Frode processuale (art. 374 c.p.) e frode in processo penale e depistaggio (art. 375 c.p.)

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Indice:

1. Disciplina comune

Le fattispecie delittuose della frode processuale (art.374 c.p.) e della frode processuale in processo penale e depistaggio (art. 375 c.p.) trovano sede nel libro secondo del codice penale – Dei delitti in particolare – Titolo III – Dei delitti contro la pubblica amministrazione  – Capo I – Dei delitti contro l’attività giudiziaria.

Le fattispecie ledono, da un lato, l’interesse al regolare svolgimento delle attività giudiziarie relativamente al profilo delle acquisizioni probatorie (art.374 c.p.) e, dall’altro, l’esigenza di tutelare il buon funzionamento della giustizia (art. 375 c.p.).

2. Frode processuale (art. 374 c.p.)

Il delitto di frode processuale (art. 374 c.p.) tutela la genuinità delle fonti di convincimento del giudice e, dato che non necessità che l’autorità giudiziaria sia stata realmente ingannata, ci troviamo dinanzi un reato di pericolo. Si tratta di un reato comune e può, quindi, essere commesso da chiunque.

Testualmente la norma de qua recita: “Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata”.

La rilevanza penale, data dalla condotta, consiste nell’alterazione artificiosa o materiale trasformazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, con la finalità di trarre in inganno il giudice nel corso delle ispezioni giudiziali, degli esperimenti giudiziali, ovvero nell’espletamento dell’attività peritale. L’elencazione è tassativa, non potendosi, dunque, estendere ad altri momenti processuali.

Occorre che l’ immutazione sia artificiosa, valutando caso per caso il contesto nel quale essa è stata compiuta. L’immutazione artificiosa deve essere tale da tratte in inganno e ricadere su un qualche elemento rilevante ai fini della decisione.

La condotta di cui sopra può, pertanto, delinearsi sia nel corso di un procedimento amministrativo sia in quello civile.

Se la condotta viene posta in essere in merito ad un procedimento penale, la punibilità viene meno se si tratta di reato per il quale non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata. Sulla frode processuale non influiscono né la remissione della querela o altre cause estintive del reato.

La norma prevede una differente rilevanza del momento in cui l’attività ingannatoria è posta in essere. Essa, infatti, nel processo penale, rileva anche se commessa prima dell’inizio del procedimento.

Il delitto di frode processuale è a dolo specifico, poiché occorre il fine di trarre in inganno il giudice. Si tratta di un dolo che richiede l’idoneità della condotta a realizzare il fine. A tal proposito si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “Il reato di frode processuale, previsto dall’art. 374 cod. pen., non è configurabile qualora la condotta ingannatoria consista nella consegna al consulente tecnico d’ufficio di documentazione fraudolentemente modificata che, tuttavia, risulti irrilevante rispetto all’oggetto dell’accertamento e, pertanto, inidonea ad incidere sulle concrete valutazione e determinazioni del consulente”. (Cass. n. 51681/2017).

Non rilevano, invece, i motivi che hanno indotto il soggetto attivo a commettere il delitto.

Il delitto si consuma nel luogo al tempo in cui è avvenuta l’ immutazione o, secondo altri, nel luogo e nel momento in cui detta immutazione diventi percepibile dal suo destinatario. Vista la natura di reato di pericolo, è generalmente esclusa la configurazione del tentativo.

Nel reato in commento presenzia la clausola “…qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge…. Quindi, se l’immutazione è finalizzata a determinare l’apparenza di un reato o farne apparire colpevole un innocente, potrebbero configurarsi i reati di calunnia, autocalunnia o simulazione di reato.

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3. Frode in processo penale e depistaggio (art. 375 c.p.)

Muovendo, adesso, all’esame della seguente fattispecie delittuosa di –  Frode processuale in processo penale e depistaggio (art. 375 c.p.) –  è bene ricordare come tale norma, abbia carattere sussidiario, essendo di fatto configurabile quando il fatto non costituisce più grave reato, come recita il 1° co.

Testualmente, la norma in scrutinio recita che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a otto anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale:

  1. a) immuta artificiosamente il corpo del reato ovvero lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato;
  2. b) richiesto dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito.

Se il fatto è commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Se il fatto è commesso in relazione a procedimenti concernenti i delitti di cui agli articoli 270, 270 bis, 276, 280, 280 bis, 283, 284, 285, 289 bis, 304, 305, 306, 416 bis, 416 ter e 422 o i reati previsti dall’articolo 2 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, ovvero i reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque tutti i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.

La pena è diminuita dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per ripristinare lo stato originario dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori.

Le circostanze attenuanti diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 e dal quarto comma, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al terzo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste ultime e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

La condanna alla reclusione superiore a tre anni comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

La pena di cui ai commi precedenti si applica anche quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio siano cessati dal loro ufficio o servizio.

La punibilità è esclusa se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle indagini e ai processi della Corte penale internazionale in ordine ai crimini definiti dallo Statuto della Corte medesima”.

Dall’analisi della norma emerge che: siamo in presenza di un reato proprio, i cui soggetti attivi possono essere solo un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.

La ratio della norma in commento, è di reprimere più severamente rispetto a tali fatti, gli episodi di sviamento nelle indagini penali o in un processo penale, commessi da soggetti che, proprio per la titolarità di uno status connesso all’ufficio o al servizio, si collocano in una posizione qualificata, che rileva almeno sotto un duplice profilo. Innanzitutto, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ha un dovere maggiore di fedeltà nei confronti delle Istituzioni, dello Stato e della comunità: ciò giustifica una sua punizione più severa se depista l’autorità giudiziaria dall’accertamento di un fatto di reato; in secondo luogo, il potere di cui dispone lo pone potenzialmente in una posizione di privilegio, tale per cui un comportamento dal corretto svolgimento di un processo penale o dalle indagini, è maggiormente offensivo se il reo è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Tali assunti giustificano, ictu oculi, la severità della sanzione.

In merito alla struttura del fatto il 1° co. dell’art. 375 c.p. prevede due fattispecie a consumazione alternativa, entrambe commesse dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, con il dolo specifico di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale.

La prima fattispecie prevista dalla lett. a), ed è integrata quando il soggetto attivo immuta artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato. La condotta è in questo caso messa in atto direttamente su una res o su di una persona e presenta una dimensione prettamente materiale.

Nella seconda fattispecie, il soggetto attivo in tal caso non fa materialmente qualcosa, ma in tutto o in parte riferisce falsamente o tace quanto dovrebbe riferire.

L’art. 375, 2° co., elenca una serie di modalità della condotta che sono punibili più severamente.

È una circostanza aggravante autonoma quella descritta dal 3° co. della norma in commento.

Il 4 co. disciplina una circostanza attenuante ad effetto speciale. La norma ha un’evidente ratio di incentivare comportamenti virtuosi post delictum da parte di chi ha già commesso il fatto tipico, qualora il soggetto attivo si adoperi, effettivamente, al fine di evitare che si realizzino ulteriori conseguenze, ovvero contribuisca alla ricostruzione dei fatti o provveda ad aiutare l’autorità ad individuare i correi.

Il 5 co. limita il potere del giudice nel bilanciamento tra circostanze eterogenee, stabilendo che le circostanze attenuanti, diverse dal quelle previste agli artt. 98 e 114, nonché al 4° co. del medesimo art. 375, se concorrenti con le aggravanti di cui al 2° e 3° co. della norma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste ultime e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

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