I reati a sfondo sessuale, aspetti giuridici e considerazioni

Scarica PDF Stampa

I reati sessuali, prima annoverati tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, vennero con la legge 15 febbraio 1996 n. 66 (Norme contro la violenza sessuale) inseriti nel Titolo XII del Codice Penale, “Delitti contro la persona”, secondo la concezione personalistica della tutela giuridica propria della nostra Costituzione.

I reati che prima rientravano nelle fattispecie “violenza carnale” e “atti sessuali” vengono adesso puniti a norma dell’articolo 609 bis del codice penale come “violenza sessuale”.

A proposito è stata introdotta la fattispecie “violenza sessuale di gruppo”(ex art.609 octies c.p.).

La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, agli atti di violenza sessuale dei quali all’articolo 609 bis del codice penale.

Il responsabile è punito con la pena da sei a dodici anni.

Un’altra fattispecie incrimina gli atti sessuali, violenti e abusivi, nei confronti dei minori (ex art.609 quater, “Atti sessuali con minorenne”).

“Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis “chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in questo articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto”non abbia compiuto gli anni quattordici, non abbia compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, oppure altra persona alla quale, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con lo stesso, una relazione di convivenza.”.

Viene tutelata la riservatezza della vittima, anche se maggiorenne e le sanzioni vengono inasprite.

Risulta che la condotta vietata dall’articolo 609 bis del codice penale ricomprende, se connotata da violenza, qualsiasi comportamento, addirittura anche se non esplicato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo, che sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell’individuo attraverso il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente.

Risulta sufficiente il dolo generico, si richiede la coscienza e volontà di compiere atti pervasivi della sfera sessuale altrui, le finalità dell’agente e l’eventuale soddisfacimento del piacere sessuale personale non assumono un rilievo decisivo ai fini del perfezionamento del reato.

Si distingue dalla violenza sessuale della quale all’articolo 609 bis del codice penale, la più grave fattispecie della quale all’articolo 609 octies del codice penale, la violenza sessuale di gruppo, un reato plurisoggettivo a concorso necessario.

La precedente disciplina prevedeva esclusivamente la figura dell’ordinario concorso di persone negli atti di violenza.

La descrizione legale della condotta rinvia, secondo la formulazione letterale del comma 1 dell’articolo 609 octies, alla nozione di “atti di violenza sessuale dei quali all’articolo 609 bis.

Il riavvicinamento o la riappacificazione della vittima di violenza sessuale e dell’imputato possono costituire un “elemento concreto” idoneo all’alterazione della genuinità della dichiarazione della persona offesa in sede dibattimentale.

La Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione nel 2006 ha ritenuto applicabile in simili ipotesi l’articolo 500 comma 4 del codice di procedura penale, con una lettura ritenuta da alcuni a dir poco estensiva, ma condivisa dalla scrivente.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto più attendibili le affermazioni accusatorie di una donna contenute nel verbale di denuncia rispetto a quelle più indulgenti effettuate dalla stessa al momento del dibattimento dopo una riappacificazione dei coniugi.

Individuando una sorta di “addomesticamento” avvenuto in un clima di sopraffazione materiale e morale da parte del marito, i giudici hanno confermato condanna per il reato del quale all’articolo 609 bis del codice penale.

Il giudice all’inizio aveva fondato il suo convincimento sulle prove in possesso della pubblica accusa, dichiarazioni rese in precedenza dalla moglie e frequenti intrusioni dei carabinieri diretti a frenare i comportamenti violenti dell’uomo.

Secondo il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il Pubblico Ministero potrà, contestare alla persona offesa il contenuto della deposizione e far acquisire al fascicolo del dibattimento le sue precedenti dichiarazioni.

In un’altra precedente pronuncia, la Corte aveva sottolineato il carattere aperto della catalogazione contenuta nel quarto comma articolo 500 del codice penale in ossequio al principio di non dispersione degli elementi di prova non compiutamente o  non genuinamente acquisiti con il metodo orale.

Volume consigliato

Autori e vittime di reato

Il presente volume, pubblicato grazie al sostegno economico dell’Università degli Studi di Milano (Piano di sostegno alla ricerca 2016/2017, azione D), raccoglie i contributi, rivisti ed aggiornati, presentati al convegno internazionale del 7 giugno 2016, al fine di consentire, anche a coloro che non hanno potuto presenziare all’evento, di vedere raccolte alcune delle relazioni, che sono confluite in un testo scritto, e i posters scientifici che sono stati esposti, in quella giornata, a Palazzo Greppi (Milano) e successivamente pubblicati sulla Rivista giuridica Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it). Raffaele Bianchetti è un giurista, specialista in criminologia clinica; lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e come magistrato onorario presso il Tribunale di Milano. Da anni insegna Criminologia e Criminalistica e svolge attività didattica all’interno di corsi di formazione post-lauream e di alta formazione in Italia e all’estero; partecipa come relatore a convegni, congressi e incontri di studio nazionali ed internazionali; fa parte di gruppi di ricerca, anche di natura transnazionale, coordinandone alcuni come responsabile dei progetti. È autore di scritti monografici e di pubblicazioni giuridiche di stampo criminologico, alcune delle quali sono edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Membro componente di comitati scientifici e di comitati redazionali, è condirettore  di due collane editoriali.Luca Lupária Professore Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Roma Tre e visiting professor  in Atenei europei e americani, è autore di scritti monografici su temi centrali della giustizia penale e di oltre cento pubblicazioni scientifiche, apparse anche su riviste straniere e volumi internazionali. È responsabile di programmi e gruppi di ricerca transnazionali sui diritti delle vittime, sulle garanzie europee dell’imputato e   sui rimedi all’errore giudiziario. Condirettore di collane editoriali, è vice-direttore della rivista “Diritto penale contemporaneo” .Elena Mariani è laureata in giurisprudenza e specialista in criminologia clinica. Da oltre dieci anni collabora con la Catte- dra di Criminologia e Criminalistica del Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, effettuando seminari e attività di ricerca sui temi della giustizia penale minorile, della vittimologia, dell’esecuzione penale e delle misure di prevenzione. Svolge da anni attività didattica in corsi di formazione post-lauream e di alta formazione presso diversi atenei italiani. È autrice di una monografia in tema di sistema sanzionatorio minorile e per gli adulti edita in questa Collana e di varie pubblicazioni in materia criminologica, edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Attualmente   è componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Milano e dottoranda di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano. 

Elena Mariani, a cura di Raffaele Bianchetti, Luca Lupària | 2018 Maggioli Editore

36.00 €  34.20 €

L’elemento concreto deve essere identificabile secondo parametri di “ragionevolezza e persuasività”.

I reati a sfondo sessuale sono tra i crimini che suscitano maggiore allarme sociale, soprattutto quando le vittime sono soggetti deboli o gli autori sofferenti psichici.

In relazione a questi motivi negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso le prospettive di trattamento alternative alla pena carceraria per gli autori di comportamenti sessuali abusanti.

Alcuni programmi speciali sono attualmente utilizzati in alcuni Stati americani, nei Paesi scandinavi, in Francia, in Germania e in Regno Unito.

In genere, questi approcci prevedono una prima fase valutativa, che stratifica i soggetti in livelli crescenti di rischio, e una fase “trattamentale” che prevede percorsi diversi, in genere di tipo psicoterapeutico e con l’eventuale utilizzo di farmaci.

Le statistiche che emergono depongono per l’esistenza di un significativo rischio di recidiva specifica per i sex offenders, con l’esigenza di una gestione speciale di questa questione.

Queste evidenze hanno indotto alcuni Paesi ad adottare strategie trattamentali speciali, anche di tipo obbligatorio, che di sicuro hanno importanti riflessi etici e giuridici.

Sembrano essenziali altre riflessioni per valutare il ruolo che simili programmi potrebbero avere nel nostro Paese.

L’accusa di avere commesso un reato a sfondo sessuale è forse la peggiore che possa essere mossa nel diritto penale.

Molto spesso l’imputato viene considerato colpevole non appena gli viene mossa l’accusa del reato, e questo vale in particolare per la stampa e per l’opinione pubblica.

L’imputato viene posto ai margini della società e si sente abbandonato e forse perseguitato senza ragione, nessuno è dalla sua parte.

Spesso egli viene preso da autentica paura, anche la più stretta cerchia di conoscenza reagisce in modo dubbioso, e magari l’imputato non è assolutamente colpevole.

In questa situazione l’imputato ha bisogno di un avvocato energico e competente che lo sappia difendere nel migliore dei modi.

I reati sessuali

Nel diritto penale il reato a sfondo sessuale è una figura giuridica nella quale rientrano la violenza sessuale, gli atti osceni, lo sfruttamento della prostituzione, la prostituzione minorile, la pedofilia, la pedopornografia.

 

La violenza sessuale

L’articolo 609 bis del codice penale, rubricato “violenza sessuale” recita:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Il legislatore disciplinando il reato di violenza sessuale ha articolato due fattispecie principali:

la violenza sessuale per costrizione e la violenza sessuale per induzione, per le quali ha stabilito una pena che va da cinque a dieci anni di reclusione, nonché altre fattispecie per le quali ha previsto pene edittali anche maggiori.

Il reato di violenza sessuale nel passato

La previsione originaria del codice penale distingueva tra due distinte fattispecie delittuose:

la violenza carnale e gli atti di libidine violenti.

Entrambi i delitti erano previsti nel Libro II, Titolo IX, Capo I del codice, sotto la rubrica “Dei delitti contro la libertà sessuale”, nell’ambito della categoria dei “Delitti contro la moralità e il buon costume”.

L’articolo 519 del codice penale, rubricato “ Della violenza carnale”, recita:

Chiunque con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona che al momento del fatto:

1) non ha compiuto gli anni 14;

2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l’ascendente o il tutore, ovvero è un’altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d’istruzione, di vigilanza o di custodia;

3) è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie condizioni d’inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole;

4) è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

La congiunzione carnale violenta è un reato in due tempi.

Il primo è rappresentato dalla costrizione violenta o minacciosa, il secondo dall’atto materiale della congiunzione carnale.

Gli “Atti di libidine violenti“, previsti dall’articolo 521 del codice penale, si distinguevano dalla violenza carnale, sul piano dell’elemento materiale del reato, anche se la condotta sanzionata consisteva nel compimento di “atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale” ed erano puniti con la stessa pena edittale prevista dall’articolo 519 del codice penale, ridotta di un terzo.

Con la novella introdotta dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, che ha abrogato il predetto Capo I, la materia è stata più correttamente inquadrata nella categoria dei delitti contro la persona, precisamente quelli contro la libertà personale, mettendo in rilievo il carattere offensivo delle condotte punite nei confronti del bene giuridico della libertà sessuale e non più di quelli della moralità e del buon costume, ed è adesso disciplinata dagli artt. 609-bis e seguenti del codice penale.

Il Legislatore ha messo sullo stesso piano le condotte lesive del bene giuridico protetto, eliminando la distinzione fondata sulla congiunzione carnale, e sanzionandole in modo molto più severo, con la pena della reclusione da cinque a dieci anni, nonostante al comma 3 dell’art. 609-bis abbia previsto l’ipotesi dei “casi di minore gravità”, per i quali la stessa pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

L’art. 609-septies del codice penale prevede che lo stupro e altra violenza sessuale siano perseguiti dopo che la vittima abbia presentato querela di parte.

Per presentare questa querela, la vittima ha sei mesi dalla data del reato.

Oltre la scadenza dei sei mesi, il reato non è perseguibile.

Se la vittima presenta querela nei tempi stabiliti (sei mesi dal reato).

Il reato può lo stesso andare in prescrizione, regolata da art. 157 del codice penale (15 anni).

 

L’articolo 609-bis del codice penale prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni per chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.

Chi induce qualcuno a compiere o subire atti sessuali:

abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

L’ultimo comma della disposizione stabilisce una diminuzione della pena non eccedente i due terzi per i casi di minore gravità.

L’articolo 609-ter del codice penale, rubricato “circostanze aggravanti” stabilisce la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:

  1. nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
  2. nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
  3. con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
  4. da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici; 5. su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5.-bis all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

L’art 609-quater del codice penale è rubricato “atti sessuali con minorenne”.

Si punisce chi compie atti sessuali al di fuori delle ipotesi precedenti (quindi senza costrizione o induzione) ai danni di:

chi non ha compiuto gli anni quattordici

chi non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia legato al minore da una relazione qualificata (genitore, tutore, convivente, ovvero altra persona cui per ragioni di cura, vigilanza, custodia, istruzione il minore è affidato).

Al comma 3 l’articolo punisce anche chi compie atti sessuali con minore di anni 18 e maggiore di anni 16, sempre che i due soggetti siano legati da una relazione qualificata e che il colpevole abusi dei poteri connessi alla sua posizione.

E’ importante sottolineare che il comma 4 dichiara non punibile chi compie atti sessuali con un minore che abbia compiuto almeno 13 anni, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore ai tre anni.

Un’altra fattispecie di violenza sessuale è quella di gruppo, disciplinata all’articolo 609-octies.

I coautori sono puniti con la reclusione da 6 a 12 anni.

Se la violenza sessuale è commessa su minori di anni dieci la pena è la reclusione da 7 a 14 anni.

 

Gli artt. 609-bis e seguenti del codice penale non puniscono esclusivamente lo stupro inteso come congiunzione carnale non consensuale, ma qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha interpretato questo concetto in modo via via più estensivo.

L’articolo 609 bis del codice penale individua al comma 1 la violenza sessuale per costrizione, prevedendo quali modalità esecutive la costrizione, la minaccia e l’abuso di autorità.

Al comma 2 la violenza sessuale per induzione, determinando le modalità esecutive nell’abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa e l’inganno con sostituzione di persona.

La Prescrizione

L’articolo 609-septies del codice penale prevede che lo stupro e altra violenza sessuale siano perseguiti dopo che la vittima abbia presentato querela di parte.

Per presentare la querela, la vittima ha a disposizione sei mesi dalla data del reato.

Oltre la scadenza dei sei mesi, il reato non è perseguibile.

Se la vittima presenta querela nei tempi stabiliti (sei mesi dalla data del reato) il reato può lo stesso andare in prescrizione, regolata dall’articolo 157 del codice penale.

Il bene giuridico protetto

Il bene giuridico protetto dalla norma per costrizione è la libertà sessuale dell’individuo, vale a dire il diritto di ognuno di esplicare liberamente le sue inclinazioni personali, e nell’impedire che il corpo della persona possa essere utilizzato senza consenso da altri ai fini di soddisfacimento erotico.

Nella induzione il bene giuridico protetto, secondo una parte della dottrina, deve essere individuato nella libertà sessuale, secondo altri nella intangibilità sessuale.

Il bene giuridico non si ravvisa nella libertà sessuale se il reato viene compiuto nei confronti di un soggetto infraquattordicenne come nel caso del comma 1 dell’articolo 609 quater (atti sessuali con minorenne).

Il minore non può effettuare libere scelte di azione nella sfera sessuale, per questo in simili casi si tutela l’integrità fisio-psichica del minore in relazione alla sfera sessuale, nella prospettiva di un corretto sviluppo della sessualità dello stesso.

Il soggetto attivo

Il soggetto attivo del reato può essere chiunque, senza distinzioni di genere, orientamento sessuale o altre caratteristiche personali.

Il fatto di reato

Il fatto di reato è costituito dal compimento di atti sessuali.

La nozione di atti sessuali è dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

Secondo una corrente per atti sessuali si deve intendere l’intera gamma degli atti di libidine.

Un’altra corrente, ne dà una nozione più restrittiva limitandola alle molestie sessuali.

La Consumazione

Il reato si consuma nel luogo e nel momento nel quale avviene l’atto sessuale.

Il compimento di atti sessuali tra loro intervallati da un apprezzabile periodo di tempo non integra un unico reato ma reati plurimi unificati dal vincolo della continuazione.

Altri casi

È prevista la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:

  1. nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
  2. nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
  3. con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
  4. da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici;
  5. su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

 

5.-bis all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

 

Rientra nella fattispecie descritta anche l’indurre taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica di questo o traendolo in inganno, quindi nel caso che la vittima non sia in grado di resistere. Un’altra fattispecie di violenza sessuale è quella di gruppo: i coautori sono puniti con la reclusione da 6 a 12 anni. Se la violenza sessuale causasse una gravidanza alla donna oltraggiata la pena è la reclusione da 7 a 14 anni.

 

Per rimediare alla violenza sessuale ed evitare la pena esisteva il cosiddetto “matrimonio riparatore”, il quale prevedeva l’annullamento del reato se il violentatore contraeva matrimonio con la persona violentata (solo essendo ambedue maggiorenni) facendosi anche carico economicamente di ogni necessità della coppia nascente.

Il 5 agosto 1981 con la legge numero 442 furono abrogate, dal parlamento italiano, le disposizioni sul delitto d’onore e sul matrimonio riparatore.

I casi datati e i fatti di costume

Nel costume italiano fu molto importante la canonizzazione di santa Maria Goretti nel 1950.

Nata nelle Marche nel 1890, Maria fu pugnalata a morte a 12 anni da Alessandro Serenelli, un giovane del suo paese, per avere resistito a un tentativo di stupro.

Dopo avere ricevuto l’estrema unzione perdonò il suo assalitore prima di morire e fu canonizzata come martire della violenza.

L’esempio di Maria Goretti fu proposto dalla Chiesa alle giovani come paradigma della donna pronta a sacrificare la vita per non perdere la purezza, ma anche capace di perdonare, in conformità alla morale cattolica.

“Se sino a quel momento i martiri della Chiesa erano esclusivamente coloro che avevano dato la vita per testimoniare la fede in Cristo, da quel momento alle donne veniva data l’inedita possibilità di morire pur di restare inviolate e conservarsi pure”.

Per la stessa ragione negli anni 1970 e 1980 furono canonizzate anche Antonia Mesina, Pierina Morosini e Teresa Bracco, assassinate nel corso di tentativi di violenza sessuale.

In Italia il Codice Rocco classificava i reati di violenza sessuale e incesto rispettivamente tra i “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” (divisi in “delitti contro la libertà sessuale” e “offese al pudore e all’onore sessuale) e tra i “delitti contro la morale familiare”.

Si trattava di un crimine contro la dignità personale e la moralità pubblica, ma non contro la persona stessa.

L’articolo 544 del codice penale ammetteva il “matrimonio riparatore”.

Secondo questo articolo, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso di matrimonio con la persona offesa.

La situazione venne resa più grave in alcune zone dell’Italia meridionale, dove c’era il costume della “fuitina” (“piccola fuga” in lingua siciliana).

Un esempio di matrimonio per rapimento, nel quale però si presumeva che rapitore e rapita fossero complici per sfuggire all’opposizione della famiglia di lei e all’unione in matrimonio.

Mettendo i genitori della ragazza di fronte al fatto compiuto, ed essendo la ragazza “compromessa”, si costringeva la sua famiglia all’accettazione del matrimonio come “riparatore”.

Il costume della “fuitina” rendeva possibile argomentare, in caso di rapimento a scopo di stupro, che si era trattato di una fuga consenziente.

Negli anni sessanta, la vicenda di Franca Viola segnò un’evoluzione nel costume italiano, e siciliano in particolare.

Franca era una giovane siciliana che nel 1965, a 18 anni, venne sequestrata e violentata per più giorni da Filippo Melodia, suo spasimante sempre respinto, il quale forse contava anche sulla clausola del matrimonio riparatore.

Con l’appoggio del padre, Franca non accettò il matrimonio ma denunciò il suo aggressore per sequestro di persona.

Malgrado le intimidazioni alla famiglia di Franca, e soprattutto i tentativi della difesa di screditare la sua moralità attribuendole la partecipazione a una “fuitina” con l’accusato, quest’ultimo fu condannato.

In diverse parti del mondo, dagli anni settanta ci sono stati molti processi per stupro e il reato è diventato un crimine contro la persona, anziché contro la dignità personale o la moralità pubblica. Questo cambiamento è stato promosso e ottenuto in primo luogo grazie all’azione del movimento femminista, particolarmente attivo in quel periodo.

In diversi Stati il Movimento di liberazione delle donne creò i primi centri per vittime degli stupri. Questo movimento fu guidato dall’organizzazione Nazionale per le Donne  NOW (National Organization for Women).

Uno dei primi centri per le vittime da stupro, il Washington Rape Crisis Center, venne aperto nel 1972 per capire gli effetti dello stupro sulle vittime.

Anche in Italia dagli anni settanta in poi, l’azione del movimento femminista e la sensazione causata da alcuni fatti di cronaca particolarmente efferati contribuirono a un graduale cambiamento di mentalità rispetto allo stupro.

In particolare, due processi sconvolsero l’opinione pubblica.

Il primo fu la vicenda di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, che nel 1975 furono invitate a partecipare a una festa e sequestrate e torturate da Giovanni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, tre giovani della Roma “bene”.

Donatella Colasanti era rappresentata dall’avvocata Tina Lagostena Bassi, che si segnalò per le arringhe asciutte e crude nei termini.

Per l’atrocità delle sevizie inferte, che causarono la morte di Rosaria e danni fisici e psichici incalcolabili a Donatella, il sequestro si rocorda come il massacro del Circeo.

Tina Lagostena Bassi, avvocato al Processo per stupro

Il secondo ebbe luogo nel 1978 e fu il primo processo per stupro mandato in onda dalla Rai, il 26 aprile 1979, come documentario dal titolo Processo per stupro.

L’intento della regista Loredana Dordi era quello di documentare un meccanismo sociale segnalato in molti congressi femministi a livello internazionale, vale a dire che durante un processo per stupro la vittima si trasformava in imputata.

Registrato al Tribunale di Latina, il documentario fu seguito da quasi dieci milioni di telespettatori, insignito del Prix Italia e presentato a svariati festival del cinema.

Oggi se ne conserva una copia al Museum of Modern Art di New York.

La vittima del processo filmato era una giovane di 18 anni, che denunciò per violenza carnale un gruppo di quattro uomini.

Il processo fu reso difficile dal fatto che la vittima conosceva uno degli imputati e non presentava segni di percosse o maltrattamenti.

Come difensore di parte civile, ancora una volta l’avvocata Tina Lagostena Bassi.

In un’intervista del 2007, Lagostena Bassi dichiarò:

“Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne, era una violenza, uno la sentiva, materialmente”.

Gli avvocati difensori al processo inquisirono sui dettagli della violenza e sulla vita privata della persona offesa, al fine di addossarle la responsabilità della violenza, e Tina Lagostena Bassi sentì la necessità di ribadire che il suo ruolo non è quello di difendere la giovane che ha denunciato i quattro imputati.

L’atteggiamento mentale che emergeva in aula era che una donna “di buoni costumi” non poteva essere violentata, che se c’era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della donna, che se non c’era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, la donna doveva essere consenziente.

Tristemente noto fu anche il sequestro e lo stupro di gruppo di Franca Rame da parte di un gruppo di neofascisti nel 1973.

La donna racconterà l’episodio in forma indiretta nel monologo teatrale “Lo stupro” nel 1975, e solamente nel 1987 dichiarerà che si trattava di un racconto autobiografico.

L’entità dell’evento emerse completamente dopo la conclusione del processo, nel 1998, quando si seppe che lo stupro era stato “ispirato” da alcuni alti ufficiali della divisione dei Carabinieri Pastrengo, si parlò di “stupro politico” e “stupro di Stato”.

Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca presidente della Repubblica, presentò pubbliche scuse all’attrice.

Nel 1981 venne modificato il codice penale  Rocco in relazione alle cause d’onore.

In particolare venne abrogato l’articolo 544, che ammetteva il “matrimonio riparatore”. secondo questo articolo del codice, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso di matrimonio con la persona offesa.

Questo articolo fu abrogato con l’articolo 1 della legge n. 442/1981.

Sino al 1996  rimase in vigore la sezione del Codice Rocco per la quale la violenza sessuale ledeva la moralità pubblica.

I reati di violenza sessuale e di incesto erano rispettivamente parte “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” (divisi in “delitti contro la libertà sessuale” e “offese al pudore e all’onore sessuale”) e “Dei delitti contro la morale familiare”.

Con la legge 15 febbraio 1996 n. 66, “Norme contro la violenza sessuale”, si afferma il principio secondo il quale lo stupro è un crimine contro la persona, che viene coartata nella sua libertà sessuale, e non contro la morale pubblica.

Gli atti osceni

Il codice penale punisce chiunque compie atti osceni in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico.

L’articolo 527 del codice penale rubricato “atti osceni”, recita:

Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000.

Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantuno euro a trecentonove euro.

Il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 ha depenalizzato il reato in questione.
La giurisprudenza ritiene che l’offesa al pudore sia strettamente legata al requisito della pubblicità degli atti osceni, che si deve intendere come la possibile percezione degli stessi da parte di un numero indeterminato di persone.

Secondo la giurisprudenza, gli atti osceni sono quelli relativi alla sfera della sessualità e che hanno lo scopo di richiamarne gli aspetti più scabrosi.

L’atto osceno non si limita alla rappresentazione di un atto sessuale ma comprende anche l’oscenità delle azioni e dei comportamenti che richiamino l’atto stesso, come gli atteggiamenti licenziosi che offendono il senso di riservatezza che presiede alle manifestazioni in luogo pubblico (Cass., sent. n. 19178/2015).

Secondo la legge, l’oscenità di un atto è rilevante se compiuto in luogo diverso da quello privato, in un luogo pubblico, una strada o una piazza, o aperto al pubblico, un cinema, un circolo o qualsiasi altro posto dove l’ingresso è possibile a determinate condizioni, ad esempio pagando il biglietto.

In seguito alla depenalizzazione della quale si è scritto sopra, il compimento di atti osceni in luogo pubblico è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a trentamila euro. Questo significa che la persona colta nel compimento di un atto indecente o scandaloso non rischia il carcere, ma di pagare una sanzione economica molto salata. Una sanzione amministrativa minima (da 51 a 309 euro) si applica se il gesto sconcio avviene per colpa, cioè senza la precisa intenzione di compierlo per offendere l’altrui pudore.

Gli atti osceni in luogo pubblico costituiscono ancora reato se commessi in luoghi particolari. Se il fatto è commesso in luoghi di solito frequentati da minori o nelle immediate vicinanze, e ne deriva il pericolo che essi assistano. In questa circostanza, si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi.

Gli atti osceni diventano un illecito penale quando c’è il rischio che all’atto possa assistere un minorenne. La legge non dice che il reato si integra se un minore di diciotto anni assiste, ma anche se c’è il pericolo che possa accadere.

La persona che compie atti indecorosi (ad esempio lo sfregamento delle parti intime, palpeggiamenti o atti di autoerotismo) davanti a una scuola, incorre nel reato in questione anche se nell’istituto non ci dovessero essere minorenni, e questo perché per il solo fatto che c’era il rischio potenziale che qualche fanciullo potesse assistere.

Il reato di atti osceni ti osceni in luogo pubblico è un reato di pericolo, nel senso che non è necessario che l’offesa al bene giuridico tutelato (alla verecondia o al pudore sessuale) si verifichi in modo reale, è sufficiente la semplice possibilità che accada.

Il legislatore italiano ha pensato di distinguere gli atti osceni in tre categorie:

Atti osceni compiuti in un qualsiasi luogo pubblico o aperto al pubblico, punibili con una sanzione amministrativa.

Atti osceni compiuti in prossimità o all’interno di luoghi di solito frequentati da minori, ad esempio, scuole, centri ricreativi per ragazzi, puniti con la reclusione.

Atti osceni compiuti non intenzionalmente, puniti con sanzione pecuniaria irrisoria.

Il luogo pubblico è quello sempre libero, di diritto o di fatto, a chiunque o a un numero indeterminato di persone, una piazza, una pubblica via, un parcheggio libero.

Il luogo aperto al pubblico è quello al quale può accedere il pubblico, in determinati momenti o adempiendo a speciali condizioni stabilite da coloro che sullo stesso posto esercitano un diritto o una potestà, oppure ancora il luogo al quale può accedere in modo esclusivo una categoria di persone in possesso di determinati requisiti. Costituiscono esempi tipici di luoghi aperti al pubblico i cinema, i musei, i teatri.

Perché si integri il reato di atti osceni in un luogo aperto al pubblico è necessario che il fatto sia compiuto quando il luogo sia accessibile al pubblico. La coppia che si apparta in un cinema che non ha ancora aperto non commetterà il delitto di atti osceni.

Il luogo esposto al pubblico è quello che, anche se non pubblico né aperto al pubblico, è posto in modo che un determinato di persone, in determinate condizioni, possa vedere quello che in esso si trova o si fa.

La differenza tra luogo pubblico, aperto al pubblico ed esposto al pubblico non sta esclusivamente nella condizione nella quale essi si trovano, ma anche in quella giuridica. Secondo la giurisprudenza, quando si tratti di luogo pubblico o aperto al pubblico basta la possibilità, in astratto, che qualcun altro si accorga di quello che sta accadendo, ed è irrilevante il fatto che una determinata condotta sia avvenuta di notte oppure adottando le precauzioni del caso, oppure sia avvenuta in campagna o in zona appartata.

Nel caso di luogo esposto al pubblico ci si dovrà chiedere se c’era la possibilità che terze persone si potessero accorgere della condotta posta in essere.

Atti contrari alla pubblica decenza

Molto simile al reato di atti osceni in luogo pubblico è quello di atti contrari alla pubblica decenza. Questo è un reato che punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a diecimila euro chiunque, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza.

Sia nel caso di atti osceni sia in quello di atti contrari alla pubblica decenza, elemento costitutivo è che la condotta debba avvenire in luogo pubblico, altrimenti non si avrebbe nessun reato.

Gli atti contrari alla pubblica decenza realizzano una condotta di minore gravità rispetto agli atti osceni, come sanzione non è previsto il carcere, nemmeno se gli atti indecenti vengano compiuti davanti a una scuola o a qualsiasi altro luogo di solito frequentato da minorenni.

Secondo la giurisprudenza, la distinzione tra atti osceni e atti contrari alla pubblica decenza va individuata nel fatto che il reato di atti osceni ha un contenuto più specifico, essendo relativo al naturale sentimento del pudore sessuale, gli atti contrari alla pubblica decenza offendono i sentimenti più comuni e generici di compostezza e riservatezza.

Ad esempio, secondo la giurisprudenza, orinare in un luogo pubblico, perché dipende dalla sessualità, rientra tra gli atti contrari alla pubblica decenza, mentre chi si masturba pubblicamente commette il più grave reato di atti osceni in luogo pubblico, essendo un comportamento che offende il pudore sessuale.

Allo stesso modo, integra il reato di atti contrari alla pubblica decenza l’esibizione dei glutei scoperti ai passanti in luogo di pubblico transito, mentre si configurano gli atti osceni nel caso di esibizione dell’organo genitale maschile con palpeggiamento simulatorio di un atto sessuale.

 

Lo sfruttamento della prostituzione

Lo sfruttamento della prostituzione o lenocinio è l’attività criminale di coloro che a qualsiasi titolo traggano vantaggio economico dal meretricio di altre persone esercitando il prossenetismo.

Spesso l’attività consiste nel guadagnare attraverso gruppi di persone, di solito donne, costrette a fornire prestazioni sessuali sotto intimidazioni, coercizione fisica e usura.

Nella maggior parte dei Paesi del mondo lo sfruttamento della prostituzione è illegale, ma in molti di questi vine praticato lo stesso.

Allo stato attuale non esiste una definizione universalmente riconosciuta, specialmente quando l’elemento coercitivo è rimosso dalla definizione di favoreggiamento.

Ad esempio, in Inghilterra il The Sexual Offenses Act, ha incluso la tratta a sfondo sessuale ma non a quelli che commettono reati con l’utilizzo della forza, così da fare rientrare qualsiasi persona che varca i confini del Regno come se avesse espresso il suo consenso.

Nel U.S. Trafficking Victims Protection Act del 2000, si afferma che qualsiasi minorenne è coinvolto nel commercio del sesso negli Stati Uniti mentre sotto i diciotto anni le vittime sono classificate come se subissero la tratta, anche se non c’entrano con le diverse forme di tratta di persone.

La figura dello sfruttatore forse è apparsa al mondo quando la società ha deciso di organizzarsi.

Nel 430 a.C. circa, Aspasia di Mileto, seconda moglie di Pericle, venne accusata di lenocinio, forse da Tucidide figlio di Melesia, nel tentativo di attaccare la potente figura dello stratega ateniese.

In Inghilterra nel 1607  la questione apparve per la prima volta nell’opera di Thomas Middleton intitolata Your Five Gallants, seguito dal libro di Massinger The Bashful Lover nel 1636.

Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo il termine era comunemente utilizzato in relazione a questioni esclusivamente di costumi.

In America lenoni famosi sono stati Fillmore Slim, Iceberg Slim, Don “Magic” Juan, Slickback.

 

In che cosa consiste il reato

Lo sfruttamento è di solito collegato alla volontà di ottenere un beneficio di tipo economico.

 A questo proposito il lenone può ricorrere a una bottom girl che sfrutta come segretaria, con compiti di gestione degli appuntamenti e di riscossione del denaro.

In questo senso è possibile intravvedere l’esistenza di una gerarchia dell’ambiente malavitoso.

I lenoni più giovani e con poca esperienza sono anche chiamati “lenopcorn”, i lenoni che stanno scalando le posizioni organizzative ma che non sono ancora arrivati in cima sono chiamati “lenoni di Giona”, mentre coloro che sono nel giro e hanno acquistano una posizione consolidata sono anche detti “lenoni di gala”.

Una parte consistente del business consiste nell’ottenere e preservare il giro di prostitute.

Perderne anche una è un grave danno per il lenone, mentre  il tentativo di sottrarre prostitute a un altro lenone si chiama “pela lenone”.

Le prostitute che cambiano da un lenone all’altro sono chiamate Choosey Susie.

Un’ampia percentuale di lenoni americani sono inseriti in organizzazioni criminali che procurano seri inconvenienti alla polizia locale negli Stati dove la prostituzione è una questione significativa.

I lenoni che trafficano in sostanze illecite sono più redditizi perché consentono alle organizzazioni di estendere il giro di affari in altri settori della criminalità.

Queste organizzazioni hanno bisognano di denaro per sopravvivere, ed equivale a ottenere prestigio e rispetto ma, mentre per un’organizzazione può essere vantaggioso trafficare in droga, per un individuo diventa più difficile a causa del fatto che si espone di più ai vertici organizzativi.

Non mancano casi di presenza di entrambe le situazioni di modo che il lenone sia assunto come colui che riscuote il denaro mentre le prostitute sono esposte alla comune criminalizzazione.

Il lenone può contare su una serie di benefici grazie alla possibilità di reclutare adepti da subordinare alla sua autorità, oltre a godere dei beni di lusso messi a disposizione dall’organizzazione come, per esempio, limousine, abiti alla moda e, soprattutto, armi.

Molte unità di polizia cercano di accertare se la prostituta lavora per un lenone in modo da ottenere informazioni sui livelli superiori dell’organizzazione.

 

La deontologia criminale

Il giro di affari dello sfruttamento della prostituzione ha un suo “codice d’onore” per evitare che i lenoni possano tradire l’organizzazione.

In alcuni casi, questi assumono degli agenti apposta per controllare l’adesione delle prostitute ai principi del codice.

Una delle punizioni escogitate da questi agenti è il “cofano” che consiste nel rinchiudere la prostitute ribelle nel cofano posteriore di un’automobile.

Anche se una prostituta potrebbe decidere di passare a un altro lenone, questo tentativo spesso è inibito con intimidazioni.

In alcuni casi possono essere punite anche  per pubblicizzare o favorire un’altra concorrente, cosiddetta “strizzata d’occhio”.

Non di rado capita che a subirne le stesse conseguenze,  anziché la prostituta, sia il cliente debitore.

La spersonalizzazione

Molti lenoni ricorrono al tatuaggio delle loro prostitute come se fossero di propria proprietà e per distinguerle da quelle degli altri.

Il soggetto del tatuaggio può consistere nel nome della locazione presso la quale le ragazze attirano i clienti, per esempio una via o una strada, o qualche altro idioma.

La disintermediazione

Da quando Internet ha assunto posizioni più accessibili, è diventato il luogo ideale dove adescare clienti e dove prenotare gli appuntamenti.

Ricorrono sempre più a questo strumento mediatico sia le prostitute per favorire gli incontri, sia i lenoni per reclutare il personale.

L’utilizzo di Internet ai fini dello sfruttamento è il risultato della “disintermediazione” della prostituzione, intendendo la possibilità da parte delle persone di trovare autonomamente i clienti relegando, allo stesso tempo, il lenone a un ruolo marginale.

Nel 2011 il magazine Wired ha pubblicato una notizia secondo la quale almeno undici lenoni sono stati disoccupati per quattro anni a Manhattan.

La genesi criminale

Il principale motivo per una donna di accettare un’offerta da un trafficante è per cogliere le opportunità offerte per sé e per la sua famiglia.

In molti casi i trafficanti inizialmente offrono un lavoro normale o promettono un’opportunità per raggiungere un buon livello d’istruzione.

Le promesse che più frequentemente sono offerte sono sia di tipo positivo, per esempio il servizio presso alberghi o ristoranti, sfilate di moda, offerte di matrimonio, sia di tipo negativo, per esempio minacce, intimidazioni e sottrazione di minorenne.

Molte donne diventano vittime della tratta, altre interpretano la propria condizione come un’opportunità per ottenere guadagni illeciti sebbene non abbiano un punto di vista accurato sulle circostanze e sulle condizioni di lavoro nel paese di destinazione.

 

La prostituzione volontaria, lo sfruttamento e la tratta

La linea di demarcazione tra prostituzione forzata e volontaria è molto labile, ed è vista da molti come una pratica abusiva nonché una violenza stessa contro le donne. In alcuni paesi, come per esempio quelli scandinavi, sono perseguiti i clienti ma non le prostitute.

La tratta a sfondo sessuale implica l’induzione di migranti in atti sessuali come condizione stretta e necessaria per effettuare il viaggio, sfruttando la coercizione, le intimidazioni e l’usura con i debiti.

Donne e bambini vittime di tratta sono spesso vittime di inganni e false promesse su eventuali contratti di lavoro in servizi domiciliari o industriali, mentre sono indotti a prostituirsi in locali di malaffare con la requisizione dei loro documenti di identificazione.

Possono subire violenze o deprivazioni sotto false promesse di liberazione dopo avere pagato un prezzo più o meno alto così come per il visto e per il viaggio.

La coppia penale

Il lenone è l’agente delle prostitute che ne sottrae una parte dei guadagni.

Può ricevere il denaro come retribuzione per i servizi offerti, come mediazione con i clienti, sicurezza personale e provvedere, in alcuni casi monopolizzare, a un riparo dove ricevere la clientela.

Se il lenone è una donna, si usa il termine di “matrona”.

Come la prostituzione volontaria, la liceità di certe attività variano da paese a paese ma, sostanzialmente, il tipo di condotta è la medesima con la possibilità da parte del lenone di ricorrere alla violenza nei casi di mancato pagamento della propria quota, denuncia alla polizia od ogni altro tentativo di sfuggire allo sfruttamento.

Nei paesi dove la prostituzione è proibita, le vittime hanno minori chance di denunciare la propria condizione di schiavitù per timore di essere a loro volta arrestate e sono più motivate a chiedere la “protezione” di qualche lenone.

La relazione lenone-prostituta può essere abusiva o possessiva, con il lenone/matrona che ricorre all’intimidazione, alla manipolazione, inedia, stupro, maltrattamenti, intimidazioni alla vittima o alla sua famiglia, inducendo all’assunzione di droghe e biasimandole per simili atti.

I protettori possono essere arrestati con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e sono legalmente considerati come procacciatori.

La difesa sociale

In Italia

In Italia la materia è regolata dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75 (cosiddetta “legge Merlin”, che ha sostituito i precedenti articoli da 531 a 536 del codice penale) e dalla legge 3 agosto 1998, n. 269. Recentemente alcuni servizi municipali si sono dotati di speciali unità motorizzate con il compito di offrire assistenza alle prostitute.

Nel 2004, per esempio, in Provincia di Caserta è stato avviato il progetto “Gladiolo”, con l’intenzione di promuovere il rispetto e la tolleranza civile tra cittadini italiani e immigrati fornendo un aiuto a coloro che sono plagiate, sfruttate o costrette in schiavitù.

 

In Inghilterra

Le vittime da tratta sono anche esposte a diversi problemi psicologici come alienazione, stigmatizzazione, emarginazione e intolleranza che rendono ostica l’integrazione sociale nella comunità locale. Il governo offre una modesta assistenza sociale alle vittime da tratta fino al loro ritorno.

Se sono coinvolte nel traffico di droga, subiscono le conseguenze penali derivanti dai reati.

Le prospettive sulla lotta allo sfruttamento della prostituzione

La criminalità in questo settore si sta evolvendo in modalità impressionante.

Nel lessico anglosassone, per esempio, è stato coniato il termine loverboy per indicare una persona che seduce un’altra al solo scopo di indurla alla prostituzione e si è stimato ci siano 1.500 vittime l’anno.

Anche i loverboy come i lenoni ricorrono alla violenza e alla minaccia per raggiungere i propri scopi.

A causa del contesto sentimentale in cui avviene il rapporto, molti “loverboys” arrestati subiscono condanne minori rispetto ai loro colleghi, per questo molte municipalità si stanno attivando per preparare del personale specializzato nel rilevare le potenziali vittime.

 

La prostituzione minorile

Il reato di prostituzione minorile è un delitto previsto dal codice penale all’articolo 600 bis.

Questa tipologia di reato rientra tra i delitti contro la persona, disciplinati dal titolo XII del libro II “Dei delitti in particolare” del codice penale. 

L’elemento oggettivo del reato

Secondo l’ipotesi prevista dal comma 1 dell’articolo 600 bis del codice penale, il reato è consumato da chiunque recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto, favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto.

La pena è la reclusione da sei a dodici anni e la multa da euro 15.000 a euro 150.000 .

L’ipotesi prevista dal comma 2

Al comma 2 della norma è prevista la consumazione del reato se l’agente compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi.

La pena è la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 1.500 a euro 6.000.

L’elemento soggettivo del reato

Per la consumazione di tale reato è previsto il dolo generico, vale a dire la volontà, da parte dell’agente, di compiere gli atti vietati dal precetto della norma.

Nonostante questo dal 2012, per i delitti contro la personalità individuale, compresa la prostituzione minorile, è stato introdotto un profilo parziale di colpa, perché, a norma dell’articolo 602-quater del codice penale, “il colpevole non può invocare a sua scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile.”

La pedofilia

Il codice penale non punisce la pedofilia come tale.

Il pedofilo è una persona attratta sessualmente da un bambino e, sino a quando non realizza in modo concreto questa attrazione, non potrà essere punito.

Il motivo risiede nel fatto che un individuo non può andare in carcere esclusivamente per le sue tendenze.

Provare una perversione non è reato, che scatta quando una persona si trova in pericolo.

Il legislatore italiano, per attuare una efficace tutela nei confronti dei minori, ha previsto che venissero punite anche i comportamenti che non realizzano un  autentico atto di pedofilia ma che si avvicinano ad esso, vale a dire la pedopornografia, o meglio di chi usufruisce degli spettacoli o dei prodotti della pornografia minorile.

In questo caso, anche se la persona non prende parte attiva alla realizzazione del materiale pedopornografico, favorisce la diffusione e la produzione della pornografia minorile per il fatto di esserne un fruitore, per questo motivo la legge lo punisce lo stesso con pene meno severe.

I tipi di comportamento che integrano i delitti previsti dal codice penale sono gli atti sessuali e la pornografia minorile.

Quando la pedofilia è reato

La pedofilia è reato quando si concretizza in un atto sessuale.

Il codice penale preferisce la nozione ampia di atti sessuali a quella di rapporto sessuale, che di solito vine inteso come la congiunzione carnale tra due persone, mentre gli atti sessuali sono concetto più ampio, nel quale sono comprese le azioni che coinvolgono le zone erogene di una persona.

Si può qualificare come atto sessuale anche l’attenzione nei confronti di una persona dalla quale deriva un piacere erotico.

Secondo il codice penale, chiunque compia atti sessuali con persona che non abbia ancora compiuto quattordici anni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

La stessa pena è prevista per compie atti sessuali con chi non ha compiuto sedici anni, quando egli sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, oppure altra persona alla quale, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con la persona in questione una relazione di convivenza (art. 609-quater c.p.).

Il reato appena descritto prende il nome di atti sessuali con minorenne, e prevede due ipotesi:

Che gli atti sessuali avvengano con minore di quattordici anni consenziente

Che gli atti sessuali vengano compiuti con minore di sedici anni consenziente, se colui che li realizza vanta un particolare rapporto con la persona offesa (genitore, ascendente, tutore).

In via eccezionale, il minorenne che compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, non è punibile se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.

Il rapporto tra un sedicenne e una tredicenne non costituisce reato.

La differenza tra gli atti sessuali con minorenne e la violenza sessuale, sta nel fatto che in questo reato manca il consenso della vittima per avere un rapporto sessuale, mentre nell’ipotesi di atti sessuali con minori, la vittima è consenziente, nonostante la legge ritenga che si tratti di un consenso “immaturo”.

Gli atti sessuali compiuti da un diciottenne nei confronti di una tredicenne, anche se corrisposti, costituiscono reato.

La pedopornografia

Veniamo ora ai delitti di pornografia minorile. In Italia la pornografia non è reato; lo è, invece, la pornografia minorile. Il codice penale, al fine di predisporre una tutela completa della sessualità minorile, sanziona severamente una serie di condotte che vanno dalla realizzazione del prodotto pedopornografico alla distribuzione, diffusione, divulgazione o pubblicizzazione, anche per via telematica, del materiale incriminato.

La pornografia minorile

Il codice penale intende qualunque rappresentazione, realizzata con qualsiasi mezzo, di un minore di diciotto anni coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minorenne per scopi sessuali.

Il codice penale punisce con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da 24 mila a 240mila euro chiunque:

Utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico.

Recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici oppure dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.

La stessa pena è prevista per chi fa commercio del materiale pornografico.

Chi, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico, oppure distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minorenni, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 a 51.645 euro.

Chiunque, fuori da queste ipotesi, offre o cede agli altri, anche a titolo gratuito, materiale pedopornografico, è punito con la reclusione sino a tre anni e con la multa da 1.549 a 5.164 euro. Chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici nei quali siano coinvolti minori di diciotto anni, è punito con la reclusione sino a tre anni e con la multa da 1.500 a 6mila euro (art. 609-quinquies c.p.).

I comportamenti incriminate sono molti.

I primi sono relativi al gradino iniziale della pornografia minorile, vale a dire la realizzazione del materiale pedopornografico. I

Viene sanzionato chi utilizza i minorenni, chi in modo materiale li adopera per la realizzazione del materiale pornografico.

Incorrono nella stessa pena coloro che reclutano o inducono i minori a partecipare agli spettacoli osceni.

La differenza con il comportamento precedente è evidente.

Chi recluta o induce si avvale indirettamente dei bambini, spingendoli tra le braccia dell’orco che se ne servirà.

Utilizzazione, reclutamento e induzione sono i primi comportamenti soggetti a sanzione, equiparate dal punto di vista del trattamento penale.

Il legislatore non mette in gioco il fine di lucro dei colpevoli.

Commetterà questo reato, anche chi, per soddisfare la sua libidine, scatti fotografie alle parti intime di un minorenne consenziente (Cass., sezioni unite, sent. n.13 del 05/07/2000).

Lo scopo di lucro non è essenziale alla fattispecie,  risponderà del reato anche chi faccia parte del mercato pedopornografico a titolo gratuito.

Il secondo gradino consiste nella diffusione dello stesso.

Il codice penale punisce, in modo meno grave, chiunque, al di fuori dei comportamenti di utilizzazione, reclutamento e induzione con qualsiasi mezzo, anche telematicamente, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico anzidetto, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori di diciotto  anni.

Un po’ più in basso si trovano i comportamenti di coloro che offrono o cedono agli altri, anche a titolo gratuito, il materiale pedopornografico.

Le condotte incriminate si differenziano dal commercio, punito con la pena più alta, per il fatto di non trovarsi al vertice della catena di distribuzione del prodotto.

Le persone fanno commercio del materiale pornografico vengono incriminate per essere degli autentici “imprenditori della pornografia minorile”, soggetti che si arricchiscono in relazione alla vendita del materiale illecito.

La cessione si pone a livello del consumatore, vale a dire di chi ha acquistato il prodotto e lo rivende.

La sua pericolosità è molto minore, e l’onerosità della cessione rappresenta un elemento secondario.

Allo stesso modo vine punito chi offre gratuitamente il materiale.

All’ultimo gradino si trovano coloro che assistono ad esibizioni o a spettacoli pedopornografici. I

Il legislatore punisce anche questa condotta passiva, il comportamento chi si limita esclusivamente a guardare.

Si è voluta colpire anche la domanda di materiale pedopornografico, perché idonea a incidere sull’offerta degli stessi, vale a dire sulla loro produzione

La detenzione e la pedopornografia virtuale

La tutela penalistica della sessualità minorile finisce con le disposizioni che puniscono anche coloro che si procurano o detengono materiale pedopornografico (art. 600-quater c.p.), oltre che  con l’estensione delle norme sopra scritte alla cosiddetta pornografia virtuale, vale a dire il materiale pornografico che rappresenta immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica utilizzando immagini di minori o parti di esse (art. 600-quater 1 c.p.).

La pena è diminuita di un terzo.

In relazione alla sussistenza del reato di pedopornografia non è necessaria la diffusione esterna del materiale.

E’ emerso dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 6 marzo 2018, n. 10167.

L’interpretazione fornita dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13 del 31 maggio 2000, ritiene che “siccome il delitto di pornografia minorile del quale all’art. 600-ter, comma 1, c.p., con il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia, ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”.

Non sembra possibile realizzare esibizioni pornografiche se non offrendo il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili.

Produrre materiale pornografico significa produrre materiale diretto ad essere immesso nel mercato della pedofilia.

Secondo gli ermellini, anche la produzione a utlilizzo personale è reato perché la stessa relazione, anche se senza contatto fisico, tra adulto e minorenne, contemplata dall’art. 600-ter c.p., è considerata come degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso.

L’ordinanza in commento costituisce una delle prime applicazioni della normativa introdotta nella riforma del processo penale con la legge n. 103/2017, che impone alla Sezione semplice della Cassazione che ritiene di non condividere l’indirizzo cristallizzato in una pronuncia delle Sezioni Unite, di richiamarle in causa per una riconsiderazione.

La Suprema Corte di Cassazione sulla pedopornografia

La Suprema Corte di Cassazione, in una sentenza dello scorso anno, ha stabilito che, in caso di detenzione di materiale pedopornografico in formato elettronico, comportamento che di per sé integra reato, la presenza di programmi di file sharing installati sul computer è un elemento  molto indicativo del fato che sussista il reato di pornografia minorile, integrato dall’attività di divulgazione del relativo materiale.

In simili ipotesi, il reato di pornografia minorile non si ha in modo esclusivo se sono assenti altri elementi che indicano la volontà dell’agente di divulgare il materiale, che si può dedurre dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale e dal comportamento relativo ad espedienti rivolti a rendere difficoltosa l’individuazione dell’attività.

Nel caso in questione, Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, in sede di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità penale di un soggetto imputato del reato di pornografia minorile (art. 600-ter c.p.) e detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.), condannandolo alla pena di due anni di reclusione e 2000 euro di multa. La decisione, impugnata dall’imputato, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano.

Contro questa decisione, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, e aveva dedotto, in relazione al reato di pornografia minorile, l’insussistenza del dolo nella condivisione dei files, avendo la Corte ritenuto sussistente l’elemento soggettivo esclusivamente sulla base dell’utilizzazione del software denominato “E.mule”, essendo lo stesso destinato alla condivisione.

La Cassazione ha ritenuto le dichiarazioni dell’imputato palesemente infondate  e generiche, non essendosi confrontata con le motivazioni dei giudici di merito e, in particolare con la decisione di appello, che aveva evidenziato la presenza di elementi sicuri dai quali si poteva dedurre la diffusione dell’ingente materiale in possesso (almeno 194 file video) attraverso il programma di file sharing.

La Corte aveva argomentato in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma, ritenendo irrilevante che l’imputato non avesse agito con l’intenzione di diffondere le immagini pedopornografiche, considerato che lo stesso “scaricando quel materiale con quel programma di condivisione aveva accettato il rischio che le immagini venissero diffuse sulla rete, con conseguente punibilità almeno a titolo di dolo eventuale”.

Secondo la Suprema Corte, detenere materiale pedopornografico, scaricato in quantità elevate, insieme all’utilizzazione del programma di condivisione, rendevano molto concreto e palese il rischio che si potesse avere una incontrollabile diffusione sulla rete.

In relazione al caso in questione, la Cassazione ha ritenuto presenti i presupposti che potessero fare configurare il dolo eventuale.

La sussistenza di un comportamento illecito, vale a dire il possesso di materiale pedopornografico.

L’esperienza informatica dell’imputato, che di professione faceva il grafico.

La durata nel tempo del comportamento illecito e l’elevato numero di file pedopornografici posseduti, almeno 194 video con minori.

La possibilità elevata della diffusione.

Il comportamento dell’imputato che aveva utilizzato accorgimenti per rendere più difficoltosa l’individuazione dell’attività illecita, in particolare, utilizzando il computer del luogo di lavoro.

La Cassazione in quella sede ha enunciato:

in tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entità numerica del materiale, e dalla condotta, già illecita ex art. 600 quater c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficoltà di individuazione dell’attività”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

La sentenza in questione è la Sentenza 26 marzo 2018, n. 14001.

Perché il reato di produzione di materiale pedopornografico si possa configurare non è più necessaria la diffusione dello stesso.

Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, andando a cambiare un orientamento in vigore dal 2000.

Una svolta che senz’altro rende più semplice la repressione di questa attività, punita con il  carcere sino a 12 anni e sino a duecento quaranta mila euro di multa.
L’udienza tenuta il 31 maggio 2018 è stato un motivo di rottura rispetto al passato.

Punibile, di conseguenza, anche la detenzione del materiale incriminato, reato in passato sanzionato in modo più lieve con la detenzione sino a tre anni e con multa non inferiore ai 1.549 euro (i quali possono aumentare quando la quantità detenuta è considerevole).
Il motivo che ha portato le Sezioni Unite a una simile decisione è stato l’errore di fondo sul quale si basava la precedente norma, la quale presupponeva che lo sfruttamento o l’utilizzazione del minore presupponessero sempre un utilizzo esterno del materiale.

Niente di più sbagliato, anche la relazione privata, in assenza di contatto fisico (art. 600 ter c.p.), tra adulto e minore deve essere considerata “degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano e armonioso”.

Senza contare che la linea seguita sino al pronunciamento della Corte, non rispettava quanto ratificato dall’Italia con la convenzione di New York del 1991.

Nell’ambito delle ipotesi delittuose di pornografia minorile vanno distinti comportamenti di diversa gravità che diventa progressivamente maggiore, in relazione alla crescente diffusione di materiale simile anche se a singoli soggetti, la divulgazione a una pluralità indefinita di soggetti, e la produzione e commercializzazione.

Lo ha precisato sempre la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 15 gennaio 2019, n. 1647.

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito a una scabrosa vicenda di sottrazione consensuale di minorenne, violenza sessuale e pornografia minorile, soffermandosi in particolare sulle molte sfaccettature dei comportamenti sanzionati dagli articoli 600 ter, commi 3 e 4, e 600 quater del codice penale.

La Suprema Corte ha respinto i vari ricorsi ritenendoli infondati.

I giudici di legittimità hanno evidenziato in che modo la sentenza impugnata non presenti in nessun punto la illogicità o carenza di motivazione lamentata dai ricorrenti, nella parte nella quale la Corte  considera gli elementi dei quali agli articoli 600 ter e 600 quater del codice penale.

Il comportamento alle origini contestato a uno degli imputati era di avere inviato sul “profilo” facebook di un suo amico un video e delle foto di contenuto pornografico relative agli atti sessuali compiuti con la persona offesa minorenne, inquadratonell’ipotesi descritta e punita dall’articolo 600 ter comma 3 del codice penale.

In seguito, era emerso come non fosse stata eseguita nessuna verifica rivolta a determinare la concreta diffusione del materiale pedopornografico, non potendo escludere che il canale attraverso il quale lo stesso era stato trasmesso all’amico dell’imputato fosse un canale “riservato” e non accessibile a terzi, vale a dire non la pubblicazione sul profilo ma l’invio di un messaggio privato.

Sulla base della precisazione, il Tribunale aveva inquadrato la condotta delittuosa nel reato del quale all’articolo 600 ter comma 4 del codice penale.

La valutazione del giudice di merito viene ritenuta priva di censure logiche e condivisa dalla Corte di Cassazione in relazione alla consolidata giurisprudenza di legittimità.

 

Viene evidenziato come in più occasioni la Suprema Corte si sia soffermata a vagliare le diverse ipotesi delittuose con le quali gli articoli 600 ter e 600 quater del codice penale descrivano i comportamenti illeciti di pornografia minorile.

 

Dott.ssa Concas Alessandra

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento