I segni dell’abuso sui minori Come si riconoscono, cosa guardare, come interpretare.

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Come valutare i disagi dei minori e come interpretarne i segni. E’ questo un interrogativo di grande attualità in un contesto sociale e mediatico che da un lato tende a fare di qualsiasi minimo sospetto un evento mediatico costruito sul sensazionalismo e sul sospetto mentre molto spesso, intorno molti di noi, ci sono molte realtà sommerse di violenza ed abusi a volte invisibili ed a volte ignorati.
 
E’ abbastanza rara la denuncia di un minore che abbia subito maltrattamenti o peggio abusi sessuali, ed è ancora più difficoltoso ottenere una deposizione della vittima che sia chiara, coerente e particolareggiata come richiede l’esigenza processuale e, contemporaneamente, affidabile, completa e priva di qualsiasi condizionamento come si prefiggono gli psicologi giuridici.
 
LA VALUTAZIONE PSICOLOGICA
Non esistono inoltre dei metodi scientifici univoci che, basandosi solo su delle dichiarazioni, permettano di distinguere la verità dalla menzogna, o di interpretare in modo incontrovertibile la dichiarazione di un minore.
 
La psicologia è una scienza che non offre certezze matematiche, come ben sanno gli psicologi, così come al diritto non è applicabile il metodo scientifico, come invece pretendono i giuristi.
 
La psicologia giuridica consente di ottenere una rappresentazione verosimile della mente, il diritto pretende la certezza in ogni ambito, anche nei sentimenti e nell’imperscrutabilità della mente umana.
 
Le attuali tecniche di ascolto, le conoscenze della psicologia della testimonianza, le metodologie d’intervista cognitiva e strutturata, le tecniche d’indagine, le metodologie di ricerca, raccolta e valutazione delle prove, possono produrre spesso risultati differenti a parità di situazione.
 
I minori, in particolare, sono un microcosmo in continua evoluzione, molto diversi gli uni dagli altri ed in continua evoluzione anche in breve distanza di tempo, di conseguenza un metodo o un atteggiamento adatto a un bambino può non esserlo per un altro.
 
Per le stesse ragioni non si può affermare con certezza che una determinata procedura, per esempio in un certo paese, che prevede un particolare trattamento del minore, sia più efficace di un’altra poiché i minori vivono in una specifica cultura, anche giuridica, ne conoscono le caratteristiche e sono in grado, nei limiti della loro esperienza, di comprenderla.
 
Una procedura perfettamente accettabile per il minore di un paese potrebbe quindi apparire traumatizzante al minore di un’altra cultura.
 
Inoltre bisogna tutelare il minore anche dal procedimento penale, poiché le audizioni, spesso ripetute, le esigenze della difesa ed il recupero mestico dell’evento abusante rinnovano il trauma e possono esporre il minore ad ulteriori violenze.
 
Nei casi di presunto abuso sessuale, in particolare, è fondamentale assicurare prima di ogni altra cosa uno standard minimo di tutela in una situazione che vede il minore completamente nelle mani di figure adulte.
 
La tutela del minore è in parte garantita da speciali regole procedurali ma soprattutto può essere assicurata da un atteggiamento comprensivo nei suoi confronti, frutto dell’attività di tutti gli operatori che interagiscono con il minore e che hanno una profonda conoscenza e comprensione della situazione in cui egli si trova.
 
La regola fondamentale da seguire in tutti i procedimenti che coinvolgono un minore è che, alla fine, indipendentemente dal risultato, il minore dovrebbe trovarsi in una situazione migliore di quanto non fosse all’inizio del procedimento stesso.
I segni fisici dell’abuso, qualunque esso sia, attivo (maltrattamenti ed abusi sessuali) o passivo (incuria, disuria e ipercuria), possono essere anche molto labili, difficili da riconoscere, difficili da dimostrare e soprattutto difficili da accettare.
 
Ma i segni fisici possono anche essere del tutto assenti, ma il fatto che durante un accertamento medico non si riscontrino lesioni o segni di violenza non significa che l’abuso non sia avvenuto.
 
Al contrario, nella maggiorparte dei casi non rimane traccia evidente dell’abusoa livello fisico, prima di tutto perché spesso l’accertamentomedico avviene tardi rispetto al momentodell’abuso mentre le prove, come per esempio le tracce biologiche, durano molto poco e, proprio per il collegamento con l’abuso, generalmente sono rimosse dalla stessa vittima (con il lavaggio, la medicazione, ecc.).
 
Per comprendere i riscontri medici è necessario conoscerne i limiti.
 
Nei casi di maltrattamento in particolare, si deve considerare che non tutte le violenze lasciano segni evidenti, come ad esempio le percosse effettuate con alcuni particolari strumenti (corde bagnate o giornali ad esempio) o in alcune particolari condizioni, inoltre le ecchimosi e gli ematomi, tranne rari casi, durano pochi giorni.
 
Nei casi più efferati, l’abuso può essere perpetrato coscientemente e preordinatamene in un modo tale da non lasciaretraccia o comunque da lasciare delle lesioni che rimangonoevidenti solo per brevissimo tempo.
 
Anche negli abusi sessuali non sempre sono riscontrabili evidenti segni o tracce, si pensi ad esempio agli atti di libidine in genere ed a tutte le pratiche sessuali che non prevedono necessariamente la penetrazione ed inoltre è possibile osservare delle lesioni che si possono far risalire certamente ed esclusivamente ad un rapporto con penetrazione, escludendo incidenti, infezioni e malformazioni, solo se l’accertamento avvenga entro tre mesi dall’abuso.
 
È perciò chiaro che l’accertamento medico deve essere sempre il primo intervento d’indagine, da eseguire nel più breve tempo possibile, poiché anche se negativo non esclude assolutamente l’abuso e le eventuali obiettività rilevate dal medico potrebbero rivelarsi utili per l’accusa, anche se si trattasse di prove non incontrovertibili e non si potesse escludere che la lesione potrebbe essere dovuta a un incidente o a una malattia.
 
Si deve però considerare che la visita rappresenta un ulteriore stress per il minore e che la maggior parte dei bambini prova anche un forte disagio durante questo tipo di accertamento, la visita infatti, così come la necessità di denudarsi, può ricordare l’abuso subito.
 
Per questa ragione è estremamente importante che la visita si svolga nella forma più appropriata, che il medico possieda non solo le conoscenze mediche necessarie, ma conosca anche le possibili reazioni del minore. In alcuni casi è opportuno o anche necessario che il minore venga preparato psicologicamente all’accertamento medico.
 
Anche la trascuratezza e l’incuria non determinano necessariamente stati fisici inequivocabilmente ascrivibili all’abuso passivo. E’ molto difficile rinvenire soggetti trascurati al punto da essere evidentemente denutriti, ad esempio.
 
In generale in tutti questi casi non è facile e frequente che si presenti un chiaro rapporto di causa ed effetto per il quale le conseguenze dell’abuso sono chiaramente e certamente riferibili ad un comportamento abusante e ad un soggetto che può esserne ritenuto responsabile.
 
Infine è importante distinguere tra il concetto di prova e di parere dell’esperto. Infatti Le prove consistono in qualunque lesione o segno riscontrato sulla vittima, mentre le conclusioni che l’esperto trae sulla base della sua conoscenza ed esperienza non costituiscono delle prove, ma piuttosto una valutazione di queste, e quindi la corte non è obbligata a tenerne conto. Il parere dell’esperto è un ausilio per il lavoro di valutazione delle prove, ma non costituisce di per sé una prova.
 
E’ noto che il giudice in base al principio della libera valutazione delle prove, può condurre una valutazione indipendente di tutte le prove del caso, anche se spesso il giudice, non possedendo una conoscenza approfondita in campi quali la medicina, l’economia, le scienze legali, forse si affida fin troppo al parere e all’autorevolezza di un esperto ma egli rimane sempre il “peritus peritorum”.
 
Anche se mancano segni fisici, non mancheranno certamente i segni psicologici.
 
Le conseguenze dell’abuso riguardano funzioni psicologiche ed adattive quali l’organizzazione del Sé, la regolazione degli affetti, lo sviluppo dei pattern di attaccamento, lo sviluppo dell’autostima, le relazioni con i coetanei e l’adattamento sociale.
 
Gli esiti clinici dell’abuso e della trascuratezza risultano variabili ed incostanti e si manifestano in funzione dei fattori di rischio e protettivi presenti nel soggetto e nell’ambiente familiare e sociale, interpretabili alla luce della psicopatologia dello sviluppo .
 
Per dare alcuni riferimenti agli operatori sul campo riportiamo di seguito alcuni indicatori di cambiamento comportamentale che si caratterizzano clinicamente per essere tipici, sebbene non costituenti prova certa ed assoluta, per i casi di abuso:
 
FINO A 6 ANNI DI ETA’:
        Disturbi del sonno
        Disturbo condotte alimentari
        Lamentele per dolori fisici (cefalea, dolori addominali)
        Preoccupazioni insolite
        Paure immotivate
        Rifiuto nel mostrare il corpo nudo
        Esplosioni emotive improvvise (pianto, crisi di rabbia, mutismo)
        Isolamento familiare/sociale
        Aggressività contro adulti/coetanei
        Autolesionismo
        Interesse sessuali e comportamentali sessualizzati inappropriati all’età, masturbazione compulsIva
        Particolari caratteristiche del gioco
DAI 6 ANNI IN POI:
        Disturbi del sonno
        Disturbo condotte alimentali
        Lamentele per dolori fisici (cefalea, dolori addominali)
        Preoccupazioni insolite
        Paure immotivate
        Rifiuto o compiacenza nel mostrare il corpo nudo anche in situazioni mediche, reattività al contatto fisico
        Esplosioni emotive improvvise (pianto, crisi di rabbia, mutismo)
        Aggressività contro adulti/coetanei
        Autolesionismo
        Interessi sessuali inappropriati all’età, masturbazione compulsiva, comportamenti sessuali promiscui
        Passività, inibizione del pensiero
        Depressione, isolamento
        Difficoltà scolastiche
        Oppositività, provocatorietà
        Fughe
Comportamenti immaturi, regressione fasi evolutive precedenti
        Tentativi di suicidio
 
LA VIOLENZA DEL PROCEDIMENTO PENALE
La Convenzione delle Nazioni Unite approvata il 20 novembre del 1989 a New York stabilisce come principio cardine che in tutte le attività di indagine e nei processi decisionali il superiore interesse del minore deve essere una considerazione preminente.
 
La lentezza del procedimento costituisce già una violenza, poiché il minore-vittima deve soffrire ulteriormente vivendo i delicati anni della propria infanzia nell’incertezza riguardo all’esito del procedimento.
 
Molto spesso i minori vengono sottoposti inutilmente a ripetuti ascolti e audizioni. In questo caso è importante distinguere tra i casi in cui l’ascolto ha lo scopo di acquisire nuove informazioni (ad es. ulteriori dettagli sugli episodi di abuso), e i casi in cui il bambino deve ripetere la stessa dichiarazione di fronte a un nuovo operatore giudiziario.
 
In questa fase è anche importante assicurarsi che l’avvocato difensore abbia la possibilità di ascoltare il minore, ma, a parte questo caso, è necessario ridurre al minimo la ripetizione degli ascolti.  Non ha alcun senso infatti far ripetere la stessa dichiarazione più volte anzi è dannoso, poiché le ripetizioni suscitano nel minore un senso di sfiducia; inoltre in questo modo, se l’abuso si è davvero verificato, si costringe la piccola vittima a mantenerne vivo il ricordo.
 
Poi, con il ripetersi dell’ascolto aumenterebbe anche il rischio di influenzare ed esercitare pressioni sulla piccola vittima. In questo tipo di reati, quindi, la videoregistrazione della dichiarazione, magari integrata da domande aggiuntive, dovrebbe essere sufficiente come materiale probatorio.
 
Tuttavia se la speciale posizione di un minore nell’ambito del procedimento viene protetta in modo eccessivo, si rischia di violare il diritto dell’imputato a ricevere un giusto processo ma d’altra parte, se il minore viene invece trattato alla stregua di un adulto e viene, per esempio, controinterrogato dalla difesa, si corre il rischio di sottoporlo ancora una volta a una violenza perpetrata dal mondo degli adulti.
 
Nella pratica la procura minorile persegue, come obiettivo principale, la tutela degli interessi del minore e risulta innanzitutto interessata ad ascoltare il presunto abusante ed altre figure del contesto di vita del bambino, anche al fine di valutare in concreto l’opportunità di mantenere il minore in famiglia.
 
Quando la notizia di reato viene poi trasmessa alla Procura presso il Tribunale, il minore è già stato interrogato diverse volte da operatori ed in contest diversi; inoltre i familiari, messi al corrente delle dichiarazioni, possono aver già attivato dinamiche volte ad indurre il minore stesso a ritrattare oppure, all’inverso, a confermare o dilatare quanto rivelato.
 
La situazione che appare preoccupante si palesa se pensiamo che la rilevazione, l’indagine e la valutazione vengono eseguite da numerosi professionisti in momenti successivi, durante un lungo periodo di tempo.
 
A volte, vengono ripetute le stesse indagini, le stesse domande, vengono utilizzate più volte gli stessi strumenti di valutazione. Non si può non considerare il rischio di suggestione.
 
La prima dichiarazione assume nuove forme da relazione a relazione, da fascicolo a fascicolo. Il problema della ricostruzione dei fatti si va ad aggiungere a quello della vittimizzazione secondaria, del disagio che viene suscitato nel bambino coinvolto in un procedimento giudiziario, ben lungi dal risultare “terapeutico”, e costretto a ripetere numerose volte gli stessi particolari a figure sempre diverse.
 
Anche questo costituisce una forma di violenza sul minore e, per quanto paradossale possa sembrare, non è detto che la violenza che gli deriva dall’intervento delle istituzioni sia sempre inferiore a quella che si suppone abbia usato su di lui l’abusante.
 
 
Massimiliano MANCINI (già Dirigente di Polizia Locale, Docente e consulente nelle materie giuridiche e criminologiche)
 

Mancini Massimiliano

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