ICI : le sezioni unite finalmente chiariscono quando e come un terreno debba essere tassato come area fabbricabile

Monari Daniele 31/05/07
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Sommario:
1. Il contrasto giurisprudenziale. 2. Gli interventi legislativi di interpretazione autentica. 3. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.  4. Consigli pratici per “gestire” il contenzioso. 5. Il rispetto del principio di “parità delle parti” nel processo tributario.  6. Testo integrale della sentenza delle Sezioni Unite del 28/09/2006, n.25506.
 
 
1. Il contrasto giurisprudenziale.
In tema di tassazione ICI delle aree fabbricabili, considerate tali sulla base del solo P.R.G. “generale” e soggette ad un vincolo d’inedificabilità di fatto – in quanto l’effettiva edificabilità viene è subordinata all’emanazione di un piano “attuativo” (o perché in attesa dell’approvazione del P.R.G. da parte della regione) – nel corso degli ultimi anni si era formato un evidente contrasto giurisprudenziale all’interno della Suprema Corte. 
 
– Da una parte si era formato un primo orientamento giurisprudenziale che riteneva che ai fini ICI fosse sufficiente il semplice inserimento del terreno nel P.R.G. “generale” dell’ente locale come area edificabile, perché questo fosse tassato come tale (Cass. 24/08/2004, n.16751).
Tale orientamento si basava sull’assunto che l’inserimento del terreno nel P.R.G. “generale” come area fabbricabile determinasse un evidente, quanto inevitabile, aumento del suo valore e pertanto il prelievo ICI dovesse essere rapportato a tale valore, mentre del tutto ininfluente risultava l’effettiva inedificabilità del medesimo.
 
– Dall’altra parte si era formato un secondo orientamento che riteneva non sufficiente la circostanza dell’inserimento del terreno nel P.R.G. “generale” per tassarlo come area fabbricabile, se di fatto tale terreno rimaneva soggetto a vincolo d’inedificabilità, in quanto l’effettiva edificabilità viene subordinata all’emanazione di un piano “attuativo” (o in attesa dell’approvazione del P.R.G. da parte della regione). In tal caso il terreno, deve essere considerato e dunque tassato ai fini ICI, come terreno agricolo (Cass. 16/11/2004, n.21644).
Questo orientamento trovava fondamento in due ordini di argomentazioni:
A) La prima argomentazione trovava fondamento sulla maggiore aderenza “all’interpretazione letterale” della definizione di area fabbricabile prevista dall’art.2 lett. b) del DLgs n.504/92 per la quale è edificabile “l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti generali e attuativi … ”. Pertanto, secondo questo orientamento giurisprudenziale, il terreno non immediatamente utilizzabile a scopo edificatorio, in quanto la sua edificabilità è subordinata all’emanazione di un “piano attuativo” da parte del Comune – fino all’approvazione del quale, il ricorrente non può ottenere una valida concessione edilizia per edificare sul suo terreno – doveva essere tassato come terreno agricolo, in quanto l’area non è utilizzabile a scopo edificatorio come disposto dall’art.2, del DLgs n.504/92.
B) La seconda argomentazione si basava sulla maggiore aderenza di tale lettura delle norme in esame, ai principi costituzionali di “eguaglianza” (art.3 Cost.) e di “capacità contributiva” (art.53 Cost.).
Come è stato opportunamente notato, l’interpretazione del primo orientamento giurisprudenziale (quello favorevole ai Comuni, evidenziato in Cass. 24/08/2004, n.16751), si poneva in netto contrasto con i detti principi costituzionali, in quanto disciplinava in maniera analoga, fattispecie diverse attraverso un’ingiustificata assimilazione tra i possessori di aree immediatamente fabbricabili con il solo P.R.G. “generale” (c.d. zone A e B, centri storici e di completamento) e i possessori di aree invece non immediatamente fabbricabili, in quanto l’edificabilità era subordinata all’emanazione di un piano “attuativo” (c.d. zone C, nuovi insediamenti).
Si consideri inoltre che l’art.53 impone al legislatore di adeguare l’obbligo d’imposta ad un indice “effettivo” di ricchezza per la determinazione dell’entità dell’importo.
Al riguardo bisogna rilevare che per le aree edificabili soggette di fatto ad un vincolo di inedificabilità fino all’approvazione dello strumento “attuativo” del P.R.G., non è in nessun modo “prevedibile” la reale capacità contributiva dell’area fabbricabile, in quanto fino a quel momento non sono individuabili né la parte dell’area effettivamente utilizzabile a scopo edificatorio, né la parte dell’area che invece rimarrebbe soggetta al vincolo d’inedificabilità (in quanto destinate a verde pubblico, strade, parcheggi, spazi pubblici ecc…). A questo si aggiunga che risultaanche incerto quando e se il piano “attuativo” possa essere approvato da parte del Comune, in quanto, non vi è disposizione che gli imponga a quest’ultimo, se e quando approvarlo.
Quindi, per questo orientamento giurisprudenziale, non è seriamente sostenibile senza entrare nella “finzione giuridica”, affermare che il contribuente possiede un’area fabbricabile in quel determinato anno, senza che lo stesso possa effettivamente utilizzarla a scopo edificatorio.
Dunque, la Cassazione con questa lettura delle norme costituzionalmente orientata, voleva evitare al contribuente il rischio che il “non mutamento” delle qualità effettive del terreno (di fatto rimane inedificabile e pertanto il contribuente non ne ha un beneficio immediato) comporti il ”mutamento” al rialzo della tassazione, per un tempo indefinito.
 
Sul punto interviene nuovamente la Corte di Cassazione la quale al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare all’interno della Suprema Corte, con ordinanza n.10062 del 08/03/2005, devolve la “ questione” alle Sezioni Unite.
 
 
2. Gli interventi legislativi di interpretazione autentica.
A questo punto i Comuni, al fine di salvaguardare le proprie entrate messe a repentaglio da sentenze “sgradite”, corrono ai ripari e riescono a far approvare con decreto legge, due distinti provvedimenti legislativi di carattere interpretativo (art.11 Quarterdecies, comma 16, D.L. n.203 del 30/09/05 e art.36, comma 2, D.L. n.223 del 04/07/06). Questi provvedimenti legislativi come tutti gli interventi legislativi “interpretativi”, precisano che l’interpretazione “autentica” è appunto, quella “pro fisco”: “Ai fini dell’applicazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.504, la disposizione prevista dall’articolo 2, comma 1, lettra b), dello stesso decreto, si interpreta nel senso che un’area è da considerarsi comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo” (art.11 Quarterdecies, comma 16, D.L. n.203 del 30/09/05).
Con tali interventi interpretativi, conformati al primo orientamento giurisprudenziale, i Comuni ritengono di aver risolto definitivamente, in via legislativa, la “questione” posta in esame alle Sezioni Unite, salvaguardando, con un “colpo di mano” del Governo, le loro “entrate” a scapito degli ignari contribuenti.
 
 
 
3. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Di recente, la Suprema Corte a Sezioni Unite, con la funzione nomofilattica che le è propria, ha sciolto il contrasto giurisprudenziale e con una chiarificante e condivisibile sentenza, ha precisato quando e come deve essere tassato un terreno a fini ICI come area fabbricabile.
In tale occasione, la Cassazione a Sezioni Unite ha censurato entrambi i precedenti orientamenti giurisprudenziali formatisi al suo interno, fornendo una differente interpretazione senza contrastare gli interventi legislativi di natura “interpretativa” nel frattempo emanati.
Con tale sentenza la Supreme Corte, pone due “punti guida” nell’interpretazione della normativa ICI in tema di aree fabbricabili.
I) “Sulla questione pregiudiziale di diritto”:
Anzitutto, la Suprema Corte “cassa” l’interpretazione “formale” dell’art.2 ltt. B) del DLgs n.504/92 e fa prevalere un’interpretazione più “sostanziale” di tale norma.
Sul punto in tale sentenza, viene precisato: “Ai fini tributari sono edificabili tutti quei terreni che tali sono qualificati da uno strumento urbanistico, indipendentemente dalla sussistenza dell’approvazione regionale dello strumento stesso e di strumenti attuativi che rendano possibile in concreto il rilascio della concessione edilizia”. Censurando in tal modo l’orientamento giurisprudenziale favorevole ai contribuenti evidenziato nella sentenza Cass. 16/11/2004, n.21644.
II) “Sulla questione di merito: il valore in comune commercio dell’area fabbricabile”:
Nel “merito”, poi, le Sezioni Unite, opportunamente precisano: “l’aspettativa di edificabilità di un suolo non comporta ai fini della valutazione fiscale, l’equiparazione sic et simpliciter alla edificabilità; comporta soltanto l’assoggettamento ad un regime di valutazione differente da quello specifico dei terreni agricoli” (…) “In definitiva, la equiparazione legislativa di tutte le aree che non possono considerarsi "non inedificabili", non significa che queste abbiano tutte lo stesso valore. Con la perdita dell’inedificabilità di un suolo (cui normalmente, ma non necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la porta alla valutabilità in concreto dello stesso. È evidente che, in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità della edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una corretta valutazione del valore venale delle stesse, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n.504/1992”(…).
Sul punto precisano le Sezioni Unite: “L’intervenuta approvazione degli strumenti attuativi potranno però, incidere sulla concreta valutazione dell’area edificabile”. … “Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione in ribasso.
Ne consegue che anche l’orientamento favorevole ai Comuni esplicitato nella sentenza Cass. 24/08/2004, n.16751, viene “rigettato” dalle Sezioni Unite.
Dunque per le Sezioni Unite, in un’imposta periodica come l’ICI, che ha come presupposto d’imposta il possesso di un immobile in un determinato anno, il prelievo fiscale di un terreno edificabile che non ha ancora ultimato tutta la procedura di approvazione per diventare effettivamente tale, non può essere paragonato ad un terreno edificabile già “perfetto” (che ha ultimato tutto l’iter procedimentale di approvazione).
Sul punto precisano le Sezioni Unite: “… se i criteri di calcolo vengono applicati correttamente, il contribuente subirà un prelievo che non sarà mai superiore a quello giustificato dal reale valore del bene posseduto. Con la possibilità del tutto naturale, che si verifichino oscillazioni di valore connesse all’andamento del mercato e/o allo stato di attuazione delle procedure che determinano il perfezionamento dello ius edificandi”.
In conclusione, le Sezioni Unite riescono a fornire un’interpretazione “costituzionalmente orientata” nel rispetto della legislazione vigente, nel senso che riescono a fornire una interpretazione conforme ai precetti legislativi d’ “interpretazione autentica” nel frattempo approvati, ma con una lettura generale favorevole ai contribuenti che rispetti il precetti costituzionali di “eguaglianza” (art.3) e di “capacità contributiva” (art.53).
 
4. Consigli pratici per “gestire” il contenzioso.
La sentenza in commento si segnala per ragionevolezza e portata argomentativa, e soprattutto riveste particolare importanza, in quanto la lettura della “questione” data dalle Sezioni Unite sarà utilizzata dalle Commissioni Tributarie di merito come “criterio guida” per decidere i numerosi contenziosi nel frattempo sorti con i Comuni, i quali, per lungo tempo, non hanno mai considerato come elemento di valutazione in ribasso del “valore in comune commercio” dell’area fabbricabile, la mancanza di approvazione del piano “attuativo”.
 
Pertanto, lo scrivente consiglia vivamente ai contribuenti in contenzioso su tale “questione”, di “utilizzare” la presente sentenza, che lo si ricorda, dà ragione agli Enti impositori sul punto di diritto (il terreno è già area edificabile), ma che nel merito questi risultano soccombenti, in quanto negli atti impositivi non hanno considerato la reale “capacità contributiva” dell’area fabbricabile posseduta in quel determinato anno d’imposta (di fatto inedificabile), che inevitabilmente incide come elemento di valutazione in ribasso del “valore in comune commercio” delle aree fabbricabili.
In ogni caso, risulta opportuno segnalare alla Commissione Tributaria adita, la necessità di annullare comunque le sanzioni irrogate negli atti di accertamento per la sussistenza delle “obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria”, previste dal comma 3° dell’art.10 dello Statuto del contribuente, nonché dal comma 2° dell’art.6 del DLgs n.472/97. Difatti, appare ictu oculi che il contrasto giurisprudenziale sorto tra diverse pronunce della Corte di Cassazione, nonché il ripetuto intervento del legislatore con norme di interpretazione autentica, hanno senza dubbio integrato tale requisito.
 
5. Il rispetto del principio di “parità delle parti” nel processo tributario.
In ultima analisi, appare doveroso sottolineare che le Sezioni Unite nella sentenza citata hanno colto l’occasione di “bacchettare” il “troppo zelante” legislatore, per la scelta poco opportuna di fornire, per ben due volte, provvedimenti legislativi d’interpretazione autentica, quando la questione era già stata devoluta alle Sezioni Unite della Suprema Corte, cercando di fatto di “scavalcarla” nel suo ruolo istituzionale di organo supremo d’interpretazione delle norme.
Al riguardo le Sezioni Unite non usano mezzi termini: “Il legislatore (rectius l’Amministrazione finanziaria vestita da legislatore) ha fatto la sua scelta.
(…) Infatti, il legislatore è intervenuto quando le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazione della legge. Si aggiunga, poi, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi di interpretativi sono sempre pro fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell’intento di realizzar maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita  l’istaurarsi di una rapporto di fiducia tra l’Amministrazione e il contribuente, basato sui principio di collaborazione e buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art.10, comma 1, della L. n.212/2000).
Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l’Amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è stata approvata con decreto-legge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo. Tanto che se fosse stato diverso l’orientamento del Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell’art.36 comma 2, del D.L. n.223/2006, con il parametro costituzionale di cui all’art.111 della Costituzione, che presuppone una posizione di parità delle parti nel processo, posto che la Amministrazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice.” (Cass., Sez. Unite, del 28/09/2006, n.25506).
Quindi, le Sezioni Unite non si esimono dal censurare quella “prassi” degli Enti impositori di cercare di vincere i contenziosi cambiando, ex post, le “regole del gioco”.
Le Sezioni Unite hanno lanciato un monito chiaro e preciso, tale prassi è in contrasto con il principio di “parità delle parti nel processo” sancito nell’art.111 della Costituzione. La speranza è che questo monito non rimanga inascoltato e che in futuro si evitino “sgradevoli” interventi legislativi, che non fanno altro che alimentare la diffidenza dei contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e allontanano il nostro Paese dalla compiuta realizzazione di quel moderno Stato di diritto voluto dai “padri” costituenti e che l’Unione Europea ripetutamente ci chiede di diventare.
(commento a cura di ************** avvocato tributarista in Mirandola e Modena).
 
 
6. Testo integrale della sentenza delle Sezioni Unite del 28/09/2006, n.25506.
 
Sent. Corte Cass., SS.UU. civ., n. 25506 del 28 settembre 2006 (dep. il 30 novembre 2006), - Pres. Carbone, Rel. ******.
 
1. Fatto, svolgimento del processo e motivi del ricorso
 
    1.1. Il comune di Noventa di Piave ricorre contro la sig.ra C.C., nella
qualità di erede della sig.ra A.L., per ottenere la cassazione della
sentenza specificata in epigrafe. La parte intimata non ha svolto alcuna
attività difensiva.
    1.2. In fatto, la sig.ra A.L., dante causa dell'odierna intimata, ha
impugnato gli avvisi di accertamento ed irrogazione delle conseguenti
sanzioni, con i quali l'ente impositore le ha contestato:
 
       a) per gli anni 1993/1994, l'infedele dichiarazione Ici, avendo
dichiarato, indebitamente, che i terreni agricoli posseduti, erano condotti
direttamente da lei, in qualità di coltivatrice diretta, per beneficiare
della riduzione d'imposta prevista dall'art. 9 del D.Lgs. n. 504/1992;
       b) per gli anni 1995/1997, l'omessa dichiarazione della variazione di
destinazione urbanistica di terreni, divenuti edificabili   a   seguito
dell'adozione del nuovo piano regolatore generale, a far data dal 22 maggio
1995.
 
    La Commissione tributaria adita in primo grado, ha riunito tutti i
ricorsi, ha accolto parzialmente quelli riferiti agli anni di imposta 1993 e
1994 (con riferimento ai profili sanzionatori, pur respingendo la tesi della
spettanza della riduzione dell'imposta) ed ha accolto in toto quelli
riferiti agli anni 1995, 1996, 1997, sul rilievo che il piano regolatore,
pur adottato nel 1995, è stato approvato dalla regione soltanto in epoca
successiva.
    Entrambe le parti hanno impugnato la decisione. Il comune, con appello
principale ha eccepito l'erronea applicazione dell'art. 2, lettera b), del
D.Lgs. n. 504/1992, che definisce le aree edificabili ai fini dell'Ici. La
contribuente, con appello incidentale, ha riproposto la tesi del suo diritto
alla riduzione dell'imposta, in quanto coltivatrice diretta dei propri
fondi.
    La Commissione tributaria regionale ha respinto l'appello principale del
comune, confermando la tesi che l'adozione del piano regolatore generale,
non ancora approvato, non può conferire il carattere dell'edificabilità ai
suoli, prima dell'approvazione definitiva. Ha accolto, invece, l'appello
incidentale della contribuente, annullando gli avvisi di accertamento
all'origine del contenzioso.
    1.3. A sostegno dell'odierno ricorso, il comune di ******* di Piave
denuncia:
 
       a) violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lettera b), del
D.Lgs. n. 504/1992, in quanto l'adozione del piano regolatore generale da
parte del comune è sufficiente a far considerare fabbricabili le aree per le
quali sia prevista la utilizzabilità a scopo edificatorio. Anche prima del
perfezionamento dello strumento urbanistico;
       b) violazione e falsa applicazione degli artt. 9 del   D.Lgs.
n. 504/1992, 11 della L. n. 9/1963, e 58, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997,
in quanto la contribuente non ha provato di possedere i requisiti soggettivi
per beneficiare della agevolazione richiesta.
 
    1.4. La trattazione del ricorso è stata assegnata, ratione materiae,
alla Sezione V civile. Questa, con ordinanza 8 marzo 2005, ha rimesso gli
atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle
Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374, comma 2, del codice di procedura
civile, avendo rilevato, nella giurisprudenza della Corte, un contrasto
interpretativo, riferito al primo motivo di ricorso, che riguarda i criteri
in base ai quali un'area deve essere definita fabbricabile ai fini fiscali,
in generale, e dell'imposta comunale sugli immobili, in particolare.
    Infatti, secondo un primo indirizzo, definito "sostanzialistico" (in
quanto, realisticamente, valorizza le immediate ricadute economiche di
qualunque variazione che faccia sorgere o consolidi una aspettativa di
diritto), è sufficiente che un'area sia utilizzabile a scopo edificatorio in
base agli strumenti urbanistici, ancorché le relative procedure non siano
state perfezionate (Cass. n. 4120/2002, n. 4341/2002, n. 17513/2002n.
13817/2003n. 16751/2004 e n. 19750/2004). Secondo altro e diverso
orientamento, definito "formale-legalistico",   la   qualifica   di   area
fabbricabile, anche ai fini fiscali, presuppone che le procedure per
l'approvazione degli strumenti urbanistici, siano perfezionate   (Cass.
n. 10406/1994, n. 15320/2000, n. 13296/2001, n. 2416/2002, n. 14024/2002, n.
2316/2003, n. 5433/2003, 21573/2004 e 21644/2004).
    1.5. Il Primo Presidente ha rimesso la trattazione del ricorso a queste
Sezioni Unite.
 
2. Diritto e motivi della decisione
 
    2.1. Il ricorso appare fondato in relazione al primo motivo di ricorso.
Va respinto, invece, in relazione al secondo motivo.
    2.2. Le Sezioni Unite   sono   chiamate   a   fornire   la   corretta
interpretazione dell'art. 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 504/1992,
superando il contrasto in atto, nella parte in cui dispone che "per area
fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base
agli strumenti urbanistici   generali   o   attuativi".   Per   affrontare
correttamente il problema ermeneutico, bisogna partire da alcune premesse di
sistema: l'imposta comunale sugli immobili è un'imposta   locale   sul
patrimonio immobiliare, a carattere proporzionale (ad aliquota unica), reale
(in quanto prescinde dalle ulteriori condizioni economiche del contribuente)
e periodica (riferita all'anno solare). Infatti, il presupposto impositivo è
costituito, per quanto interessa in questa sede, dal   "possesso   di
fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio
dello Stato, a qualsiasi uso destinati" (art. 1, comma 2, del D.Lgs.
n. 504/1992). Dunque, l'Ici incide sia il possesso delle aree fabbricabili
che quello dei terreni agricoli.
    La distinzione, però, è rilevante, ai fini fiscali, perché differenti
sono i criteri utilizzati per determinare la base imponibile. Infatti, per
le aree fabbricabili, la base imponibile è costituita dal "valore venale in
comune commercio", calcolato al 1° gennaio dell'anno di imposizione, "avendo
riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità,
alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di
adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi
rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche"
(art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992). Per i terreni agricoli, invece,
"il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare del
reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di
imposizione, un moltiplicatore pari a settantacinque" (art. 5, comma 7, del
D.Lgs. n. 504/1992, oltre gli eventuali coefficienti di rivalutazione, ex
art. 3, comma 5, della L. n. 662/1996). In definitiva, ai fini dell'Ici, la
distinzione tra aree edificabili e terreni agricoli, non serve   per
distinguere un bene imponibile da uno non imponibile, serve soltanto per
individuare il criterio in base al quale deve essere determinata la base
imponibile Ici (criterio del valore venale, secondo i prezzi medi di
mercato, ovvero valore catastale). Questa   premessa   serve   anche   a
sdrammatizzare il problema, perché, se i criteri di calcolo vengono
applicati correttamente, il contribuente subirà un prelievo che non sarà mai
superiore a quello giustificato dal reale valore del bene posseduto.
    Con la possibilità, del tutto naturale, che si verifichino oscillazioni
di valore connesse all'andamento del mercato e/o allo stato di attuazione
delle procedure che determinano il perfezionamento dello ius edificandi. È
naturale che le imposte patrimoniali siano commisurate al valore del
patrimonio cui si riferiscono. Possono verificarsi variazioni al rialzo, che
comportano un maggior prelievo nel periodo di imposta, o variazioni al
ribasso (ad esempio, a causa della mancata approvazione del piano regolatore
generale), che attenuano il prelievo, senza che questo comporti, ex se, il
diritto al rimborso per gli anni pregressi [salvo che i comuni non
ritengano, sul piano dell'equità, di riconoscere il diritto al rimborso, ex
art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997], durante i quali,
comunque, l'imposta è stata commisurata al valore venale di mercato. E non
rileva, ai fini dell'Ici, che l'incremento di valore non sia stato
monetizzato,   attraverso   un   atto   di   trasferimento   oneroso,   che,
eventualmente, ricorrendone i presupposti di legge, avrebbe potuto dar luogo
ad una plusvalenza, soggetta ad imposta sul reddito. D'altra parte, anche un
piano regolatore generale approvato e vigente è soggetto a modifiche che
possono portare a una diversa classificazione dei suoli con conseguenti
sensibili oscillazioni di valore. Per ragioni di equità, come già accennato,
il legislatore ha previsto espressamente che i comuni possano "prevedere il
diritto al rimborso dell'imposta pagata per le aree successivamente divenute
inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, avuto
anche riguardo alle modalità ed alla frequenza delle varianti apportate agli
strumenti urbanistici" [art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n.
446/1997)].
    2.3. I criteri per stabilire se un suolo debba qualificarsi come area
fabbricabile o come terreno agricolo, sono indicati nelle lettere b) e c)
dell'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 504/1992. In base alle citate
disposizioni, "per terreno agricolo si intende   il   terreno   adibito
all'esercizio delle attività indicate nell'art. 2135 del codice civile"
(coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività
connesse); per area fabbricabile, invece, per quanto di interesse nella
fattispecie, "si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base
agli strumenti urbanistici generali o attuativi". Dal momento in cui un
terreno agricolo è utilizzabile a scopo edificatorio in base ad uno
strumento urbanistico generale, prevale quest'ultima qualificazione. A meno
che non si tratti di "terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel
comma 1 dell'art. 9, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale
mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla
silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali" [art. 2.
comma 1, lettera b), secondo alinea]. Nel caso di specie, il problema della
conduzione diretta del terreno agricolo non risulta che   sia   stato
prospettato in relazione alle annualità 1995, 1996 e 1997, per le quali,
quindi il quesito della qualificazione del suolo in questione deve essere
risolto esclusivamente sulla base della corretta interpretazione della prima
parte della lettera b) del comma 1 dell'art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992.
    Nelle more del giudizio, sono intervenuti due provvedimenti legislativi,
a carattere interpretativo, che incidono sulla   trama   normativa   di
riferimento. Il primo, riguarda specificamente l'Ici, e stabilisce che "Ai
fini dell'applicazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, la
disposizione prevista dall'articolo 2, comma 1, lettera b), dello stesso
decreto si interpreta nel senso che un'area è da considerare comunque
fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento
urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione di strumenti attuativi
del medesimo". La norma impone di ritenere edificabili le aree utilizzabili
a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico, anche se manchino
gli strumenti attuativi. Non risolve il problema del valore da attribuire al
piano regolatore generale, adottato, ma non ancora approvato, che è quello
che qui interessa e che, invece appare risolto dal secondo intervento.
Infatti, l'art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 [, n. 223, n.d.r.],
convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, chiarisce che
"Ai fini dell'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile
1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area è da
considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo
strumento urbanistico generale adottato dal comune,   indipendentemente
dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del
medesimo". La norma citata ha accolto la tesi sostanzialistica, propugnata
dall'ente impositore, secondo la quale "non occorre che lo strumento
urbanistico, adottato dal comune, abbia perfezionato il proprio iter di
formazione mediante l'approvazione da parte della regione, atteso che
l'adozione dello strumento urbanistico, con inserimento di un terreno con
destinazione edificatoria, imprime al bene una qualità che è recepita dalla
generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile
reversibilità e, quindi, è sufficiente a fare venir meno, ai fini anzidetti,
la presunzione del rapporto proporzionale tra reddito dominicale risultante
in catasto e valore del terreno medesimo, posto a fondamento della
valutazione automatica" (Cass. n.   17513/2002;   conf.,   ex   plurimis,
n. 4381/2002, n. 4120/2202, n. 17762/2002 e n. 3817/2003). In altri termini,
dinanzi ad una vocazione edificatoria di un suolo, formalizzata in un atto
della procedura prevista dalla legislazione urbanistica, il Fisco ritiene
che, a prescindere dallo status giuridico formale dello stesso, non sia più
possibile apprezzarne il valore sulla base di un parametro di riferimento,
come il reddito dominicale, che resta superato da più concreti criteri di
valutazione economica. Non interessa, dunque, ai fini fiscali, che il suolo
sia immediatamente ed incondizionatamente edificabile, perché possa farsi
ricorso legittimamente al criterio di valutazione del valore venale in
comune commercio. L'inizio della procedura di "trasformazione" urbanistica
di un suolo implica, di per sé, una "trasformazione" economica dello stesso,
che non consente più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio
del reddito dominicale. Tuttavia, l'aspettativa di edificabilità di un
suolo, non comporta, ai fini della valutazione fiscale, l'equiparazione sic
et simpliciter alla edificabilità; comporta soltanto, l'assoggettamento ad
un regime di valutazione differente da quello specifico dei terreni
agricoli, oggi meno conveniente per il contribuente, ma non per questo
iniquo.
    L'art. 36, comma 2, citato, fornisce   una   condivisibile   chiave
interpretativa che, per espressa volontà del legislatore, deve essere
utilizzata nell'applicazione delle disposizioni relative all'Iva (D.P.R.
n. 633/1972), al Tuir (D.P.R. n. 917/1986), all'Ici (D.Lgs. n. 504/1992) e
all'imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986). La novella non fornisce un
nuovo criterio di valutazione, ma si limita a chiarire che il beneficio
della tassazione su base catastale, prevista per i terreni agricoli, non
compete quando si tratti di suoli la cui vocazione edificatoria sia stata
formalizzata in uno strumento urbanistico, ancorché non operativo. È di
comune esperienza, infatti, che tale circostanza è sufficiente a far
lievitare il valore venale del suolo, secondo le leggi di mercato.
Trattandosi di imposta periodica, le oscillazioni di valore, come già è
stato accennato, dovranno riflettersi, nel bene  e nel   male,   nelle
dichiarazioni di variazione.
    2.4. La soluzione adottata dal legislatore, per quanto non abbia bisogno
di avalli giurisprudenziali e di esplicite motivazioni, sembra la più
aderente ad un corretto e realistico approccio al problema in esame. Posto
che i maggiori problemi ermeneutici hanno avuto ad oggetto il concetto di
"utilizzabilità a scopo edificatorio", occorre   chiarire   cosa   debba
intendersi con tale espressione, dopo l'approvazione dell'art. 36, comma 2,
del D.L. n. 223/2006.
    La qualifica di area fabbricabile, che apre la strada all'accertamento
del valore venale dell'immobile, presuppone la utilizzabilità a scopo
edificatorio in base allo strumento urbanistico. Secondo alcuni arresti
giurisprudenziali di questa Corte, per aree fabbricabili si deve intendere,
ai fini fiscali (con   specifico   riferimento   all'Ici),   "i   terreni
immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, con possibilità legale ed
effettiva di rilascio di concessione edilizia al momento dell'imposizione
tributaria, distinguendosi, nella disciplina dell'imposta, tra le zone
urbanizzate per le quali è consentito il rilascio della concessione edilizia
secondo le previsioni del piano regolatore generale del comune, ancora prima
dell'adozione dei piani attuativi, e le zone che, pur comprese nelle
previsioni del piano regolatore   generale,   non   sono   immediatamente
utilizzabili a scopo edificatorio, essendo il rilascio della concessione a
edificare subordinato all'adozione dei piani particolareggiati o dei piani
di lottizzazione" (Cass. n. 21573/2004 e n. 21644/2004). Secondo tale
indirizzo giurisprudenziale, "il legislatore ha voluto sottoporre   ad
imposta, con base   imponibile   diversa,   quelle   aree   immediatamente
utilizzabili a scopo edificatorio, con possibilità legale ed effettiva di
rilascio di concessione edilizia al momento dell'imposizione fiscale,
distinguendo tra zone urbanizzate, per le quali è consentito il rilascio di
concessione edilizia in base al piano regolatore generale, ancora prima
dell'approvazione dei piani attuativi, e quelle che, non trovandosi in tale
situazione anche se comprese nei piani regolatori generali, devono attendere
i piani particolareggiati o i piani di lottizzazione per poter ottenere tale
concessione". In altri termini, "il legislatore ha inteso riservare un
diverso trattamento fiscale, con la previsione di una base imponibile sul
valore reale, per quelle aree la cui utilizzazione a scopo edificatorio è
attuale e non rinviata alla adozione e successiva approvazione regionale
degli strumenti urbanistici attuativi e, quindi, per quei terreni per i
quali il rilascio della concessione edilizia è previsto da provvedimenti
definitivi e non in fieri. Se non avesse inteso dire quanto sopra esposto,
il legislatore avrebbe potuto limitarsi a definire l'area fabbricabile
quella "compresa nel piano regolatore generale" oppure quella "destinata
all'edificazione", senza riferimento agli strumenti urbanistici "attuativi"
o alle "possibilità effettive di edificare" richiamando, inoltre, i criteri
contenuti nella L. n. 359/1952 (possibilità legali ed effettive   di
edificazione)" (Cass. n. 21573/2004 e n. 21644/2004).
    Dopo la novella del 2006, tale tesi non è più sostenibile. Il
legislatore   (rectius:   l'Amministrazione   finanziaria    "vestita"    da
legislatore) ha fatto la sua scelta. Il testo della legge non consente più
di distinguere a seconda delle "fasi di lavorazione" degli strumenti
urbanistici. Se c'è stato l'avvio della procedura per la formazione del
piano regolatore generale, la situazione in movimento non consente più di
beneficiare del criterio statico della valutazione automatica. Quello che
interessa al legislatore fiscale è la necessità di adottare un diverso
criterio di valutazione dei suoli, quando questi siano avviati sulla strada
(non necessariamente senza ritorno) della edificabilità.   Normalmente,
infatti, già l'avvio della procedura per la formazione del piano regolatore
generale determina una "impennata" di valore, pur con tutti i necessari
distinguo (riferiti alle zone e alla necessità di ulteriori passaggi
procedurali). Il fulcro della norma interpretativa è costituito dalla
precisazione che la edificabilità dei suoli, ai fini fiscali, non è
condizionata ("indipendentemente") "dall'approvazione della regione [degli
strumenti urbanistici] e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo".
È chiara, dunque, la voluntas legis di tenere conto, realisticamente, delle
variazioni di valore che subiscono i suoli in ragione delle vicende degli
strumenti urbanistici. Diverse, infatti, sono le finalità della legislazione
urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale.
    La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e,
quindi, lo ius edificandi non può essere esercitato se non quando gli
strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli
interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad
adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli,
che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera
aspettativa dello ius edificandi, fino al perfezionamento dello stesso. Ne
consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere
legittimamente differenti. Infatti, non bisogna confondere lo ius edificandi
con lo ius valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul
perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull'avvio di tali
procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di
riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato "a vocazione
edificatoria", anche prima del completamento delle relative procedure. Anche
perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con
tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri
contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al
ribasso.
    In definitiva, la equiparazione legislativa di tutte le aree che non
possono considerarsi "non inedificabili", non significa che queste abbiano
tutte lo stesso valore.
    Con la perdita dell'inedificabilità di un suolo (cui normalmente, ma non
necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la
porta alla valutabilità in concreto dello stesso. È evidente che, in sede di
valutazione, la minore o maggiore   attualità   e   potenzialità   della
edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una corretta valutazione
del valore venale delle stesse, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n.
504/1992, per l'Ici, e 51, comma 3, del D.P.R. n. 131/1986, per l'imposta di
registro.
    Pertanto, ai fini dell'applicazione del D.Lgs. 504/1992, un'area è da
considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo
strumento urbanistico generale adottato dal comune,  indipendentemente
dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del
medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere dichiarata e liquidata sulla base
del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia
effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di
quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione.
    2.5. Infine, osserva il Collegio, l'intervento interpretativo, da parte
del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che
sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate,
l'ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di
parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite
erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione
del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell'esercizio della
specifica funzione istituzionale di garante dell'uniforme interpretazione
della legge (artt. 65, comma 1, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, e 374,
comma 2, del codice di procedura civile). Si aggiunga, poi, che, come è
accaduto nel caso di specie,   in   materia   fiscale   gli   interventi
interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa
(nell'intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi,
alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire
gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita l'istaurarsi di
un rapporto di fiducia tra Amministrazione e contribuente, basato sul
principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto
del contribuente (art. 10, comma 1, della L. n. 212/2000).
    Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l'Amministrazione
finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto   che   la   norma
interpretativa è stata approvata con decreto-legge del Governo, convertito
in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia
al Governo. Tanto che se fosse stato diverso l'orientamento del Collegio
(rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal
valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell'art. 36,
comma 2, del D.L. n. 223/2006, con il parametro costituzionale di cui
all'art. 111 della Costituzione, che presuppone una posizione di parità
delle parti nel processo, posto che, nella specie, l'Amministrazione
finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in
causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del
giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la
corretta interpretazione della norma sub iudice.
    L'intervento è   apparso   inopportuno   anche   perché   la   Pubblica
amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l'obbligo di
essere e di apparire imparziale, in forza dell'art. 97 della Costituzione.
    2.6. Con il secondo motivo, il comune ricorrente denuncia la violazione
e falsa applicazione degli artt. 9 del D.Lgs. 504/1992, 11 della L.
n. 9/1963 e 58, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997, anche sotto il profilo del
vizio di motivazione, in quanto la contribuente non avrebbe provato che
negli anni 1993/1994 aveva condotto direttamente i suoi terreni agricoli, in
qualità di coltivatrice diretta o di imprenditrice agricola, non avendo
dimostrato di essere iscritta, in tale qualità, nell'apposito elenco
comunale, così come impone l'art. 58 del D.Lgs. n. 446/1997. In realtà, in
punto di fatto, la Commissione tributaria regionale afferma che   la
contribuente A.L. aveva dimostrato di condurre direttamente i terreni in
questione, respingendo l'eccezione, prospettata dal comune, secondo la quale
l'agevolazione fiscale competeva soltanto a coloro che risultassero iscritti
negli appositi elenchi comunali, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del D.Lgs.
n. 446/1997. Tale eccezione, riproposta come motivo di ricorso, è infondata,
perché il precetto contenuto nell'art. 58 citato, non vale per le annualità
1993 e 1994, ma soltanto per il futuro, così ha osservato il giudice di
merito, in sintonia con l'insegnamento di questa Corte. (vd. Cass. n.
19375/2003 e n. 13334/2006).
    2.7. Conclusivamente, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, il
secondo, invece, va respinto. La sentenza impugnata va cassata in relazione
al motivo accolto, con rinvio al giudice del merito, per le sue ulteriori
valutazioni, sulla base del principio di diritto affermato e per la
liquidazione delle spese.
 
    P.Q.M. - la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il
secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria
regionale del Veneto.
 

Monari Daniele

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