Lilla Laperuta
La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5975, depositata l’11 marzo 2013, ha chiarito che per l’avvocato membro di un consiglio di amministrazione di società di capitali non sussiste sempre e comunque l’obbligo di versare contributi alla Cassa forense in relazione ai redditi che gli derivano dalla partecipazione al consiglio di amministrazione. In particolare, la contribuzione previdenziale non è dovuta se non sia provato che in concreto l’attività svolta quale componente del consiglio di amministrazione della società abbia assunto caratteristiche tali da essere oggettivamente inquadrata come “tipica” della professione, con la conseguenza di assoggettare i relativi redditi e volumi di affari a contribuzione.
Nella sentenza, inoltre, il Supremo Collegio ricorda che il concetto di esercizio della professione debba essere interpretato non in senso statico e rigoroso, piuttosto tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo contemporaneo dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali; evoluzione che ha comportato la progressiva estensione dell’ambito proprio dell’attività professionale, con occupazione da parte delle professioni di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale.
Ne consegue che nel concetto di professione deve ritenersi compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti in appositi albi) anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un nesso con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto anche la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipologicamente propria della sua professione.
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