Sintesi:
“La fissazione da parte di un singolo giudice o, come nel caso di specie, del collegio di un’agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell’ordine di iscrizione a ruolo ma la scaglioni sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, della loro difficoltà, dell’urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi.”
IL CASO
La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza n. 57 pronunciata in data 8 marzo 2013, ha assolto molteplici Magistrati, escludendo che gli stessi avessero commesso l’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 comma 1 e 2, lettere a) e g) del d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109.
Ai suddetti Magistrati era stato addebitato, di avere nelle svolgimento delle loro funzioni di consiglieri relatori in cause civili pendenti innanzi alla Corte d’appello di Bologna, dilazionato la decisione di numerose cause mediante rinvii a distanza anche di 4/7 anni, benché sarebbe stata possibile la definizione in termini più brevi in relazione ai carichi di lavoro, all’adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie, com’era dimostrato dal fatto che altri magistrati avevano invece rinviato oltre cento cause, per anno, negli anni immediatamente successivi al 2010.
Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione il Procuratore Generale della Corte di cassazione sulla base di un unico motivo.
IL COMMENTO
Il problema sotteso alla fattispecie in esame consiste nel comprendere “fino a che punto è consentita una dilazione della decisione al fine di rendere possibile che cause oggettivamente più urgenti o più rilevanti di altre siano decise in tempi più brevi?
Nel caso in esame la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con sentenza, aveva ritenuto alcuni Magistrati non colpevoli dell’illecito di cui agli artt. 1 comma 1 e 2, lettere a) e g) del d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109. Gli stessi erano stati accusati di aver nelle svolgimento delle loro funzioni di consiglieri relatori in cause civili pendenti innanzi alla Corte d’appello di Bologna, dilazionato la decisione di numerose cause mediante rinvii a distanza anche di 4/7 anni, benché sarebbe stata possibile la definizione in termini più brevi in relazione ai carichi di lavoro, all’adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie, com’era dimostrato dal fatto che altri magistrati avevano invece rinviato oltre cento cause, per anno, negli anni immediatamente successivi al 2010.
La Sezione disciplinare sul punto si è espressa ritenendo che: “la fissazione da parte di un singolo giudice o, come nel caso di specie, del collegio di un’agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell’ordine di iscrizione a ruolo ma la scaglioni sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, della loro difficoltà, dell’urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi”.
La Sezione disciplinare ha inoltre sottolineato come è del tutto ovvio che se ogni giudice fissasse per la decisione un numero di cause pari al limite delle sentenze che può redigere in un anno, non avrebbe poi spazio per poter fissare a breve le cause che presentassero connotati di urgenza, pertanto nel caso di specie in relazione a quanto emerso, non ha ritenuto sussistere elementi tali per poter dire violato il dovere di laboriosità o per affermare che fosse dovuto a negligenza inescusabile il mancato rispetto dei termini di cui agli artt. 81, 82 e 115 disp. att. cod. proc. civ.
Il ricorso è stato respinto.
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