Il futuro della tutela contrattuale dei consumatori alla luce della Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori

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La tutela contrattuale del consumatore a livello comunitario sta per essere riscritta. Dopo un lungo periodo di discussione (ed un ridimensionamento dell’originario progetto di dar vita ad un vero e proprio codice europeo), va materializzandosi una significativa revisione dell’acquis, cioè il complesso delle regole che riguardano la tutela giuridica del consumatore.
Da tempo si giudicava necessario un intervento di ammodernamento delle attuali direttive, alcune delle quali sono assai risalenti. L’iniziativa comunitaria su questo versante prende le forme di una Proposta di Direttiva “sui diritti dei consumatori”[i] che intende coordinare in un unico provvedimento quattro precedenti direttive che assorbono, in pratica, l’intera tutela negoziale del consumatore.
E’ preliminarmente necessario osservare che il compito appare impegnativo: il diritto dei consumatori si è andato sedimentando in questi anni negli ordinamenti degli Stati membri e l’Europa ha allargato i suoi confini a realtà giuridicamente assai variegate. Per questo non sarà agevole trovare rapidamente il necessario consenso sul testo da approvare che, per la verità, ad oggi presenta alcune rilevanti criticità.
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La proposta persegue l’ambizioso obiettivo di riunire ed armonizzare le seguenti direttive: la numero 85/577/CEE, relativa alla tutela dei consumatori nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali, la direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti, la direttiva 97/7/CE, riguardante i contratti a distanza e la direttiva 1999/44/CE, inerente taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.
Tali direttive vengono oggi ad essere coinvolte dalla Proposta con l’intento di dare alla luce un quadro unitario di regole valide per tutti gli Stati membri: è bene ricordare, infatti, che le direttive preesistenti contengono clausole di armonizzazione minimache, consentendo agli Stati membri di mantenere o adottare norme più severe in materia di tutela dei consumatori, hanno prodotto il risultato di un quadro normativo frammentato all’interno del mercato europeo. A ciò si aggiunga il lievitare dei costi per le imprese che desiderano operare a livello transfrontaliero[ii], con conseguente rischio di discriminazioni geografiche verso i consumatori residenti nei Paesi "periferici"[iii].
È perfettamente comprensibile che tale disomogeneità comporta una resistenza delle imprese a vendere ai consumatori oltre frontiera, traducendosi in un pregiudizio per lo stesso acquirente, il quale non può beneficiare completamente del mercato interno in termini di quantità di offerte disponibili e di convenienza dei prezzi.
Pur condividendo lo spirito per il quale la nuova Direttiva intenderebbe proporsi con un approccio di armonizzazione massima o completa[iv], l’aspirazione a realizzare i vantaggi del mercato transfrontaliero delle vendite a distanza non deve però indurre a trascurare l’esigenza di un concreto innalzamento dei livelli di tutela attualmente riconosciuti ai consumatori.
Un miglior funzionamento del mercato interno, aumentando la fiducia del consumatore nei suoi acquisti e riducendo la riluttanza delle imprese ad operare a livello transfrontaliero, sono finalità fondamentali che non possono tuttavia prescindere da una verifica concreta sugli impatti che la nuova normativa potrà avere sugli ordinamenti interni.
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La proposta di direttiva si compone di sessantasei considerando e di cinquanta articoli, distribuiti in sette capi, secondo un ordine concettuale diverso rispetto al nostro Codice del Consumo
Il Capo I riguarda l’oggetto, le definizioni (art. 2), il campo di applicazione della direttiva e si chiude con la clausola di armonizzazione completa contenuta nell’art.4.
Il Capo II[v] entra nel merito degli obblighi informativi gravanti sui professionisti ed introduce una previsione originale con riguardo agli “intermediari” che concludono contratti in nome e per contro di un altro consumatore, in modo tale che sia chiaro che l’accordo, risultando concluso tra due privati, non è soggetto alla disciplina della direttiva in questione.
Il Capo III[vi] è dedicato alla disciplina dei contratti a distanza e dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali. Viene ammodernato il quadro informativo e la regolamentazione del diritto di recesso (tempi, esercizio ed efficacia). In esso si fa anche riferimento ad un modulo standardizzato da utilizzare per il recesso riprodotto nell’allegato I B.
Il Capo IV[vii] riformula la direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, segnalandosi per la nuova disciplina del passaggio del rischio.
Il Capo V[viii] è riservato alla disciplina dei contratti in generale e riflette ampiamente le disposizioni della direttiva 93/13/CE sulle clausole abusive, della quale vengono ad essere modificati anche gli allegati contenenti le clausole che sono considerate abusive in qualsiasi circostanza (c.d. lista nera, contenuta nell’Allegato II) e quelle presuntivamente abusive (c.d. lista grigia, contenuta nell’Allegato III). Detti elenchi possono essere modificati solo mediante la "procedura di comitato" prevista dall’art. 40 della nuova proposta di direttiva
Il Capo VI[ix] contiene le “disposizioni generali”, includendovi anche l’articolo in merito alla fornitura non richiesta, mentre il Capo VII[x], riguarda le “disposizioni finali”.
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Come si è avuto modo di evidenziare, pur considerando la necessità di agevolare lo sviluppo del mercato interno, il consumerista non può accettare che la proposta di direttiva abdichi all’esigenza di concreti ed effettivi miglioramenti del quadro giuridico di tutela dei consumatori nell’ambito contrattuale.
Le vigenti direttive in materia di clausole vessatorie, contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali, contratti a distanza e garanzie sulla vendita dei beni di consumo, rappresentano, infatti, a tutt’oggi un quadro di tutela sufficientemente sperimentato: evidentemente, nel momento in cui si chiede ai consumatori europei di metabolizzare nuove regole di vita, si deve essere certi che queste siano migliorative, tanto più in virtù del nuovo approccio d’armonizzazione.
Per quanto riguarda l’impatto delle misure previste dalla proposta sull’ordinamento italiano, non è questa la sede per un approfondimento di dettaglio, ma un esempio può spiegare perché le organizzazioni di consumatori italiane si aspettano che la Commissione si impegni nel riformulare alcuni aspetti.
Posso citare un tema molto caro ai consumatori che è quello del diritto di ripensamento, già previsto nel caso di vendite cosiddette aggressive, cioè quelle negoziate fuori dai locali commerciali o “a distanza” (attualmente disciplinato dagli artt. 64 e seguenti del Codice del consumo).
Ebbene se per un verso la proposta di Direttiva prevede, in ordine alla "durata del periodo di recesso" (art. 12), un termine omogeneo[xi] di 14 giorni di calendario, più ampio rispetto all’attuale secondo il nostro Codice (di 10 giorni lavorativi), nello stesso tempo si introducono altre regole invece più favorevoli per il professionista.
In particolare, un imperdonabile abbassamento di tutela per l’ordinamento italiano si rintraccia nella previsione delle decorrenze: nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali,il termine per recedere decorrerebbe, secondo la proposta, "dal giorno in cui il consumatore firma il buono d’ordine e, qualora quest’ultimo non sia su supporto cartaceo, da quando riceve una copia dell’ordine su un altro mezzo durevole". Mentre, nel Codice del Consumo (all’art. 65 lett. b), il periodo di recesso, sia che si tratti di contratti porta a porta che di contratti a distanza, decorre dalla consegna del bene acquistato.
Come se ciò non bastasse, è davvero stupefacente l’accondiscendenza del legislatore europeo alle pressioni del trade relativamente agli obblighi del professionista in conseguenza del rituale esercizio del diritto di recesso. A mente dell’art. 16, paragrafo 2, della proposta di Direttiva, infatti, il commerciante sarebbe legittimato a "trattenere il rimborso finché non abbia ricevuto o ritirato tutti i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver restituito i beni".
Si tratta di una vera assurdità che non tiene in minima considerazione il concreto svolgimento delle cose: nella realtà dei traffici è spesso il consumatore ad essere riluttante davanti alla possibilità di recedere per via dei costi necessari a restituire il bene e per il timore che il commerciante ometta (o renda difficoltosa) la restituzione del prezzo pagato. Ecco allora che la proposta dovrebbe prevedere esattamente il contrario, consentendo al consumatore di trattenere il bene finché non abbia ricevuto il rimborso del prezzo da parte del venditore: la Commissione sembra dimenticare in questo frangente che da un lato c’è una parte privata e dall’altro un professionista che -eventualmente- avrà gioco facile nel recuperare la somma nel caso in cui sia il consumatore a violare gli obblighi di restituzione.
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L’intervento comunitario che viene materializzandosi con la proposta di Direttiva COM (2008) 614 è stato presentato come un momento di svolta nel processo normativo per la sua idoneità ad introdurre concreti ed effettivi miglioramenti del quadro giuridico di tutela dei consumatori nell’ambito dei rapporti contrattuali.
Tuttavia il primo esame dell’articolato induce ad una necessaria cautela per via dei molti nodi che restano ancora da sciogliere. C’è da sperare che, considerata la rilevanza dell’iniziativa, questi possano essere affrontati con maggior dialogo fra l’UE, i singoli Stati membri e le aggregazioni dei consumatori, così da definire un testo che risponda nel miglior modo possibile all’effettiva esigenza di tutela richiesta dagli attuali mercati. Solo così l’Europa degli anni duemila potrà essere ancora l’Europa dei consumatori.
 
 
Avv. Massimiliano Dona
 
 
 
 
NOTE:


[i] Si tratta del provvedimento COM (2008) 614, “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori”, disponibile all’indirizzo <http://ec.europa.eu/consumers/rights/docs/COMM_PDF_COM_2008_0614_F_IT_PROPOSITION_DE_DIRECTI VE.pdf>
[ii] Secondo l’Eurobarometro 2008, il 60% dei commercianti ritiene che i costi addizionali dovuti al fatto di dover adempiere a diverse normative nazionali costituiscano un importante ostacolo al commercio transfrontaliero tra imprese e consumatori e circa la metà del 75% dei commercianti che attualmente non vende a livello transfrontaliero ha indicato che lo farebbe se ci fosse un’armonizzazione delle normative esistenti.
[iii] Si deve essere altresì consapevoli delle prescrizioni contenute nel Regolamento CE n. 593/2008, relativo alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d Regolamento Roma I che entrerà in vigore alla fine del 2009). Secondo detta normativa i consumatori che concludono un contratto con un operatore commerciale estero non possono essere privati della protezione derivante dalle norme inderogabili del loro paese di residenza: un commerciante che desidera vendere a livello transfrontaliero, dovrà quindi sostenere notevoli spese (consulenze legali ed altri adempimenti) per essere certo di rispettare il livello di tutela vigente nel paese del consumatore.
[iv] Per convincersene basterà osservare, rispetto alla crescita significativa di questi commerci negli ultimi anni, il limitato numero di vendite realizzate oltre frontiera. Tale discrepanza è rilevante soprattutto per le vendite via internet, che attendono ancora di vedere realizzate a pieno le prospettive di crescita. Secondo i dati raccolti dall’UE e pubblicati in un comunicato stampa dell’8 ottobre 2008, già 150 milioni di cittadini UE – un terzo della nostra popolazione – fa acquisti tramite internet, ma fin’ora soltanto 30 milioni di loro fa acquisti transfrontalieri on-line. Nel complesso, gli acquirenti transfrontalieri spendono una media di 800 euro all’anno, pari ad un totale di 24 miliardi di euro, il che dimostra le enormi potenzialità del mercato interno che si realizzerebbero se un maggior numero di persone si avventurassero a fare acquisti al di fuori dei propri confini.
[v] A partire dall’art. 5, rubricato "Informazioni per i consumatori".
[vi] A partire dall’art. 8, rubricato "Informazioni per il consumatore e diritto di recesso per i contratti a distanza e per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali"
[vii]A partire dall’art. 21, rubricato "Altri diritti del consumatore specifici ai contratti di vendita."
[viii]A partire dall’art. 30, "Diritti dei consumatori in materia di clausole contrattuali".
[ix] A partire dall’art. 40, rubricato "Disposizioni generali".
[x] A partire dall’art. 47.
[xi] Sul punto va precisato infatti che le precedenti norme non prevedevano esplicitamente un termine (si vedano le direttive n. 85/577/CEE relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali e n. 97/7/CE in materia di contratti a distanza) e così facendo avevano consentito ai singoli Stati di stabilire diversi periodi per il cosiddetto cooling-off period. In Italia, com’è noto, questo termine è stato per lungo tempo di sette giorni di calendario (per le vendite fuori dei locali commerciali) e di dieci lavorativi (per le vendite a distanza): un bel rompicapo per il consumatore costretto a confrontarsi non solo con due diversi termini temporali, ma anche con due diverse modalità di calcolo (giorni di calendario per le prime, giornate lavorative per le vendite a distanza). Tali difficoltà, come è noto, erano poi state sanate dal nostro legislatore, uniformando termini e modalità di calcolo in quei dieci giorni lavorativi previsti attualmente dall’art. 64 del Codice del Consumo.

Dona Massimiliano

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