Il diritto di sopraelevazione e l’ambito di applicazione dell’art.  873 c.c.

Redazione 09/10/19
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In che rapporto si pone il diritto di sopraelevazione rispetto alle norme del codice civile che disciplinano le violazioni delle norme in tema di edilizia e, in particolare, sulle distanze?

Per approfondire questo argomento leggi anche “Manuale del contenzioso condominiale” di Riccardo Mazzon.

Lineamenti generali del diritto di sopraelevazione.

In base all’art. 1127 c.c. “Il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono. I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare”.

Discussa è la natura del diritto di sopraelevazione. Secondo alcuni il diritto di sopraelevazione costituisce espressione della generale facoltà di edificare spettante al proprietario. In quest’ottica l’ultimo piano del condominio equivarrebbe al “suolo”. Secondo una diversa opinione il diritto di sopraelevazione andrebbe inquadrato quale diritto di superficie costituito per legge a carico del condominio e a favore del proprietario dell’ultimo piano.

Il diritto di sopraelevazione è riconducibile all’ambito dell’art. 873 c.c.?

In base all’art. 873 c.c. “Le costruzioni su fondi finitimi, se non unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.

A presidio (tra le altre) di tale norma, l’art. 872 c.c. prevede che colui che per effetto della violazione dell’art.  873 c.c. o dei regolamenti locali sulle distanze ha subito un danno deve essere risarcito, avendo altresì la possibilità di chiedere la riduzione in pristino.

Come noto, infatti, il rimedio della riduzione in pristino è previsto dall’art. 872 c.c. solo per il caso di violazione di norme contenute nella sezione VI, del Titolo II, del Libro III del Codice Civile o dalle diverse norme da queste richiamate. Si considerano senz’altro norme “richiamate” i regolamenti locali sulle distanze menzionati all’art. 873 c.c.

Nel caso di violazione di norme in materia di edilizia che non siano contenute nella sezione VI, del Titolo II, del Libro III del Codice Civile o che non siano richiamate all’interno della stessa sezione, residua il rimedio del risarcimento del danno, oltre che delle eventuali sanzioni amministrative stabilite da leggi speciali.

Poste queste premesse, in che rapporto si pone il diritto di sopraelevazione rispetto alle norme giuridiche appena menzionate?

Ci si è in particolare chiesti se sia possibile chiedere la demolizione (cioè la riduzione in pristino) anche della sopraelevazione che si ponga in contrasto con le norme contenute nei regolamenti locali che le vietano. In altri termini: anche i regolamenti locali che prevedono divieti di sopraelevazione vanno intesi come norme richiamate dall’art. 873 c.c.?

Ci si è chiesti inoltre se il contratto con cui i vicini deroghino alle norme previste nei regolamenti locali in tema di diritto di sopraelevazione sia nullo per contrasto con le norme imperative in materia di distanze legali.

Recentemente Cass. 14 marzo 2019, n. 7333 si è pronunciata con riferimento ad entrambe le questioni, in relazione ad un caso in cui le parti avevano reciprocamente consentito la sopraelevazione di immobili ubicati nel centro storico, in deroga alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore e delle prescrizioni inderogabili del D.M. n. 1444 del 1968, che prescrivevano il rispetto delle distanze e delle altezze preesistenti. Secondo la parte ricorrente, il cui motivo di ricorso è stato ritenuto privo di fondamento, tale accordo avrebbe quindi disatteso previsioni munite di valenza integrativa del disposto dell’art. 873 c.c. con conseguente possibilità di chiedere la riduzione in pristino e con conseguente nullità dello stesso accordo.

La Suprema Corte, con sentenza n. 7333 del 14 marzo 2019, con riferimento alla possibilità di chiedere la riduzione in pristino ha rilevato che “l’imposizione – contenuta nella norma locale – di un’altezza massima della costruzione […] non poteva integrare le previsioni dell’art. 873 c.c. e non consentiva di disporre la demolizione, non imponendo una distanza minima in rapporto all’altezza dei fabbricati interessati. Secondo l’insegnamento di questa Corte, detta valenza integrativa della norme codicistica può riconoscersi solo alle disposizioni degli strumenti urbanistici che disciplinino la distanze come spazio che deve intercorrere tra le costruzioni, come distacco dal confine o in rapporto con l’altezza dei manufatti, perché solo queste ultime tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l’utilizzazione edilizia dei suoli privati, consentendo al privato di ottenere, in caso di loro violazione, la riduzione in pristino (Cass. 1073/2009; Cass. 7384/2001; Cass. 12918/1991). Per contro, i piani regolatori che contengano meri divieti di edificazione (quale quello di sopraelevazione) sono dettate esclusivamente per interessi pubblici, allo scopo di conservare la destinazione urbanistica di una determinata parte del territorio, e non concorrono a definire, in ambito locale, la disciplina delle distanze (Cass. 2757/2001; Cass. 4343/1999)”.  In conclusione “il divieto di sopraelevare in centro storico era suscettibile di determinare l’illegittimità della costruzione sotto il profilo urbanistico ma, ove disatteso, non autorizzava la riduzione in pristino chiesta dalla ricorrente, poiché, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, la violazione delle norme di edilizia e di ornato pubblico autorizzano esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno”.

Al contempo, quanto al tema della nullità dell’accordo con cui le parti si sono reciprocamente concesse il diritto di sopraelevazione in deroga allo strumento urbanistico, la Corte ha negato potesse essere ravvisabile una nullità dovuta al contrasto con la norma (ritenuta imperativa) posta dall’art. 873 c.c. o con le relative disposizioni integrative locali.

Resta d’altra parte da considerare che, come affermato dalla stessa Corte, le norme che prevedono divieti di edificazione (come quello di sopraelevazione) contenute nei piani regolatori sono comunque dettate al fine di tutelare interessi pubblici. Verrebbe allora da osservare come – pur essendo esclusa in tal caso una nullità per contrasto con l’art. 873 c.c. – potrebbe comunque forse ravvisarsi il contrasto con diverse norme imperative o, eventualmente, per contrasto con l’ordine pubblico.

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