c.p. fa riferimento in senso più generale alla qualifica di pubblico ufficiale e/o alla formazione di un atto (falso nelle sue varie declinazioni) di natura pubblicistica, destinato a produrre effetti giuridici ulteriori rispetto alla sfera dei “fatti” di natura sanitaria che vengono attestati.

Una questione da dirimere è se, e in che misura, l’attività tipica del medico competente possa aver carattere pubblicistico, e, più specificamente, possa implicare effetti giuridici tali da poter integrare i caratteri di atto pubblico di fede privilegiata – e, di conseguenza, qualificare almeno in determinate circostanze la sua opera come quella di un pubblico ufficiale.

Appare innanzitutto evidente come l’ambito normativo attualmente coperto dal D.Lgs.81/08, e con esso il ruolo del medico competente che esso delinea[2], presenti un profilo di significativo interesse pubblicistico, anche con riferimento al rango costituzionale in cui si inserisce.

La dottrina ha sempre distinto un sistema pubblico, con principale funzione regolatoria e di controllo, ma anche di informazione ed assistenza, rappresentato dallo Stato, dalle Regioni e da tutte le pubbliche amministrazioni richiamate dalla norma (ASL, Direzione territoriale del lavoro, VV.F., INAIL, ecc.), da un sistema privato, che si può anche definire di livello aziendale, cui compete principalmente l’attuazione della normativa, in senso giuridico-formale, ma anche in senso tecnico-operativo.

La figura del medico competente[3], disciplinata dagli art.38 e seguenti del D.Lgs.81/08, appartiene, in quanto nominata dal datore di lavoro, a questo secondo sistema, ed esplica la propria azione a due livelli:

-svolgimento di compiti propri (ad es. le varie norme in materia di sorveglianza sanitaria, la esecuzione di sopralluoghi negli ambienti di lavoro);

-attività di supporto/consulenza al datore di lavoro, sia a carattere obbligatorio (es. partecipazione alla valutazione dei rischi) che su richiesta dello stesso[4].

In quest’ultimo caso è ben difficile che il medico competente possa rispondere di falso, eccezion fatta (e verosimilmente in concorso con il datore di lavoro) per il caso di “impedimento del controllo”, condotta che, in materia di ambiente e sicurezza del lavoro, è punita dall’art.452-septies c.p. di recente introduzione, in relazione ad azioni che illecitamente contrastino l’accesso e la vigilanza (incluso l’ intralcio e addirittura la compromissione degli esiti) da parte delle autorità competenti.

Si tratta di delitto doloso che ad oggi risulta ben di rado contestato, né si è al momento a conoscenza di giudicati definitivi in materia per fatti inerenti la sicurezza del lavoro, ma che si potrebbe ben concretizzare con la produzione di documentazione a vario titolo falsa.

 

Caratterizzazione della documentazione

Occorre dettagliare meglio le diverse tipologie di documentazione che il medico competente è chiamato a redigere; gli atti professionali del medico competente hanno infatti un correlato materiale nella compilazione di documenti, cartacei o informatizzati:

a-con forma obbligatoria (es. le cartelle sanitarie e di rischio – che devono essere conformi all’ allegato 3A, D.Lgs.81/08);

b-con forma libera, ma caratterizzate da contenuti stabiliti dalla legge (es. il giudizio di idoneità alla mansione specifica);

c-con forma libera, che debbano però attestare l’avvenuto adempimento di un obbligo (es. la relazione sanitaria da presentare all’atto delle riunione periodica di cui all’art.35, D.Lgs.81/08, nei casi in cui questa è prevista);

d-a finalità medico-legale, in quanto previsti da norme particolari (referto, denunce, certificati, con o senza specifici format);

e-professionali, non specificamente normati dal D.Lgs.81/08, che attestano – secondo le leges artis – l’ esecuzione di atti medici compiuti ai sensi dell’art.41, c.4 (ad es. proprio gli esami strumentali eseguiti nell’ambito del protocollo sanitario stabilito, ivi definiti “esami clinici e biologici ed indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente).

È pur vero che alcuni dei documenti sopra richiamati possono entrare a pieno titolo all’interno di un procedimento amministrativo definito dal D.Lgs.81/08, quale il ricorso avverso il giudizio di idoneità di cui all’art.41, c.9: in particolare, la cartella sanitaria e di rischio, di cui all’art.25, c.1, lett.c), e lo stesso giudizio di idoneità, redatto obbligatoriamente in forma scritta ai sensi dell’art.41, comma 6-bis, che si configurano quindi – secondo questa linea interpretativa – sin dalla loro formazione come documenti di fede pubblica.

Tale procedimento si concretizza nel ricorso, da parte del lavoratore o del datore di lavoro, all’ organo di vigilanza, per ottenere la rivalutazione del giudizio di idoneità. L’organo di vigilanza (del Servizio Sanitario Nazionale, ove la normativa non disponga diversamente) è l’autorità responsabile del procedimento e dell’emissione del relativo provvedimento di conferma, modifica o revoca.

Proprio la data del giudizio rileva nel procedimento, in quanto la medesima norma stabilisce un termine tassativo di trenta giorni dalla comunicazione (da ciò si evince che le due date possono non coincidere, ma in questo caso è necessario che entrambe siano individuabili all’ interno del documento che comunica il giudizio, o dagli estremi di una trasmissione tracciabile alle parti interessate).

Ugualmente la datazione rileva, in caso di ispezione dell’organo di vigilanza, ai fini della valutazione del corretto adempimento degli diversi obblighi di legge da parte del medico competente entro i termini di volta in volta previsti.

E procedimento amministrativo è per sua natura la stessa vigilanza nei luoghi di lavoro, al netto dei possibili riflessi in ambito penale.

 

Un tentativo di interpretazione unitaria

In tutti i casi esaminati, è difficilmente contestabile l’evidenza oggettiva che questi documenti, pur essendo formati da un soggetto esterno alla pubblica amministrazione (il medico competente) in un contesto di interesse pubblico, ma non con evidente natura di atto pubblico (come è il caso dell’ attuazione delle norme in materia di sicurezza e salute, che è compito del sistema cosiddetto privato, che fa riferimento alla responsabilità del datore di lavoro e alle varie figure aziendali), debbano poi, all’ occorrenza, far fede nell’ ambito di procedimenti amministrativi, e possano essere dunque considerati – in termini di finalità per così dire secondaria ed accessoria, ma assai rilevante a motivo della tutela penale cui sono sottoposti – come facenti fede sino a querela di falso.

In altri termini, questo carattere sembrerebbe emergere con evidenza solo laddove la documentazione fosse prodotta alla pubblica amministrazione (per comprovare l’adempimento di un obbligo), o da questa richiesta ed acquisita nel corso dell’ attività di vigilanza (per nulla dire dei casi in cui la materia fosse di interesse penale e la documentazione dovesse malauguratamente entrare nel processo penale).

Eppure, se tale diviene in queste situazioni, la si dovrebbe considerare tale anche ex ante, proprio in vista di tali possibili – e indubbiamente prevedibili – sviluppi.

Pacificamente un carattere pubblicistico si appalesa anche nella citata documentazione medico-legale cui il medico competente è obbligato in presenza di specifiche previsioni normative, quali le denunce, i referti e le certificazioni INAIL di malattia professionale: su questa non è utile in questa sede diffondersi ulteriormente.

Se la tesi dell’applicabilità del reato di falso alla cartella sanitaria e di rischio del medico competente è sostenuta da Masciocchi[5], che ne sottolinea anche l’idoneità probatoria in ambito processuale, è invece sintomatico che un illustre giurista, con grande esperienza nel campo della sicurezza del lavoro come Beniamino Deidda, nel recentissimo testo citato in nota (3), non affronti per nulla il problema in una trattazione pur estesa ed approfondita delle responsabilità penali del medico competente: si tratta infatti di un tema assai scivoloso.

Enfatizzare infatti oltre misura il carattere funzionalmente pubblicistico dell’ attività del medico competente può infatti portare a conseguenze persino imprevedibili, rendendo la sua posizione ancora più precaria di quanto non appaia già nella rappresentazione corrente, schiacciata tra l’ assolvimento di obblighi propri (che non sono solo quelli esplicitati dalla norma, ma sono anche, ad esempio, il dovere assoluto di tutela della salute del lavoratore) e l’ adempimento, anch’ esso leggibile in filigrana nella normativa, di un ruolo consulenziale e di supporto all’ azione di prevenzione del datore di lavoro (che, oltretutto, in caso diverso rimarrebbe relegato al ruolo di  «terzo pagante» del servizio fornito dal medico competente, con l’ unico potere di designare il professionista senza poter in alcun modo interagire con questi al di fuori di momenti di consultazione imposti dalla stessa normativa).

Nel caso della esecuzione di un atto medico come un esame strumentale non è invece di assoluta evidenza che la modifica della data di esecuzione possa essere trattata alla stregua del documento attestante il giudizio di idoneità o della cartella sanitaria e di rischio, in presenza di una specifica norma incriminatrice quale il citato art.481 c.p. in materia di “certificazioni”, quali le refertazioni di esami sostanzialmente sono – pur restando incontestato il fatto che il medico abbia l’ obbligo di attestare fatti veri secondo i dettami della propria “arte”.

Nel caso specifico, anche la data che si apprende recasse il giudizio di idoneità (8 giugno) era “falsa” proprio in relazione (o conseguente) alla alterazione della data degli esami strumentali (da qui è possibile che discendesse la censurata condanna anche per falso ideologico).

Occorre dunque recepire il messaggio di questa sentenza della Cassazione, che richiama il medico competente a responsabilità che forse non sono prima facie così evidenti, ma pur presenti, e il cui perimetro, però, dovrebbe probabilmente essere meglio delimitato dal legislatore.

Il medico competente dovrebbe quindi aver ben presente caso per caso la pluralità di ruoli – incluso quello evidenziato dalla Cassazione – che gli sono attribuiti, per poter assolvere in modo efficace (e deontologicamente corretto) al proprio compito.

 

Conclusioni

La sentenza in commento apre forse ulteriori scenari potenzialmente tragici per il medico competente nel suo difficile cammino professionale, dopo l’annosa questione del contributo alla valutazione dei rischi[6]?

Ci permettiamo di concludere con una nota di maggiore ottimismo: la corretta tenuta della documentazione tecnico-professionale, comunque denominata, è un obbligo deontologico per tutti i medici[7], ed il medico competente non può far eccezione.

La giurisprudenza, sia civile che penale, nonché la riflessione medico-legale, hanno da tempo enucleato criteri di correttezza applicabili alla tenuta della documentazione, che possono e devono essere conosciuti ed applicati puntualmente.

Se e quando fatti di questa natura ricadono sotto la lente della giustizia penale, l’ attenzione a mantenere un corretto comportamento professionale, non solo sotto gli aspetti tecnici, ma anche deontologici, può infatti valere ad esimere il medico da ogni responsabilità – o almeno a fornirgli solide argomentazioni difensive in sede di indagini preliminari o di processo.

Viceversa, ogni leggerezza, anche l’ uso di un banale e (apparentemente) innocente ‘bianchetto’, può esporre il fianco a censure anche pesanti come quella subita nei giudizi di merito da questo sfortunato collega.

 

Paolo Del Guerra

dirigente medico di medicina e sicurezza negli ambienti di lavoro

Azienda USL Toscana Centro – Unità Funzionale PISLL di Empoli

 

Corrispondenza:

Paolo Del Guerra

Dipartimento di Prevenzione Azienda USL Toscana Centro, Unità Funzionale PISLL, via dei Cappuccini, 79 – 50053 Empoli

p.delguerra@uslcentro.tosca

 

[1]   sCass., sez. V pen., 3 giugno 2010, n. 29764.

[2]    Fanelli J. Gli illeciti concernenti l’effettività dei controlli. In: (a cura di Giunta F, Micheletti D.) Il nuovo diritto penale della sicurezza del lavoro, Giuffré ed., Milano, 2010; p.318-ss: qui si parla di ruolo funzionalmente pubblicistico, che ne giustifica anche la sottoposizione a controllo pubblico.

[3]    Per una trattazione esaustiva del tema in relazione al medico competente si veda Deidda B, Monni L. La responsabilità penale del medico competente. Giappichelli ed., Torino, 2015; p.23-ss.

[4]    Si veda in merito anche Cass., III sez.pen., 15 gennaio 2013, n.1856, in materia di contributo del medico competente alla valutazione dei rischi.

[5]    Sicurezza sul lavoro: profili di responsabilità. Adempimenti. Procedure. Formulario. IPSOA – INDICITALIA Wolters Kluver, Assago (MI) 2010; p.411-ss.

[6]    Cfr. nota 4.

[7]    Codice di Deontologia Medica 2014, artt.25-26. Consultabile all’URL: https:portale.fnomceo.it/fnomceo/Codice+di+Deontologia+Medica+2014.html?t=a&id=115184 accesso al 12.05.16

Sentenza collegata

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Del Guerra Paolo

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