I presupposti del risarcimento del danno non patrimoniale nell’azione di classe

Carola Carioti 25/06/19
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Introduzione

La sezione terza della Suprema Corte, con sentenza 31.5.2019 n. 14886, ha stabilito che il risarcimento del danno non patrimoniale nell’ambito di un’azione di classe ex art. 140 bis cod. cons., presuppone la lesione di un interesse costituzionalmente tutelato, la gravità del danno e la non futilità del pregiudizio concretamente subito, di cui occorre individuare i tratti condivisi e le caratteristiche comuni a ciascun danneggiato. La valorizzazione di tali elementi, infatti, si rende necessaria ai fini dell’apprezzamento seriale delle pretese avanzate e della rivendicazione risarcitoria congiunta.

Ne consegue che lo strumento processuale di cui all’art. 140 bis cod. cons. risulta incompatibile con la valutazione personalistica del danno. Spetta dunque al consumatore stabilire se aderire all’azione di classe, accettando dunque un risarcimento ‘forfettizzato’ del danno non patrimoniale, o in alternativa promuovere un’azione autonoma, così da avvalersi di una liquidazione personalizzata del danno, previa autonoma istruttoria.

Fatti di causa

Con ordinanza in data 26.1.2016 il Tribunale di Milano[1] ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata da due diverse associazioni a tutela dei consumatori. La vicenda trae origina da un malfunzionamento del software informatico della società di trasporto ferroviario T., che nel mese di dicembre 2012 ha determinato disservizi quali ritardi, cancellazioni delle corse, trasbordi tra convogli, sovraffollamento e assenza di adeguata informazione degli utenti per un totale di 6 giorni lavorativi.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza 25.8.2017 n. 3756, ha ritenuto fondata la domanda risarcitoria avanzata dalle associazioni a tutela dei consumatori, riscontrando la sussistenza di danni omogenei, idonei a giustificare non solo il ristoro del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, ai fini del risarcimento di cui all’art. 2059 c.c. sarebbe necessario e sufficiente che l’illecito configuri oggettivamente la lesione di diritti della persona penalmente o costituzionalmente protetti. La Corte d’Appello di Milano ha dunque quantificato il danno non patrimoniale in € 100,00 per ciascun soggetto aderente all’azione di classe.

La società di trasporti ha proposto ricorso avverso la sentenza d’appello, censurando – inter alia – la violazione dell’art. 17 Reg. 1371/2007, degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c., in relazione all’accoglimento della richiesta risarcitoria del danno non patrimoniale, ritenendo insussistente il carattere di omogeneità di cui all’art. 140 bis cod. cons.

La sentenza di secondo grado è stata altresì impugnata da una delle associazioni a tutela dei consumatori, con particolare riguardo all’erronea applicazione della disciplina sulla prescrizione.

L’iter decisionale

La Suprema Corte ripercorre l’evoluzione interpretativa dell’art. 2059 c.c., relativo al risarcimento del danno non patrimoniale. Alla stregua della lettura costituzionalmente orientata della norma, richiamando le celebri sentenze di San Martino (Cass. Civ., S.S.U.U., sentenze 11.11.2008 n. 26972, 26973, 26974, 26975), il giudice di legittimità sottolinea come il risarcimento del danno non patrimoniale – oltre all’allegazione e alla prova degli ordinari elementi dell’illecito aquiliano – presupponga l’accertamento di tre diversi aspetti. In primis si rende necessaria la rilevanza costituzionale dell’interesse leso: diversamente, ammettendo la risarcibilità di qualunque danno non patrimoniale, si giungerebbe ad un’interpretazione abrogativa dello stesso art. 2059 c.c., secondo cui il danno non patrimoniale deve essere risarcito nei soli casi determinati dalla legge. Inoltre, la risarcibilità del danno non patrimoniale è subordinata alla sussistenza di una grave lesione dell’interesse giuridico tutelato. Conformemente al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., infatti, ciascun consociato è tenuto a tollerare le minime intrusioni nella propria sfera giuridica personale. Il danno deve risultare qualificato, non potendo atteggiarsi ad un mero disagio, fastidio, ansia o insoddisfazione. Di conseguenza, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale derivante da inadempimento contrattuale, non basterà accertare la sussistenza di un nesso di causalità materiale e giuridica tra il danno e l’inadempimento, ma occorrerà altresì verificare se i pregiudizi patiti – individuati e descritti analiticamente nelle forme e nei modi – rappresentino un’offesa effettivamente seria e grave dell’interesse costituzionalmente garantito.

Con riguardo ai requisiti di cui all’art. 140 bis cod. cons., la domanda risarcitoria deve essere caratterizzata dall’omogeneità dell’offesa, tale da giustificare un ‘apprezzamento seriale’ ed una trattazione processuale congiunta. Lo strumento dell’azione di classe risulta infatti incompatibile, sia sul piano logico che giuridico, con accertamenti di specifiche situazioni personali e con valutazioni che coinvolgano la sfera emotiva e dinamico-relazionale dei singoli soggetti coinvolti. In altre parole, lo strumento processuale in esame risulta efficace solo nel caso in cui vi sia la possibilità di una valutazione tendenzialmente standardizzata del danno patito: la caratteristica dell’omogeneità deve riguardare sia l’an che il quantum della pretesa. Secondo la Suprema Corte l’azione di classe è comunque compatibile con la rivendicazione risarcitoria di danni non patrimoniali, purché la domanda non sia individualizzata, ma fondata su circostanze comuni a tutti i membri della classe. In questo modo, ciascuno dei danneggiati ha la possibilità di scegliere liberamente se aderire o meno all’azione di classe, accettando dunque un risarcimento ‘forfettizzato’, o promuovere un’azione autonoma, senza rinunciare ad un’istruttoria individuale e ad una liquidazione personalizzata del danno.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano non ha rispettato i principi delineati dalla giurisprudenza in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, tralasciando di individuare l’interesse costituzionalmente tutelato a monte dei pregiudizi patiti, nonché le specifiche modalità attraverso le quali sarebbe stata oltrepassata la soglia di sufficiente gravità posta dalla giurisprudenza come limite imprescindibile di tutela risarcitoria. Il giudice di secondo grado, infatti, si sarebbe limitato a dare rilievo a ritardi prolungati, cancellazioni di corse, trasbordi tra convogli, modifiche di itinerari e condizioni di sovraffollamento, a suo dire tali da ingenerare una forma d’ansia e insofferenza degli utenti del servizio a fronte della difficoltà, e talvolta dell’impossibilità, di effettuare spostamenti. In assenza di un’adeguata qualificazione del pregiudizio subito dai consumatori, secondo la Suprema Corte, non vi è modo di differenziare il danno de quo dal mero fastidio, con la conseguente preclusione del rimedio risarcitorio di cui all’art. 2059 in ragione della lettura ispirata al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.

Sotto altro profilo, il giudice di legittimità sottolinea come la pronuncia impugnata ometta di valorizzare i profili di danno non patrimoniale comuni a tutti gli utenti, precludendo un apprezzamento ‘seriale’ della domanda risarcitoria, tenuto conto anche della natura dell’azione di classe di cui all’art. 140 bis cod. cons., volta ad una gestione processuale congiunta.

Quanto alle censure sollevate dall’associazione a tutela dei consumatori in ragione dell’applicazione del termine di prescrizione annuale, in luogo di quello decennale, la Suprema Corte ha ritenuto infondata la violazione degli artt. 2951 e 2946 c.c. Poiché l’inadempimento lamentato riguarda prestazioni di carattere accessorio, è corretto applicare l’art. 2951 c.c., secondo cui i diritti accessori derivanti dai contratti di trasporto si prescrivono in un anno. Analizzando gli elementi essenziali del contratto di trasporto, la prestazione principale consiste, infatti, nel trasferimento da un luogo ad un altro di persone o cose, ove gli obblighi di informazione non possono che essere considerate prestazioni accessorie. E ciò anche alla stregua della teoria della causa concreta del contratto.

Con tre diversi motivi di ricorso, inoltre, l’associazione a tutela dei consumatori lamenta come la Corte d’Appello abbia omesso di rilevare l’incompatibilità del principio eurocomunitario di effettività della tutela con il termine di prescrizione annuale. I motivi in esame sono infondati, in quanto il termine di prescrizione annuale non solo è conforme agli standard comunitari in materia di trasporto, ma è giustificato dalla diversità dei diritti connessi all’esecuzione di alternative forme di trasporto.

Infine, con riguardo alle censure mosse in ordine agli effetti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno – che ai sensi dell’art. 140 bis, cod. cons, comma 3, decorrono dal momento del deposito della domanda o dell’adesione del singolo utente all’azione di classe –  la Suprema Corte dichiara la conformità di tale disciplina al principio di effettività della tutela. Trattasi, infatti, di un termine prescrizionale connesso alla regolazione di un meccanismo processuale complesso, quale quello dell’azione di classe, che in ogni caso non preclude all’interessato la costituzione in mora del vettore, né l’accesso ad un diverso iter processuale.

La sentenza è stata dunque cassata con rinvio, con enunciazione del seguente principio di diritto:

“L’accertamento del danno non patrimoniale rivendicato nel quadro di un’azione di classe promossa ai sensi dell’art. 140-bis del d.lgs. n. 206/2005 – oltre all’allegazione e alla prova concreta del ricorso degli ordinari requisiti: 1) della rilevanza costituzionale degli interessi lesi; 2) della gravità della relativa lesione e 3) della non futilità dei danni (ossia che gli stessi non consistano in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie o in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita, conformemente a quanto statuito da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605493 – 01) – richiede altresì la specifica allegazione e la prova dei profili concreti dei pregiudizi lamentati, capaci di valorizzarne i tratti condivisi da tutti i membri della classe, non personalizzabili in relazione a singoli danneggiati, bensì accomunati da caratteristiche tali da giustificarne, tanto l’apprezzamento seriale, quanto la gestione processuale congiuntamente rivendicata”.

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Osservazioni conclusive

Con la pronuncia in esame la terza sezione chiarisce come l’accertamento del danno non patrimoniale nell’ambito dell’azione di classe sia sottoposta alla disciplina di cui all’art. 2059 c.c. ed art. 140 bis cod. cons. in combinato disposto. In primo luogo, infatti, si rivela fondamentale la sussistenza dei parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al danno non patrimoniale, secondo la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., resa in primis dalla Corte Costituzionale con sentenza 27.10.1994 e, successivamente, dalla stessa Corte di Cassazione, dapprima con le pronunce 31.5.2003 n. 8827 e 8828 ed in seguito con le citate sentenze di San Martino (Cass. Civ., S.S.U.U., sentenze 11.11.2008 n. 26972, 26973, 26974, 26975). Sotto altro profilo, deve ricorrere il requisito dell’omogeneità dell’offesa, tale da giustificare un ‘apprezzamento seriale’ e la trattazione processuale congiunta. Solo in presenza di tutti gli elementi indicati, dunque, gli aderenti potranno vedere accolta la propria richiesta risarcitoria.

Il carattere dell’omogeneità è stato oggetto di interpretazioni, talvolta contrastanti, da parte della dottrina e della giurisprudenza. L’attuale formulazione dell’art. 140 bis cod. cons., si discosta infatti da quella originale, in ragione dell’intervento operato dal Legislatore con d.l. 24.1.2012 n.1, convertito in l. 24.3.2012 n. 27. Prima della novella, infatti, l’art. 140 bis, comma 6, ai fini dell’ammissibilità della domanda, prevedeva il requisito dell’identità dei diritti individuali oggetto di tutela. Previsione, questa, che destava perplessità interpretative, in ragione di quanto statuito dal primo comma, secondo cui (come nella formulazione attuale) oggetto della tutela fossero i diritti individuali omogenei. La dottrina[2] interpretava il requisito dell’identità come sinonimo di omogeneità, affermando che si ha una ‘classe’ quando i diritti azionati derivino da uno stesso illecito o da diversi illeciti omogenei. Ciò detto, secondo alcuni autori[3] il requisito dell’omogeneità si estendeva al quantum debeatur, essendo l’azione di classe incompatibile con la differenziazione e personalizzazione del danno (sia nell’an che nel quantum). A questo orientamento si contrapponeva quello secondo cui la differenziazione del quantun debeatur non avrebbe comportato l’inammissibilità della domanda proposta ex art. 140 bis.

A seguito della novella del 2012, i contrasti giurisprudenziali in ordine al requisito dell’omogeneità, invero, non sono cessati. Ed infatti parte della giurisprudenza di merito, ha dimostrato di dare continuità all’indirizzo interpretativo di tipo restrittivo. È il caso della pronuncia resa dal Tribunale di Milano nella fattispecie de quo. Il giudice di primo grado ha infatti rigettato la richiesta risarcitoria, sottolineando come la norma non imponga solamente l’unicità della causa petendi, ma anche l’uniformità del danno patito sotto il profilo del quantum debeatur.  Diametralmente opposta risulta l’interpretazione della Corte d’Appello, che ha aderito all’interpretazione estensiva del concetto di omogeneità, osservando l’impossibilità di una perfetta coincidenza tra le pretese dei singoli aderenti.

La terza sezione della Suprema Corte, chiarendo che la caratteristica dell’omogeneità deve riguardare sia l’an che il quantum della pretesa azionata attraverso la class action, ha il merito di dirimere un’annosa questione, suggerendo al consumatore di prestare particolare cautela nella scelta dello strumento processuale più idoneo, in relazione alle circostanze del caso di specie. Da un lato, infatti, l’adesione alla class action, come stabilito dall’art. 140 bis cod. cons., comma 3, comporta la rinuncia a ogni pretesa restitutoria o risarcitoria fondata sul medesimo titolo. Dall’altro, lo strumento processuale di cui all’art. 140 bis cod. cons risulta incompatibile con la valutazione personalistica del danno, con conseguente liquidazione forfettizzata del danno patito.

Note

[1] Tribunale di Milano, ordinanza 26.1.2016 n. 426

[2] Disposizioni in materia di azione di classe, Tomo II (Dottrina), Dossier del Servizio studi sull’A.S. n. 1950, n. 273/II, gennaio 2016, disponibile al seguente link http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00955251.pdf

[3] M. Bove, Profili processuali dell’azione di classe, in www.judicium.it (5 giugno 2010)

 

Sentenza collegata

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