I problemi del credito su pegno nella recente giurisprudenza di cassazione

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Negli ultimi due anni si è manifestato l’interesse della Suprema Corte per i temi legati al credito su pegno e alle sue patologie. Si può pensare che, almeno nelle decisioni più recenti, abbia voluto prendere spunto da casi, come ovvio, risalenti per intervenire autorevolmente in un ambito che la crisi sociale e economica succeduta alla crisi sanitaria sta rendendo di grande attualità.

      Indice

  1. Il legame tra pegno e credito
  2. Il pegno omnibus
  3. La prassi bancaria
  4. Obbligo di restituzione e ritenzione
  5. I beni coinvolti in un procedimento penale
  6. Beni impegnati e antimafia
  7. L’acquisto in buona fede
  8. La buona fede dell’istituto di credito su pegno
  9. Le patologie delle vendite all’asta
  10. L’esecuzione privata
  11. Carattere privatistico e esigenza di pubblicità
  12. L’ordinamento dei Monti dei pegni
  13. La valorizzazione del credito su pegno
  14. La (ri) proposta dell’esecuzione privata
  15. Valorizzazione si ma fino a che punto?

1. Il legame tra pegno e credito

La Suprema Corte  si manifesta determinata a ribadire il principio per cui il bene dato in pegno è legato in modo indissolubile al credito che garantisce, di modo che il creditore ha diritto a escuterlo solo in relazione a quel credito per cui è stato offerto e a nessun altro rapporto analogo che veda coinvolti i medesimi soggetti.

Nel caso preso in considerazione dalla Sez. III Civ. con l’ordinanza 15 gennaio 2020 nr. 533, il ricorrente aveva concesso in pegno all’istituto di credito una somma di denaro, depositata sul conto corrente a lui intestato e acceso presso tale istituto, in garanzia dell’apertura di una linea di credito (si tenga presente, per inciso, che il pegno in quanto garanzia può costituirsi prima dell’obbligazione da garantire) e nell’attesa che venissero svincolate alcune fideiussioni, poi debitamente scaricate. In seguito l’istituto bancario, avendo nel frattempo aperto una ulteriore linea di credito, ha, di propria iniziativa, traslato il pegno a garanzia di tale nuovo finanziamento per poi provare a escuterlo, a fronte delle relative inadempienze del debitore, chiedendo e ottenendo un decreto ingiuntivo.

Il ricorrente ha opposto al decreto, per l’appunto, l’illegittima escussione di credito ma il Tribunale ha rigettato e la Corte di Appello non ha ritenuto di rivedere tale decisione.

È stato invece accolto il ricorso per cassazione. Degno di nota come la Suprema Corte abbia voluto segnare una distanza in particolare da una corte di seconda istanza tanto rilevante nel fare giurisprudenza quale quella del capoluogo lombardo.

2. Il pegno omnibus

La Corte di Cassazione, nella suddetta ordinanza, fa notare che l’istituto di credito si è comportato come se il pegno in parola fosse una garanzia atipica assimilabile a un pegno omnibus, il che peraltro non è ammissibile; la possibilità di considerare che un bene sia offerto in pegno omnibus, ossia relativamente a tutti i rapporti di credito tra due soggetti, risulta infatti esclusa espressamente dall’art. 2787 c. 3 C. C., ove si afferma che il bene offerto in pegno è sempre relativo a un solo e unico credito che va esplicitato nella scrittura.

Su tale dispositivo si fonda una sentenza non troppo risalente e ancora richiamata nella autorevolezza che ha saputo conquistarsi, allorché afferma come, onde il pegno possa considerarsi validamente costituito, debba essere indicato quale credito sia destinato a garantire (Tribunale di Torino, 21 novembre 1994).

L’ordinanza evidenzia e ribadisce così il principio per cui un pegno deve essere necessariamente correlato a un credito, opinione comune in dottrina; il nesso necessario tra il pegno e il credito, di modo che se si estingue il credito (per qualsiasi causa) allora si estingue il pegno.

3. La prassi bancaria

In effetti nella prassi bancaria degli ultimi decenni si ha avuto modo di assistere frequentemente alla costituzione di beni mobili in pegno per crediti futuri e al momento non determinati e, correlativamente, a una prelazione del bene, già offerto in pegno per un credito in essere, quale garanzia di crediti ulteriori e diversi.

A ogni modo questa prassi è stata realizzata sempre e solo mediante una clausola ad hoc inserita nella scrittura relativa. In tali casi l’istituto di credito ha ritenuto di potersi soddisfare sul bene in relazione a crediti diversi e ulteriori rispetto a quelli per cui era stato originariamente offerto in pegno. Non sono mancati i tentativi di sistematizzare in dottrina questa prassi (cfr. G. E.  Colombo, Pegno bancario: le clausole di estensione, “Banca borsa e titoli di credito”, 1982, 193-211).

Nel caso di specie il problema non si pone dal momento che alle scritture costitutive del credito e del pegno relativo in oggetto mancava qualsiasi clausola di questo tenore. Si può ritenere che a ogni modo, qualora tale clausola fosse stata presente, la Suprema Corte avrebbe ribadito anche in questo caso quanto affermato in arresti più risalenti; ossia la nullità del contratto di credito su pegno che contempli l’indeterminatezza del prestito garantito (Cass., Sez. I Civ., sent. 27 agosto 1996, nr. 7859).

4. Obbligo di restituzione e ritenzione

Il legame necessario tra pegno e credito era stato affermato lapidariamente in una massima di quasi mezzo secolo fa (Cass., Sez. III Civ., 30 gennaio 1976, nr. 307): “L’obbligo della restituzione del pegno (regolare od irregolare) sorge per il soggetto ricevente, con l’estinzione dell’obbligazione garantita dal pegno stesso”. L’obbligo di restituzione discende cioè necessariamente da tale legame come viene sotteso da tutta l’ordinanza in oggetto.

Colpisce che, a quanto risulta, né i giudici di prime né quelli di seconde cure abbiano considerato opportuno (nel loro impegno a avvalorare l’operato dell’istituto di credito) fare riferimento, oltre o anziché al contestatissimo istituto del pegno omnibus, escluso del resto già nel dispositivo codicistico, al diritto di ritenzione.

Lo stesso Codice Civile (art. 2794 c. 2) prevede, quale unico caso in cui il pagamento del credito garantito da pegno non estingue il diritto di ritenzione, la fattispecie per cui, in seguito alla costituzione del pegno, sia sorto un altro rapporto di credito; in tale frangente il creditore è infatti legittimato a ritenere il pegno a garanzia del nuovo credito. È chiaro l’intento del disposto, volto non solo a tutelare il creditore ma addirittura a invogliarlo a concedere nuovi crediti dal momento che può contare sul possesso dell’oggetto impegnato.

Certo sulla scorta delle strategie argomentative dispiegate dalle sentenze di primo grado e di appello, nemmeno i giudici di cassazione hanno ritenuto opportuno operare nemmeno un accenno al diritto di ritenzione.

5. I beni coinvolti in un procedimento penale

La Suprema Corte interviene a affermare i diritti dell’istituto di credito nei confronti dei beni offerti in pegno che siano quindi stati coinvolti in un procedimento penale.

La Sez V pen., con la sentenza 15 marzo 2021 nr. 25293, ha considerato il caso di Tizio che dopo avere sottratto alcuni beni preziosi a Caio (come successivamente acclarato nel corso di un procedimento penale) li ha offerti in pegno a un istituto di credito.

Sempre nel corso di tale procedimento penale, il Pubblico Ministero aveva disposto con provvedimento il dissequestro di tali beni e la loro restituzione a Caio.

L’istituto di credito ha fatto oppposizione al provvedimento e il Tribunale la ha accolta, disponendo la restituzione all’istituto e autorizzandolo a vendere i beni oggetto di pegno ex art. 13, I. 745/1938; ha disposto inoltre la restituzione all’istituto di credito anche delle polizze per cui il pegno era stato offerto.

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione del ricorso, presentato da Tizio sempre in merito a confische avvenute nel contesto del procedimento penale e giudicato originariamente inammissibile, per corroborare la decisione impugnata del Tribunale: “avendo avuto a oggetto, la disposta restituzione, i beni posti a garanzia del pegno, essa non poteva non riguardare anche le polizze in cui era consacrato il debito garantito”. Appare evidente l’intento di garantire nel modo più ampio i diritti dell’istituto di credito su pegno dare sicurezza al credito su pegno.


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6. Beni impegnati e antimafia

Nel contesto di un processo di mafia, a alcuni soggetti sono stati sequestrati, tra gli altri beni, anche quelli che erano stati offerti in pegno a un istituto di credito che pertanto avanza al Giudice per le indagini preliminari domanda di tutela della propria posizione creditoria; tale ufficio ritiene però di rigettarla.

L’istituto di credito ricorre allora per cassazione e il ricorso viene accolto (Sez. I pen., sentenza 1 aprile 2022 nr. 16341) richiamando come la questione relativa alla applicabilità delle disposizioni in tema di tutela del credito contenute nel c.d. Codice antimafia (d.lgs. n.159/2011) ai creditori incisi da confisca estesa penale fosse stata più volte risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso opposto a quello affermato dal GIP in relazione al caso di specie.

Anche in questo caso, per quanto l’arresto non entri nel tema specifico del credito su pegno, appare evidente l’intento di tutelare le ragioni dell’istituto di credito.

7. L’acquisto in buona fede

Nei casi sopra menzionati, i giudici di cassazione operano un evidente riferimento all’istituto dell’acquisto in buona fede da parte di terzi della cosa offerta in pegno (art. 1153 c. 1 C. C.); per cui il possesso in buona fede della cosa oggetto del pegno determina l’acquisto del diritto relativo (art. 1153 c. 3 C. C.).

Come osservato a suo tempo con argomentazione efficace da C. Maiorca, Il pegno di cosa futura e il pegno di cosa altrui, Milano 1938, p. 389: l’effetto reale, ossia la funzione di garanzia svolta dalla cosa offerta in pegno e il relativo diritto reale di garanzia, vengono posti in essere dalla consegna materiale della cosa se chi la riceve è in buona fede, senza riguardo a chi ne sia il proprietario.

Tale opinione autorevole però si infrange sulla considerazione di senso comune per cui, anche ammesso che l’effetto reale ossia il legittimo possesso del bene offerto in pegno sia in capo a chi lo ha ricevuto in buona fede, ciononostante quest’ultimo non potrebbe lecitamente compiere alcun atto dispositivo, che risulterebbe abusivo: se, ad es., per soddisfare il proprio credito vendesse il bene impegnato, ciò si configurerebbe quale espropriazione di cosa altrui. Il possesso risulterebbe così sterile è inutile, perché inagibile.

8. La buona fede dell’istituto di credito su pegno

Più praticabile risulta allora l’idea di fondo consolidata in dottrina per cui il diritto di pegno si mantiene costante indipendentemente dalle vicende del bene.

Tale persuasione si appoggia sulla normativa in materia di credito su pegno (l. 745/1938 art. 11, R. D. 1279/1939 art. 47) ove si afferma in modo incontrovertibile che il pegno è validamente costituito anche se ha come oggetto beni rubati o smarriti. Il disposto di detti articoli vieta all’autorità giudiziaria  di  ordinare  la  restituzione delle cose smarrite,  rubate  o provenienti da reato, costituite in pegno presso un Monte, se il proprietario non fornisce la prova di aver rimborsato al  Monte stesso  la somma data in prestito, con gli interessi e gli eventuali diritti accessori.

Come noto, era stata a suo tempo sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Torino una eccezione di costituzionalità in merito a tali norme e la Corte Costituzionale aveva risposto (sent. 31 luglio 2000, nr. 408) dichiarandola infondata ma comunque precisando che l’opponibilità del diritto di pegno richiede l’assenza di colpa o dolo da parte dell’istituto di credito nel valutare la legittimazione di chi richiede il credito su pegno; rifacendosi sempre al R. D. in materia, allorché all’art. 38 evidenzia la discrezionalità del Monte nell’accettare o meno un bene in pegno a garanzia di un credito nel caso vi siano fondati sospetti sulla sua provenienza.

L’arresto della Suprema Corte si pone esplicitamente in linea con l’esito e le motivazioni di tale giudizio di costituzionalità.

9. Le patologie della vendita all’asta

Il diritto del creditore di avvalersi del bene offerto in pegno per soddisfare le proprie ragioni è contenuto ontologicamente nel pegno stesso; modalità frequente in tale senso è che vengano posti all’incanto, con le possibili contestazioni che derivano dalle peculiarità della vendita all’asta.

Una società specializzata nel commercio di preziosi ricorre contro i giudizi di primo e di secondo grado in cui era stata respinta la richiesta di restituzione della somma pagata per essersi aggiudicata in asta dei preziosi che rivelarono avere caratteristiche diverse da quelle pubblicizzate nei lotti d’asta.

Il ricorso viene rigettato e la Corte di Cassazione (Sez. 3a Civ., ordinanza 13 maggio 2020 nr. 8881) coglie lo spunto per tracciare la sistematica dei modi con cui il creditore può rivalersi sui beni offerti in pegno.

10. L’esecuzione privata

L’ordinanza riporta il dato codicistico, art. 2797 C. C., che presenta tre forme diverse con cui il creditore può soddisfare le proprie ragioni: la vendita al pubblico incanto; la vendita a prezzo corrente; «forme diverse» convenute dalle parti.

Nella previsione di questa forma atipica, la Suprema Corte vede, in negativo, il chiaro intento del legislatore a escludere la possibilità di fare ricorso all’esecuzione forzata; in positivo il disegno, implicito ma non ambiguo, di una speciale procedura di ‘esecuzione privata’, una forma di autotutela esecutiva a carattere negoziale non assimilabile a altre forme di esecuzione e in particolare non all’esecuzione forzata.

L’esecuzione privata andrebbe semmai compresa secondo una analogia alla vendita coattiva (art. 1515 C. C.) cui si fa ricorso in caso di inadempimento del compratore.

Andando al di là di quanto considerato dagli ermellini, va rammentato come, a segnare una differenza cruciale rispetto alla vendita coattiva, nel caso di quest’ultima la parte adempiente è responsabile dei danni che subisce il bene se indugia a procedere alla vendita, laddove nella forma di esecuzione divisata in relazione al bene impegnato a garanzia di un credito la parte adempiente può, ovviamente, procedere non appena siano scaduti i termini ma non è tenuta a farlo. Va visto qui un chiaro e comprensibile favore nei confronti del debitore, cui viene così offerta la possibilità di provvedere a disobbligarsi anche oltre i termini originariamente previsti.


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11. Carattere privatistico e esigenza di pubblicità

Seguendo il criterio generale per cui il pegno è una garanzia che richiede l’attività del creditore, la Suprema Corte precisa inoltre che a assumere l’iniziativa e quindi a dispiegare l’agire è il soggetto direttamente interessato che può evidentemente farlo dal momento che ha il controllo dell’oggetto su cui agire. Viene così in primo piano il carattere privatistico di tale forma di esecuzione che non richiede un titolo esecutivo (Cass., Sez. II Civ., 24 novembre 1998, nr. 11893; Cass., Sez. I Civ., 6 marzo 1987, nr. 2372) né il controllo giudiziale.

Tale carattere privatistico si trova del resto già ampiamente affermato da un arresto risalente (Cass. Civ., ss. uu., 15 aprile 1976, nr. 1333) con la massima per cui sono le parti a concordare liberamente i termini per tale esecuzione.

Non mancano però aspetti né di coattività né di pubblicità. L’azione del creditore che costituisce il fulcro di tale procedura di esecuzione, ossia la vendita del bene già offerto in pegno, deve infatti essere preceduta dall’intimazione al debitore a pagare il debito e gli accessori, in cui sia detto apertis verbis che, in mancanza di un tempestivo adempimento di quanto richiesto, il creditore procederà coattivamente alla vendita del bene oggetto del pegno.

Tale vendita, che con ogni verosimiglianza assume quasi necessariamente la modalità dell’incanto, deve venire presentata al pubblico con le forme dovute e più idonee a renderla nota facilitando la partecipazione di quanti potrebbero essere interessati.

La recente ordinanza riprende così quanto affermato in proposito da un precedente arresto che ha toccato il medesimo tema: “la vendita all’incanto deve essere annunziata con le forme di una pubblicità commerciale adeguata alla natura ed al valore delle cose poste in vendita”, senza che di conseguenza possa ritenersi equipollente la notificazione, al solo debitore, a mezzo di ufficiale giudiziario, di un “atto di preavviso di vendita di beni mobili” (Cass., Sez. III Civ., 1 agosto 1987,  nr. 6894).

12. L’ordinamento dei Monti dei pegni

Risulta notevole osservare come la Cassazione valorizzi la norma del Codice addirittura assieme a quella del R. D. 1279/39, attuativo della l. 745/38 che disciplinava i Monti da tempo ormai soppressi, riproponendo appieno nell’attualità il loro disposto, al fine di fare emergere la figura dell’esecuzione privata.

È certo un modo molto acuto per evidenziare, nemmeno troppo implicitamente, come sebbene i Monti appartengano al passato, la normativa a suo tempo dettata per loro non abbia perso di attualità.

Non rileva forse tanto il rinvio formale che il vigente Codice Civile ancora presenta al suddetto decreto, dal momento che anche tale rinvio, formulato quando appunto i Monti erano ancora una presenza significativa, potrebbe venire considerato obsoleto; quanto piuttosto la considerazione, agevolmente fondabile sul disposto dell’art. 48, D. lgs. 385/1993 (c.d. Testo unico bancario) che per l’appunto conferisce rinnovata vigenza al R. D. del 1938 riguardo però non più a una precisa e distinta tipologia di istituti di credito ma a una attività specifica che può essere svolta, a determinate condizioni, da qualsivoglia istituto.

La successiva sentenza (Sez. 3 Civ., sentenza 29 marzo 2022, nr. 10138) ribadisce in sintesi quanto più diffusamente sviluppato nell’ordinanza, in particolare sottolineando il carattere di autotutela dell’esecuzione privata.

13. La valorizzazione del credito su pegno

Sarebbe un errore considerare marginali questi interventi della Corte di Cassazione come pure ritenere incidentali i loro riferimenti al tema specifico del credito su pegno e agli istituti bancari che lo praticano.

Sono al contrario spunti ricchi di interesse, delineano una visione positiva del credito su pegno dettata, come appare evidente, dalla preoccupazione di renderlo sicuro e affidabile.

La Suorema Corte appare intenzionata a creare norme che permettano a chi offre beni in pegno a garanzia dell’apertura di un credito possa sentirsi sicuro. Una componente importante in questa prospettiva è data dalla tranquillità che il creditore, il più delle volte se non nella totalità dei casi un istituto di credito specializzato, è tenuto a considerare il bene impegnato solo in relazione a quel rapporto, a quella particolare apertura di credito in relazione alla quale il bene è stato offerto.

Specularmente deve sentirsi sicuro l’istituto che pratica il credito su pegno, in questi ultimi anni di solito quale core business che sta manifestando contenuti di notevole interesse.

L’istituto che concede crediti su pegno ha diritto, per così dire, a godere della tranquillità derivante dalla consapevolezza per cui offrire un bene in pegno non è e non deve potere essere un modo per lucrare su situazioni e su oggetti che chi offre conosce essere a rischio e prossimi a uscire dalla sua sfera di azione.

14. La (ri) proposta dell’esecuzione privata

Nella direzione di rendere sicura la posizione dell’istituto di credito su pegno va l’intervento forse più consistente della Corte di Cassazione in materia: il disegno della figura dell’esecuzione privata.

Emerge qui la finalità di consentire all’istituto di credito su pegno di soddisfare in modo veloce e efficace le proprie ragioni nei confronti del debitore inadempiente, avvalendosi proprio dei beni che questi ha impegnato, in modo veloce e pertanto efficace.

Il carattere privatistico, se da un lato favorisce l’esercizio delle ragioni del creditore, dall’altro non appare penalizzare il debitore, che a ogni modo si trova a causa della sua inadempienza in una posizione molto debole; non si vede come questo potrebbe avvantaggiarsi se il creditore fosse tenuto a richiedere un titolo esecutivo, se non con un protrarsi dei tempi che comunque, visto che il bene impegnato si colloca al di fuori della sua sfera, non gli reca giovamento.

Allo stesso tempo, non mancano garanzie e favore per il debitore inadempiente. In primo luogo, il debitore può venire coinvolto nell’esecuzione per una sorta di cooperazione col creditore. Non si tratta di un fatto esornativo, al contrario permette al debitore di vigilare in modo che il creditore non si avvantaggi indebitamente della situazione.

Senza che ciò ne infici il carattere privatistico, il debitore può sempre attivarsi per chiedere un controllo giudiziale sulla procedura esecutiva.

15. Valorizzazione si ma fino a che punto?

Che la Suprema Corte conceda una attenzione favorevole al credito sunpegno e alle esigenze dei soggetti coinvolti appare chiaro, senza necessitare di venire enfatizzato troppo.

Sorge però allo stesso tempo l’interrogativo, se in questi recentissimi arresti abbia dimostrato di essere incline a comprendere e valorizza appieno la peculiarità del credito su pegno, così come l’aveva ricostruito Serafino Gatti (Il credito su pegno, Milano 2002) in quanto cioè figura autonoma e distinta da tutte le altre fattispecie creditizie.

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