Il diritto all’anonimato della madre biologica ha termini temporali?

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La legge prevede il diritto della donna di non fare sapere a nessuno della sua maternità, il suo parto deve restare anonimo, anche per il nascituro.

Il diritto in questione si contrappone a quello del figlio desideroso di conoscere la donna che lo ha fatto nascere.

La procedura del “parto in anonimato”, come la chiama la normativa, prova a venire incontro ad entrambe le parti, anche se per un determinato periodo di tempo, garantire il diritto di una parte significa negarlo all’altra.

Se non si trova un accordo con la madre, che ha chiesto di mantenere il segreto, si mette un limite oltre il quale il figlio viene a sapere la verità.

In questo articolo scriveremo che cosa stabilisce la legge e che cosa ha disposto la giurisprudenza, anche con una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione.

     Indice

  1. L’anonimato della madre biologica
  2. Le modalità del parto in anonimato
  3. Gli effetti del parto in anonimato
  4. La fine del diritto di anonimato della madre

1. L’anonimato della madre biologica

Una donna quando partorisce ha diritto di lasciare il suo bambino in ospedale rinunciando al suo riconoscimento come madre.

Può decidere sia di non occuparsi del piccolo sia di restare anonima, impedendo che venga rivelata la sua identità al figlio o a chiunque altro.

La legge (art. 30, DPR n. 396/2000), consente che, quando viene formato l’atto di nascita, venga rispettata l’eventuale volontà della madre di non essere nominata, allo scopo di non lasciare nessuna  traccia della sua maternità e impedire in futuro la sua identificazione come madre del bambino.

L’unica eccezione è relativa alla madre che partorisce in seguito a una procedura di fecondazione assistita (art. 9, legge n. 40 dell’11/02/2004).

In simili casi la madre deve dichiarare la sua identità nell’atto di nascita e se lo dovesse volere, dovrà rinunciare al parto in anonimato.

2. Le modalità del parto in anonimato

L’atto di nascita sul quale dichiarare o non dichiarare la propria maternità deve essere fatto subito, di conseguenza, la donna non ha molto tempo per decidere in che modo partorire, vale a dire, se farlo in anonimato oppure farsi chiamare “mamma” dal bambino.

L’atto deve essere redatto entro dieci giorni dalla nascita, presso il Comune nel quale territorio è avvenuto il parto oppure entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura dove è avvenuta la nascita.

Se la donna dovesse decidere di restare anonima, la dichiarazione di nascita verrà fatta dal medico o dall’ostetrica.

Qualcuno sa che è lei la madre biologica.

Lo sa il personale sanitario, perché al momento del ricovero per il parto la donna deve dichiarare la sua identità come paziente.

Le sue informazioni personali restano archiviate nel registro dell’ospedale o della clinica dove è avvenuta la nascita e dove resta conservata anche la sua cartella.

Esclusivamente il segreto professionale legato alla volontà della donna di restare anonima può garantire che nessun altro, al di fuori di medici o infermieri, sappia quello che è andata a fare e se è uscita con un bambino in braccio o senza.

Il personale sanitario comunicherà questa decisione all’ufficio di stato civile del Comune nel quale il bambino è nato, in modo che, al momento della registrazione, venga indicato che il piccolo “è nato da donna che non permette di essere nominata”.

La nascita verrà comunicata al Tribunale per i minorenni in modo che venga avviata la pratica per una possibile adozione.


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3. Gli effetti del parto in anonimato

Qualunque donna può partorire in modo anonimo.

Se è sposata il parto annulla la presunzione di paternità del marito, nel senso che, al contrario di quello che stabilisce la legge, non si presume che il coniuge sia il padre del bambino, ed è obbligatoria la rinuncia a riconoscere il figlio.

La madre però ci potrebbe ripensare.

Se avesse avuto particolari e gravi motivi per non riconoscere il figlio appena nato, potrebbe chiedere al Tribunale per i minorenni di congelare la procedura di adozione e provvedere al suo riconoscimento.

Ad esempio, la mamma minorenne o che vive nell’indigenza che è stata costretta all’abbandono del figlio al momento della nascita.

La sospensione della procedura di adottabilità è massimo di due mesi, nei quali la madre deve mantenere un continuo rapporto con il bambino.

Il riconoscimento può essere fatto dal genitore che abbia compiuto almeno 16 anni.

In caso contrario, la procedura di adottabilità viene congelata sino al compimento del sedicesimo anno di età.

4. La fine del diritto di anonimato della madre

Ci si è chiesto che cosa accada se il figlio vuole difendere il suo diritto di conoscere la donna che lo ha fatto nascere.

La legge nega questo diritto a chi non è stato riconosciuto e la quale madre abbia chiesto di non essere nominata o abbia dato il suo consenso all’adozione a condizione di restare anonima.

Nonostante questo, una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Ord. 09/09/2022 n. 26616/2022)  ha stabilito che entrambi i diritti devono essere bilanciati.

La Suprema Corte richiama una legge del 1983 (art. 28 legge n. 184/1983)  secondo la quale “l’adottato, raggiunta l’età di 25 anni, può accedere a informazioni relative alla sua origine e l’identità dei propri genitori biologici.

Lo può fare anche raggiunta la maggiore età se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.

L’istanza deve essere presentata al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza”.

La Corte Costituzionale (Corte cost. sent. n. 278/2013) ha però sancito che il figlio può chiedere al giudice di interpellare la madre allo scopo della revoca della dichiarazione di anonimato fatta a suo tempo, manifestando il fatto che la scelta irreversibile dell’anonimato possa essere considerata irragionevole.

Questo orientamento era stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. SS.UU. sent. n. 1946/2017).

Secondo una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 19824/2020) è possibile chiedere l’accertamento dello status di filiazione dopo il decesso della donna che ha scelto di restare anonima, sino a quel momento il diritto all’anonimato deve essere rispettato.

La deroga può arrivare quando la madre decide di revocare la sua scelta in modo inequivocabile per accogliere il figlio oppure dopo il suo decesso.

Secondo i Supremi Giudici, nella più recente ordinanza (09/09/2022 n. 26616/2022), il diritto all’anonimato non si esaurisce con la morte della madre.

Il trattamento delle informazioni sulle origini del figlio devono tutelare l’immagine e la reputazione della donna, però, l’esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della stessa, che ha scelto l’anonimato, è recessiva rispetto a quella del figlio che volesse conoscere la sua vera madre.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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