Simulazione di reato e procurato allarme presso l’Autorità

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La simulazione di reato

La fattispecie delittuosa della simulazione di reato è contestabile a “chiunque con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo. La pena è della reclusione da uno a tre  anni”.

La norma in commento è posta a salvaguardia dell’interesse dell’amministrazione della giustizia con l’obiettivo di evitare che pervengano notizie inesistenti, con conseguente spreco di tempo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 367 c.p. non si richiede che sia stato instaurato in concreto un procedimento penale, o siano state iniziate indagini di polizia giudiziaria aventi ad oggetto il reato denunziato e la scoperta del colpevole. E’  sufficiente che la condotta del soggetto attivo determini la sola probabilità di una lesione dell’interesse giuridico tutelato dalla norma al regolare funzionamento degli organi deputati all’accertamento ed alla repressione dei reati.

Può una singola telefonata essere idonea ad integrare la simulazione di reato (art. 367 c.p.) ?

Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che «In tema di simulazione di reato, anche la sola denuncia telefonica assume rilevanza ex art. 367 c.p., atteso che, con il termine di denuncia, la predetta norma incriminatrice designa ogni notitia criminis, indifferentemente orale o scritta, palese o confidenziale, firmata o anonima, spontanea od ottenuta su sollecitazione dell’autorità, come nel caso di un interrogatorio» (Cass. 35543/2012).

Affinché possa configurarsi il delitto di simulazione di reato, condizione necessaria è che il reato oggetto della falsa informazione all’autorità o oggetto della simulazione reale, sia inesistente o sostanzialmente diverso da quello in effetti verificatosi. Il fatto sarebbe, dunque, da ritenersi insussistente allorché la simulazione si presenti come palesemente assurda ed inverosimile. A tal proposito, occorre evidenziare come si ricadrebbe nell’ipotesi dell’inoffessività della condotta posta in essere dal soggetto agente (per inidoneità dell’azione o inesistenza dell’oggetto di essa). Conseguentemente, potrebbe farsi rilevare che, ai sensi del II comma dell’art. 49 c.p., sussisterebbero i profili del cd. “reato impossibile” e, che la condotta non vada incontro a punibilità, per il venire meno di uno degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa.

Ulteriore aspetto da analizzare0 riguardo l’esame in commento, concerne la ritrattazione. Sebbene si tratti di un requisito non espressamente previsto, la dottrina ammette che la ritrattazione valga ad escludere la configurabilità del delitto di cui all’art. 367 c.p. se immediata e quasi contestuale alla falsa denuncia, in modo cioè da escludere che sia in effetti iniziato il procedimento penale. Se manca tale requisito temporale, la ritrattazione potrà semmai rendere applicabile, ove ne sussistano i presupposti, l’attenuante di cui all’ art. 62 comma 1 n. 6 c.p.

«In tema di simulazione di reato, la ritrattazione dell’originaria mendace denuncia non produce effetti sulla punibilità, salvo che intervenga contestualmente alla denuncia simulatoria, in modo da escludere anche la possibilità dell’inizio di un procedimento penale» (Cass. n. 4259/2009 e in senso conforme Cass. n. 241810/2008).

Il momento consumativo della simulazione viene di solito identificato nel momento nel quale la falsa informazione viene ricevuta dall’autorità. Si ritiene configurabile il tentativo. Il delitto è punibile a titolo di dolo generico per la cui sussistenza è sufficiente la coscienza e la volontà di affermare falsamente l’avvenuta consumazione di un reato. Il movente del delitto è ininfluente e non scusa ai fini della configurazione della fattispecie delittuosa.

Qui giunti, è bene rammentare che la simulazione avente ad oggetto una contravvenzione e non un delitto è punita con una pena inferiore ai sensi dell’art. 370 c.p. – Simulazione o calunnia per un fatto costituente contravvenzione – Le pene stabilite negli articoli precedenti sono diminuite [65] se la simulazione [367] o la calunnia [368] concerne un fatto preveduto dalla legge come contravvenzione –

Procurato allarme presso l’Autorità

La norma esaminata può presentare dei punti di contatto con la fattispecie di Procurato allarme presso l’Autorità di cui all’art. 658 c.p.

Il reato di procurato allarme, previsto nel terzo libro del codice penale tra le contravvenzioni,  è contestabile a chiunque annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio.

L’art. 658 tutela l’ordine pubblico che si vuol garantire contro i falsi allarmi portati a conoscenza dell’autorità. La norma non richiede, peraltro, la effettiva diffusione nel pubblico della notizia e, conseguentemente, di uno stato generalizzato di allarme, ma è sufficiente che il falso annuncio abbia suscitato allarme presso l’Autorità.

La condotta punita consiste nell’annuncio di un disastro, di un infortunio o di un pericolo che non esistono. L’annuncio è ogni trasmissione a terzi di notizie o informazioni. Esso può avvenire con qualunque modalità e l’’Autorità può non essere il diretto destinatario dell’annuncio, essendo sufficiente che ad essa la falsa notizia sia infine pervenuta in conseguenza dell’annuncio a chiunque dato.

Il disastro – art. 658 c.p. – è qualunque evento dannoso con effetti gravi o estesi: sono disastri gli accadimenti contemplati dagli artt. 423 e ss. L’infortunio è determinato da eventi sfortunati che colpiscono determinate persone o cose, rendendo necessaria un’opera di soccorso. Il pericolo è la situazione da cui possa derivare un danno a persone o cose: per l’integrazione della contravvenzione de qua deve essere prossimo (cioè il danno minacciato deve essere imminente) perché il falso annuncio di un pericolo remoto, consentendo di accertare con agio la realtà dei fatti non è in grado di determinare nell’Autorità alcun allarme. È necessario, piuttosto, per la sussistenza del reato, che il falso annuncio abbia suscitato allarme presso l’Autorità (intendendosi per tale qualsiasi autorità politica, amministrativa o giudiziaria) o presso enti o persone incaricate di un pubblico servizio (quali ad es. la Croce rossa, le associazioni di pubblica assistenza, le strutture sanitarie ospedaliere). A tal proposito «Non integra il reato di cui all’art. 658 c.p. la condotta di colui che segnala falsamente col mezzo del telefono alla polizia giudiziaria, sollecitandone l’intervento, che il coniuge gli impedisce di incontrare il figlio minore, in quanto in tale comportamento difetta la prospettazione di un pericolo presso l’Autorità tale da ingenerare pubblico allarme» (Cass. 41739/2014).

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