I reati a pericolosità astratta nel TU 309/90

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Prima dell’ essiccazione e/o della raffinazione e/o della trasformazione, una pianta di stupefacente costituisce un pericolo per la salute collettiva, nel solco del comma 1 Art. 32 Cost. ?

In maniera equilibrata e non senza una sana ratio proibizionistica, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 asserisce che è penalmente sanzionabile “ chiunque, senza l’ autorizzazione di cui all’ Art. 17 TU 309/90, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina [ … ] fuori dalle ipotesi previste dall’ Art. 75 TU 309/90, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’ Art. 14 TU 309/90 “. Più dettagliatamente, il comma 1 Art. 73 TU 309/90, dopo la novellazione introdotta dalla L. 49/2006, è stato attenuato dall’ Art. 75 TU 309/90, che ha depenalizzato l’ uso esclusivamente personale, nei confronti del quale è stato allestito un più lieve apparato sanzionatorio di rango meramente amministrativo anziché giurisdizionale. Per la verità, l’ ermeneutica afferente agli Artt. 73 e 75 TU 309/90 risulta tutt’ altro che pacifica, soprattutto quando il criterio quantitativo- ponderale dev’ essere sostituito da quello qualitativo-chimico, nel senso che, come precisato da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605, “ anche se risulta irrilevante la destinazione o meno all’ uso personale, tuttavia è indispensabile la verifica, da parte del giudice [ del merito ], sull’ offensività in concreto della condotta, riferita all’ idoneità [ chimica ] della sostanze ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. [ … ] [ Quindi ] il giudice è chiamato ad accertare la reale idoneità della sostanza ricavata dalla pianta a produrre effetti psicotropi “. D’ altronde, Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 interpreta il comma 1 Art. 32 Cost. combinando , come normale, il profilo quantitativo e quello qualitativo, in tanto in quanto l’ esiguità quantitativa può, ciononostante, nascondere un livello di principio attivo molto puro e, per conseguenza, potenzialmente molto pericoloso per la salute degli assuntori. In effetti, nell’ ultima ventina d’ anni, tanto prima quanto dopo l’ intervento della L. 49/2006, nella Giurisprudenza della Corte Suprema si sono riscontrate almeno due tendenze interpretative generali. Ovverosia, secondo un primo orientamento, decisamente e intransigente e proibizionista, la coltivazione domestica per l’ uso personale dev’ essere sempre e comunque sanzionabile, nel solco di un’ esegesi tradizionalistica, severa e rigorosa del comma 1 Art. 73 TU 309/90. Viceversa, in modo più abolizionistico, specialmente, nel 2006, con la riforma dell’ Art. 75 TU 309/90, un secondo orientamento giurisprudenziale di legittimità reputa lecita o non lecita la coltivazione personale non a seconda del dato quantitativo, bensì di quello qualitativo, giacché rimane intatta la suprema e prioritaria basilarità della tutela sanitaria collettiva contemplata nel predetto comma 1 Art. 32 Cost.

Molto interessante, sempre con attinenza al concetto di “ coltivazione “ nel comma 1 Art. 73 TU 309/90, è pure la Sentenza della Corte Costituzionale n. 360/1995, a parere della quale “ la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti [ come p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta “. Come si vede, giustamente, Consulta n. 360/1995 richiama all’ inevitabile prevalenza del criterio qualitativo su quello quantitativo, come massimamente dimostrato, sotto il profilo chimico-botanico, dalla canapa ad uso alternativo, priva di un sufficiente tenore drogante di THC o di CBD. Oppure ancora, si pensi all’ assai variabile grado di purezza della cocaina. Altrettanto paradigmatica è pure la fattispecie dei funghi allucinogeni o dell’ efedrina maldestramente sintetizzata. Tale indispensabilità del tenore drogante effettivo è rimarcata pure da Consulta n. 263/2000, n. 519/2000, n. 354/2002 e, in modo lodevolmente limpido, da Consulta n. 265/2005, secondo cui “ il principio di offensività – in forza del quale non è concepibile un reato senza offesa (nullum crimen sine injuria ) – opera su due piani. Da un lato, la previsione normativa, sotto forma di precetto legislativo [ … ] di dar luogo a fattispecie che esprimono, in astratto, un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo di un bene o di un interesse oggetto della tutela penale ( offensività in astratto ). Dall’ altro lato, l’ applicazione giurisprudenziale ( offensività in concreto ), quale criterio interpretativo ed applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’ interesse tutelati “. A parere di chi redige, Corte Costituzionale n. 265/2005 richiama, perlomeno in forma implicita, la nozione di pericolosità astratta, quindi di pericolosità non illegale, di cui al comma 2 Art. 49 CP, in tanto in quanto “ la punibilità è esclusa quando, per l’ inidoneità dell’ azione o per l’ inesistenza dell’ oggetto di essa, è impossibile l’ evento dannoso o pericoloso “. Ciò vale, dunque, anche nella fattispecie di un tenore drogante nullo o lieve dello stupefacente coltivato e/o raffinato ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. Analogamente, sempre alla luce del comma 2 Art. 49 CP,  Consulta n. 519/2000 specifica che “ spetta al giudice [ di merito ] verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’ agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto [ dal comma 1 Art. 32 Cost. ] risultando in concreto inoffensiva [ … ] Quindi la condotta è inoffensiva se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo [ … ] sicché, con riferimento allo specifico caso della coltivazione di piante [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] l’ offensività non ricorre se la sostanza ricavabile non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile “. Forse è opportuno specificare che gli asserti di Corte Costituzionale n. 519/2000 risultano applicabili senz’ altro alla canapa, ma pure a qualunque altro stupefacente di origine vegetale raffinato, tagliato, trasformato o sintetizzato maldestramente, ossia in maniera da rendere non idoneo il principio attivo ricercato ed acquistato dall’ assuntore.

Il punto di vista della Corte Suprema nelle Sentenze di legittimità successive al 2008

A prescindere dai parametri valutativi contenuti, di volta in volta, nelle singole e specifiche Sentenze di legittimità degli Anni Duemila consta che la Corte di Cassazione ha da sempre invitato il giudice del merito a contestualizzare e fattualizzare le proprie decisioni, in tanto in quanto ciascuna singola fattispecie costituisce, sempre ed ognimmodo, un fatto delittuoso che va calato all’ interno di un contesto oggettivo e personale unico e difficilmente ripetibile. Del resto, sarebbe un insulto anti- costituzionale il concepire il Magistrato del merito alla stregua di un calcolatore automatico che de-contestualizza e che contravviene alla ratio personalistica e specificante espressa nel comma 3 Art. 27 Cost. . Tale esigenza di concretizzazione personologica è mirabilmente sintetizzata da Cass., sez. pen. VI, 1 aprile 2009, n. 17266, la quale afferma, alla luce del comma 2 Art. 49 CP, che “ spetta poi al giudice escludere o meno la potenziale messa in pericolo dei beni tutelati [ dal comma 1 Art. 73 TU 309/90, nel solco del comma 1 Art. 32 Cost. ], poiché compete al giudice verificare, di volta in volta, se la condotta contestata risulti, in concreto, inoffensiva, tale dovendosi ritenere solo quella che non leda o metta in pericolo, anche in minimo grado, il bene tutelato “. A tal proposito, la mente corre alla fattispecie paradigmatica, benché controversa, della valutazione giurisprudenziale della canapa light, che, almeno sotto il profilo medico-forense, non lede il comma 1 Art. 32 Cost. in tema di tutela della salute personale del tossicomane, anche se rimane indubitabile il pericolo criminogeno dell’ uncinamento compulsivo e del passaggio graduale all’ assunzione abitudinaria di droghe pesanti. Tutto ciò premesso, la problematica della fattualizzazione concreta, sempre secondo Cass., sez. pen. VI, 1 aprile 2009, n. 17266, consiste, in buona sostanza, “ nell’ enucleare [ specialmente per la cannabis ] degli indicatori dimostrativi della concreta offensività della condotta della coltivazione non autorizzata [ p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] sull’ assunto che rilevi la potenziale idoneità della coltivazione della produzione di piante di natura stupefacente a produrre in futuro sostanze illecite “. A tal proposito, perlomeno con efferenza alla marjuana ed all’ haschisch, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 ha stabilito che “ sono indicatori dimostrativi della concreta offensività della condotta della coltivazione non autorizzata [p. e p. dal comma 1 Art. 73 TU 309/90]:

  1. il quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante in relazione al loro grado di maturazione
  2. l’ estensione e la struttura organizzata della piantagione, dalla quale possa derivare una produzione di sostanze potenzialmente idonea ad incrementare il mercato delle tossicodipendenze “.

Dunque, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 reputa che è sempre e comunque penalmente rilevante e perseguibile la coltivazione professionale di tipo indoor, con semi di buona qualità e con impianti sofisticati di innaffiamento e di riscaldamento non dilettantistico della serra. Come si può notare, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 rimarca, giustamente, la prevalenza del criterio qualitativo su quello quantitativo. D’ altronde, è il principio attivo a fare la differenza, come nel caso della coltivazione legale di canapa per uso tessile e non ludico-ricreativo.

Assai illuminante risulta pure Cass., sez. pen. VI, 16 marzo 2013, n. 22459, la quale ha introdotto, anche per i semi, il nuovo parametro botanico-giuridico, nel senso che “ ai fini della punibilità della coltivazione [ p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] è irrilevante la quantità di principio attivo ricavabile [ … ] ed è, invece, rilevante la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità della coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente “. Senz’ altro, la summenzionata Sentenza di Cassazione 22459/2013 è fedele ad un proibizionismo rigoroso non del tutto inutile, giacché tale Precedente semplifica di molto le attività d’ indagine della PG, consentendo, in tal modo, di uscire da certuni gineprai ermeneutici connessi al falso e fuorviante mito della canapa light. Anzi, Cass., sez. pen. IV, 8 ottobre 2008, n. 44287 risulta ancor più intransigente in tema di atti preparatori, “ poiché la coltivazione ha inizio con la posa dei semi e, quindi, si deve valutare anche l’ idoneità potenziale della semente a produrre una germinazione con effetti stupefacenti “. Del pari, non è applicabile il comma 2 Art. 49 CP “ se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all’ esito del loro fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare, [ p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ], è un’ attività che si riferisce all’ intero ciclo evolutivo dell’ organismo biologico “ ( Cass., sez. pen. IV, 8 ottobre 2008, n. 44287 ). Il paradigma del “ tipo botanico “ è utilizzato anche da Cass., sez. pen. IV,  27 ottobre 2015, n. 44136, Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2015, n. 49476 e da Cass., sez. pen. VI, 8 settembre 2015, n. 3037. In tali Precedenti, è unanimemente reputato come “ non realistico [ … ] ed irrazionale “ dover attendere l’ essiccazione ai fini dell’ applicabilità, o meno, del comma 1 Art. 73 TU 309/90. Pertanto, nel Diritto Penale, i criteri materiali prevalgono sulle elucubrazioni formalistiche, eccessive ed illimitatamente garantistiche.

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La prevalenza del criterio sostanziale su quello formale. Perché nel TU 309/90 non vanno tollerati delitti astrattamente pericolosi ex comma 2 Art. 49 CP ?

Nel comma 1 Art. 73 TU 309/90 e, più latamente, nell’ intera Prassi giurisprudenziale penalistica, non v’ è spazio precettivo per illeciti la cui punibilità “ è esclusa quando, per la inidoneità dell’ azione o per la inesistenza dell’ oggetto di essa, è impossibile l’ evento dannoso o pericoloso “ ( comma 2 Art. 49 CP ). Il Diritto Penale, anche nel caso del TU 309/90, è guidato da una ratio generale di concretezza e di materialità che si differenzia dagli intricati formalismi consentiti, invece, nel Diritto Processuale Civile. Dunque, pure il comma 1 Art. 73 TU 309/90 è o, viceversa, non è precettivo a seconda della più o meno marcata lesività oggettiva della coltivazione di piante ad effetto stupefacente. P.e., a tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674, in tema di coltivazione domestica per uso personale, afferma che “la motivazione dell’ inoffensività dev’ essere incentrata sull’ esiguità del principio attivo e/o sulla modalità palesemente minima di coltivazione [ … ] in quanto una condotta inoffensiva ex Art. 49 CP non può integrare il reato di cui all’ Art. 73 Dpr 309 del 1990 “. Quindi, anche in Cassazione 25674/2011, la sostanzialità materiale prevale sulla formalità astratta, come normale in un contesto giuridico estremamente delicato giacché connesso alla tematica democratico-garantistica dell’ inviolabilità della libertà personale ex Art. 13 Cost. . Parimenti, Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 parla di “ inoffensività in concreto della condotta [ quando ] la minima entità del principio attivo rende sostanzialmente irrilevante l’ aumento della disponibilità della droga e non prospetta alcun pericolo di ulteriore diffusione della sostanza [ alla luce del comma 1 Art. 32 Cost. ]. [Non è punibile nemmeno ] una produzione che, pur raggiungendo la soglia drogante, è assolutamente minima “. Anzi, la predetta Sentenza contenuta in Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 distingue tra il reato impossibile ex comma 2 Art. 49 CP e la esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex Art. 131 bis CP, ovverosia “ l’ Art. 131 bis CP ed il principio di inoffensività in concreto operano [ anche nel TU 309/90 ] su due piani distinti, presupponendo l’ Art. 131 bis CP un reato perfezionato in tutti i suoi elementi, compresa l’ offensività, benché di consistenza talmente minima da ritenersi irrilevante ai fini della punibilità, ed attenendo, invece, l’ Art. 49 CP al caso in cui l’ offesa manchi del tutto, escludendo la tipicità normativa e la stessa sussistenza del reato “. In buona sostanza, l’ Art. 131 bis CP afferisce ad un reato consumato ancorché lievemente pericoloso, mentre il comma 2 Art. 49 CP si riferisce ad un fatto non delittuoso e non pericoloso nei confronti di un bene od un interesse giuridicamente protetto. Tale distinzione tecnico-ontologica, applicata nel TU 309/90, tra l’ Art. 131 bis CP ed il comma 2 Art. 49 CP è stata oggetto di trattazione anche in Cass., sez. pen. III, 7 luglio 2015, n. 38364 nonché in Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13681. Similmente, Cass., sez. pen. IV, 19 gennaio 2016, n. 3787 afferma che “ va esclusa l’ offensività in concreto [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] quando la condotta sia così trascurabile [ ex Art. 131 bis CP ] da rendere sostanzialmente irrilevante l’ aumento della disponibilità collettiva della droga [ … ] né, tantomeno, si può prospettare alcun pericolo di ulteriore diffusione della sostanza “. Sul tema della comparazione tra Art. 131 bis CP e comma 2 Art. 49 CP si vedano pure Cass., sez. pen. VI, 8 aprile 2014, n. 33835 nonché Cass., sez. pen. VI, 2 maggio 2013, n. 22110.

In Dottrina e nella Giurisprudenza di legittimità, taluni interpreti hanno tentato di qualificare come astrattamente pericolosa, ex comma 2 Art. 49 CP, la coltivazione domestica, ma Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2013, n. 51497 asserisce, con tenore decisamente e tradizionalisticamente proibizionista, che “ la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a norma degli Artt. 26 e 28 TU 309/90, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraraia e coltivazione domestica, posto che l’ attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva delle droghe “. Probabilmente, in Cassazione 51497/2013, i lemmi “ potenzialmente diffusiva della droga “ sottendono una tutela forte e vigorosa del bene della salute collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost. . Anche Cass., sez. pen. VI, 10 febbraio 2016, n. 10169 sussume a pieno titolo la coltivazione domestica entro il campo precettivo del comma 1 Art. 73 TU 309/90, in tanto in quanto “ l’ offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali dai quali è estraibile una sostanza stupefacente “. A parere di chi scrive, Cassazione 10169/2016 aiuta l’ opinione pubblica a non reputare come normale o innocua la cannabis, nonostanti le perniciose e recenti tendenze pseudo-progressiste e legalizzatrici.

L’ inganno sottile della pianta non ancora matura, quindi priva, nell’ immediatezza del sequestro, di un potere drogante

Ultra-garantisticamente, in tema di canapa, Cass., sez. pen. VI, 21 ottobre 2015, n. 2618 reputa come astrattamente pericolose, dunque non vietabili, le piante non ancora mature, giacché “esiste il pericolo di un’ applicazione eccessivamente anticipata della tutela penale, che operi di fatto una totale svalutazione dell’ elemento costituito dalla necessaria offensività in concreto della condotta, ovvero della capacità della pianta di ledere effettivamente i beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice [ … ] necessita una verifica concreta del giudice sull’ effettiva messa in pericolo dei beni oggetto di tutela, sottraendoli così all’ alveo dei reati di mera disubbidienza “. In maniera assai simile, la maturazione completa del vegetale è richiesta pure da Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058, poiché “ è insufficiente l’ accertamento della conformità al tipo botanico vietato [ dal TU 309/90 ], dovendosi invece accertare l’ offensività in concreto della condotta, intesa come effettiva ed attuale capacità della sostanza ricavabile o ricavata a produrre un effetto drogante [ … ] e bisogna apprezzare il concreto pericolo di un aumento di disponibilità dello stupefacente e di un’ ulteriore diffusione dello stesso “. Tale ipocrisia della “ non-maturazione “ e della conseguente applicazione del comma 2 Art. 49 CP è ripresa in Cass., sez. pen. VI, 10 dicembre 2012, n. 12612 nonché in Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222, la quale esclude “ la punibilità nel caso di piante che non hanno ancora completato il ciclo di maturazione né prodotto una sostanza idonea a costituire l’ oggetto del concreto accertamento della presenza del principio attivo della sostanza stupefacente “. Pleonastico è osservare che tali consimili Precedenti aprono la strada, sottilmente e silenziosamente, all’ anti-proibizionismo ed alle tragedie socio-sanitarie connesse alla legalizzazione della canapa. Si distingue, entro tale desolante panorama giurisprudenziale, soltanto Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120, a parere della quale rimane sacra la non perseguibilità ex comma 2 Art. 49 CP, ma è pur vero che “tale assoluta inidoneità della condotta non può dipendere da circostanze occasionali e contingenti [ … ] quali la mancata produzione della sostanza stupefacente a causa della non-maturazione della piantagione, magari per l’ intervento tempestivo da parte della polizia giudiziaria “. Infine,  Cass., sez. pen. VI; 19 giugno 2013, n. 41607 definisce, purtroppo, come “atti preparatori non punibili “ l’ acquisto e la detenzione di semi di cannabis. Dunque, ancora una volta, il comma 2 Art. 49 CP è stato ipostatizzato nel nome di un Garantismo strumentalmente falso ed illogicamente formalista.

Il comma 2 Art. 49 CP e il criterio tossicologico-forense dell’ idoneità del principio attivo drogante

Esiste pure un orientamento giurisprudenziale di legittimità che connette il comma 2 Art. 49 CP all’ inefficacia psico-fisica drogante dello stupefacente illegalmente coltivato come p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. P.e., Cass., sez. pen. VI, 12 novembre 2001, n. 564 sostiene che “ la valutazione dell’ efficacia psicotropa delle sostanze, demandata al giudice di merito nell’ ambito della verifica dell’ offensività specifica della condotta accertata, è la sola che consente la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, e va compiuta prendendo in considerazione il quantitativo complessivo di sostanze detenute a fini di spaccio o cedute, senza arbitrarie parcellizzazioni legate ai singoli episodi di vendita “. Quindi, Cassazione 564/2001 ammette l’ applicabilità del comma 2 Art. 49 CP, ma entro una prospettiva in cui il dato ponderale grezzo è meno importante rispetto alla qualità drogante effettiva del principio attivo chimicamente misurabile. Pertanto, di nuovo, Cassazione 564/2001 non astrae, bensì fattualizza, come normale all’ interno della Giuspenalistica e, quindi, pure nel comma 1 Art. 73 TU 309/90. Anche Cass., sez. pen. VI, 13 dicembre 2011, n. 6928 ribadisce che “ ai fini della configurabilità del reato di cui all’ Art. 73 TU 309/90, è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio o, comunque, oggetto di cessione, sia di entità tale da poter produrre in concreto un effetto drogante “. D’ altronde, il criterio tossicologico-forense è accolto anche in Corte Costituzionale n. 360/1995, in tanto in quanto “ l’ Art. 73 TU 309/90 è un tipico esempio di reato di pericolo [ per la salute collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost. ]. Ne consegue che, per i reati in materia di stupefacenti, che pongono in pericolo – in forme più o meno incisive – la salute degli assuntori, è essenziale la dimostrazione dell’ efficacia drogante della sostanza .Sicché, nel caso i cui l’ offensività in concreto accertata dal giudice si riveli inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, perché l’ indispensabile connotazione dell’ offensività in generale implica, di riflesso, la necessità che, anche in concreto, l’ offensività sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’ agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile [ ex comma 2 Art. 49 CP ] “. Analogamente, abbondano, negli Anni Duemila, i Precedenti della Corte Suprema che utilizzano le seguenti espressioni : “ il quantitativo di principio attivo non è drogante [ … ] la dose di principio attivo è talmente minima da non poter modificare l’ assetto neuro-psichico dell’ utilizzatore [ … ] manca nella sostanza il superamento della soglia drogante del principio attivo [ … ] l’ azione non è idonea [ … ] non sono messe in pericolo la salute pubblica [ … ] l’ ordine pubblico [ … ] la salvaguardia delle giovani generazioni “ ( Cass., sez. pen. IV, 27 ottobre 2015, n. 4324, Cass., sez. pen. III, 9 ottobre 2014, n. 47670, Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 ). Il criterio tossicologico-forense è ripreso anche da Cass., SS.UU., 24 giugno 1998, n. 9973, in cui il comma 1 Art. 73 TU 309/90 è definito come precettivo solo se la pianta coltivata “ ha un’ azione narcotico-analgesica, eccitante sul sistema nervoso centrale [ … ] e determina una dipendenza fisica o psichica, nonché allucinazioni o distorsioni sensoriali “

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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