I trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio

Gloria Gatti 21/05/14
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L’80% degli italiani sono proprietari di casa e quando, tristemente, arrivano alla determinazione di separarsi si trovano costretti a decidere cosa fare della casa coniugale e degli eventuali altri immobili acquistati in costanza di matrimonio.

Per quanto concerne la casa coniugale, ossia l’immobile dove i coniugi hanno stabilito la dimora stabile della famiglia, la legge stabilisce all’art 155 quater del Codice Civile che la stessa venga assegnata al coniuge avente il collocamento prevalente dei figli, nel preminente interesse della prole.

Mentre in passato si era più propensi ad adottare la soluzione dell’assegnazione, anche consensualmente, il generale impoverimento che colpisce oggi le famiglie che si separano, sovente non consente al coniuge non assegnatario di far fronte alle spese straordinarie dell’immobile a suo carico né al coniuge assegnatario di sostenere quelle ordinarie, talché i coniugi propendono sempre più spesso per una soluzione alternativa: la vendita a terzi o il trasferimento dell’immobile in favore dell’uno o dell’altro.

La crisi del mercato immobiliare e l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa dei trasferimenti immobiliari posti in essere in sede di separazione e divorzio, come chiarito dalla circolare 2/E del 21.2.2014 dell’Agenzia delle Entrate favorisce l’utilizzo di tale sede per la divisione dei patrimoni comuni, e spesso si rivela anche essere un buono strumento di soluzione del conflitto coniugale.

È bene premettere, prima di entrare nel vivo del tema, che le cessioni di immobili non possono essere domandate al Giudice in una causa di separazione giudiziale, in seno alla quale il Giudice può limitarsi solo a disporre l’assegnazione della casa coniugale e che, quindi, tale possibilità è riservata ai soli casi in cui i coniugi siano d’accordo e si separino consensualmente.

Alcuni Tribunali consentono che il trasferimento sia effettuato tramite il verbale di separazione consensuale omologato e poi trascritto, altri, come quello di Milano, negano questa possibilità e consentono che nel verbale vengano inserite condizioni ad efficacia obbligatoria con cui un coniuge si impegna a trasferire, con atto notarile successivo, il bene in favore del coniuge o dei figli.

Il trattamento fiscale agevolato e la fretta che spesso accompagna il desiderio di chiudere una situazione contingente dolorosa invoglia a usare sino ad abusare di questa modalità senza riflettere sulle conseguenze che la stessa avrà sui futuri rapporti successori.

Se nell’immediato, quindi, il trasferimento immobiliare in molti casi è solutorio del conflitto e soddisfa pienamente i coniugi, esso, invece, va valutato con estrema attenzione in quanto anni dopo, magari a seguito della contrazione di un nuovo matrimonio o della nascita di altri figli, la scelta fatta potrebbe avere dei riflessi pregiudizievoli sulla nuova famiglia.

Il trasferimento in favore dell’altro coniuge di norma è un contratto atipico che potrebbe esse definito “contratto della crisi matrimoniale”, con una sua causa tipica e un suo motivo quello di definire i complessi rapporti di natura familiare sorti in occasione della separazione , non è una donazione, perché non è sorretto da alcuno spirito di liberalità o spontaneità, incompatibile per sua natura, con il conflitto coniugale, e perché manca dei requisiti di forma solenne prevista dalla legge e non è neppure una transazione, posto che gli accordi presi in sede di separazione o divorzio, mancano di reciproche concessioni, sono sempre modificabili e non possono essere oggetto di rinuncia poiché l’obbligo di mantenimento è un diritto inderogabile.

Solo il contratto della crisi matrimoniale gode dei benefici fiscali sopra citati e non è soggetto a collazione, ossia all’obbligo di conferire in successione tutto ciò che ha ricevuto come donazione in vita, in caso di morte del cedente.

Se la cessione avviene a titolo oneroso al fine di evitare ai coniugi di mantenere la comunione pro-indiviso di un bene che non avrà più un utilizzo comune, è preferibile, rinunciare all’agevolazione fiscale e concludere una normale compravendita, sia a fini successori, sia al fine di evitare eventuali accertamenti e sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Viceversa, se per motivi fiscali o di opportunità, un bene fosse stato donato in costanza di matrimonio al coniuge e si decidesse di restituirlo al reale proprietario la forma dell’atto dovrebbe essere quella delle risoluzione consensuale della donazione, che oltre a ripristinare lo status quo ante e riportare il bene nel patrimonio del donante, anche a fini successori, agevolerebbe l’eventuale rivendibilità del bene sul mercato, visti i rischi legati all’acquisto di un bene di provenienza donativa.

Gloria Gatti

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