Fermo amministrativo, Decreto Bersani e questioni di legittimità costituzionale: la giurisdizione non spetta sempre al Giudice Tributario

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Riparto di giurisdizione Dall’entrata in vigore del Decreto Bersani (D.L. 223/2006, convertito con L. 248/2006), si sono freneticamente succedute entusiastiche dichiarazioni secondo le quali sarebbe stata risolta, proprio in virtù delle norme contenute nel Decreto, la dibattuta questione della competenza giurisdizionale in materia di fermo amministrativo. Segnatamente – si è detto – poiché l’art. 35, co. 26 quinquies, della legge di conversione del Decreto Bersani modifica l’art. 19 del D.Lgs. 546/92, introducendo il “fermo amministrativo” tra gli atti che possono essere impugnati dinanzi al Giudice Tributario, si sarebbe in tal modo definitivamente chiarito, ope legislatoris, quale debba essere il giudice dinanzi al quale impugnare i fermi amministrativi asseritamente illegittimi.
Una recente sentenza del Giudice di Pace di Bari (sent. n. 1825/07, pubblicata il 26.2.2007, riportata in calce per esteso) ha giustamente messo nuovamente in discussione tutto, rilevando che le norme di detto Decreto in realtà non sono innovative come si crede.
La sentenza esamina puntualmente la nuova disciplina quale innovata dalle modifiche apportate dal *************** e “scopre” che, diversamente da quanto affermato sin dai primi giorni di entrata in vigore del Decreto, la giurisdizione in materia di fermo amministrativo va ripartita nella seguente maniera: se il credito per il quale viene disposto il fermo ha natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice Tributario; ove, invece, il credito non abbia natura tributaria, la Giurisdizione spetterà al Giudice ordinario.
A tale conclusione il Giudice di Bari perviene attraverso una ineccepibile argomentazione: poiché il fermo amministrativo è un provvedimento avente natura cautelare (e non è dunque atto dell’esecuzione), l’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, laddove dispone (…e tale norma è in vigore già dal 1992!) che “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento”, in realtà già prescrive (e prescriveva) che il fermo amministrativo (appunto quale atto “non dell’esecuzione) debba (e già dovesse) rientrare nella giurisdizione tributaria.
La modifica apportata all’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 ad opera del citato Decreto, con la quale si è inserito espressamente il fermo amministrativo tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi al G. Trib., in verità dunque nulla di nuovo ha disposto, avendo solo esplicitato l’impugnabilità di un atto che già ai sensi dell’art. 2 poteva/doveva essere oggetto d’impugnazione dinanzi al Giudice tributario.
Né, peraltro, potrebbe adottarsi un’interpretazione “espansiva” dell’art. 19 cit..
E’ infatti certamente da escludere che tale disposizione abbia inteso estendere la giurisdizione tributaria (in materia di fermo) a tutti i fermi amministrativi, per qualunque credito disposti: infatti, così come rilevato dal Giudice nella citata sentenza, se si leggono in combinato disposto gli artt. 2 e 19 del D.Lgs. 546/1992, risulta evidente che il Legislatore ha inteso attribuire al Giudice Tributario la competenza giurisdizionale soltanto sulla materia tributaria.
Con il D.Lgs. del 1992, infatti, sono state attribuite al Giudice Tributario tutte le controversie tributarie, che vengono cioè attratte per “comparto di materia”: è pertanto evidente che, allorquando l’art. 19 D.Lgs. 546/1992 richiama i fermi amministrativi, esso non può essere letto indipendentemente dall’art. 2 (che individua la materia nella quale il fermo è stato disposto). Conseguentemente, ne deriva che l’art. 19, espressamente richiamando il fermo amministrativo, ha implicitamente (implicito non è considerato che è sufficiente una lettura organica con altra disposizione della medesima legge, art. 2) limitato la sua portata ai fermi che siano stati pur sempre disposti nell’ambito della materia attribuita alla competenza del Giudice Tributario, ossia quella tributaria.
Devono pertanto necessariamente rigettarsi le prospettate questioni di legittimità costituzionale della disposizione (art. 35, co. 26 quinquies) contenuta nella legge di conversione del Decreto Bersani: i sostenitori di tale incostituzionalità, infatti, muovono dall’errato presupposto secondo cui l’art. 19 attrarrebbe sotto la giurisdizione delle commissioni tributarie anche quei giudizi aventi ad oggetto fermi amministrativi disposti ad es. per crediti da circolazione stradale, crediti di lavoro o previdenziali, così operando – si incalza – una illegittima, arbitraria ed illogica attribuzione “di una moltitudine di situazioni diverse ad un medesimo Giudice”.
Invero, come detto, tale denunziata illegittimità costituzionale non può affatto profilarsi, non sussistendo affatto il presupposto dal quale essa muove: un esame logico della disciplina e – soprattutto – del testo di legge, consente infatti pacificamente di negare la generalizzata attribuzione alle commissioni tributarie delle giurisdizione in materia di fermo amministrativo, essendo al contrario queste giurisdicenti soltanto ove il credito per il quale il fermo è disposto abbia natura tributaria.
La sentenza del Giudice di Pace in commento rivela pertanto una straordinaria lucidità proprio perché, muovendo dall’analisi delle disposizioni “vecchie e nuove”, giunge all’individuazione di un semplice e corretto criterio per il riparto della giurisdizione in materia di fermo amministrativo e, stante l’interpretazione fornita, fuga ogni dubbio di legittimità costituzionale dell’attuale assetto normativo.
 
Giurisdizione e competenza per i crediti non tributari – Di assoluto rilievo è anche la questione relativa alla giurisdizione ed alla competenza per il fermo amministrativo che sia stato disposto per crediti non tributari (es. sanzioni amministrative).
La sentenza in esame, come detto, muove da un preciso presupposto: la natura cautelare del fermo amministrativo.
Da tale preliminare qualificazione essa fa discendere due naturali conseguenze:
1) la giurisdizione ordinaria (in luogo di quella amministrativa);
2) la competenza del giudice ordinario (in luogo di quella del giudice dell’esecuzione).
In altri termini, se è vero (come presupposto dal Giudice) che il fermo amministrativo di cui all’art. 86 D.P.R. 603/1972 non è un provvedimento amministrativo, ma, al contrario, è un atto posto in essere dal creditore (Amministrazione) in quanto tale ed ha natura sostanzialmente cautelare, essendo diretto alla conservazione dei cespiti patrimoniali del debitore, sul piano pratico ne discende ovviamente che la giurisdizione spetterà al Giudice ordinario e che, d’altro canto, non configurandosi alcuna “esecuzione”, la competenza non potrà mai spettare al giudice dell’esecuzione.
Tali affermazioni sono di fondamentale rilievo poiché consentono di individuare, non solo il giudice giurisdizionalmente competente in materia di opposizione al fermo amministrativo che sia stato eventualmente disposto per crediti non tributari (e dunque sottratto all’ambito di applicazione dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992), ma anche l’ufficio giudiziario, all’interno della G.O., dinanzi al quale promuovere tale opposizione.
Orbene, se è vero che la qualificazione del fermo amministrativo in termini di atto sostanzialmente cautelare comporta le conseguenze ora vedute, conviene allora verificare proprio l’esattezza di tale premessa, essendo evidente che, laddove si accerti tale natura cautelare, sarà inevitabile assoggettare le relative controversie alla giurisdizione ordinaria, con attribuzione della competenza ad un giudice che certamente non potrà essere quello dell’esecuzione.
Senza alcuna pretesa di completezza, può sinteticamente dirsi che le tesi sino ad oggi propugnate si sono sostanzialmente attestate su tre diverse posizioni: da un lato chi ha sostenuto che il fermo amministrativo fosse, propriamente, un atto amministrativo (cfr. T.A.R. Puglia, nn. 4135, 4104, 4061, 3829 del 16 settembre 2004; T.A.R. Piemonte, n. 3594 del 15 dicembre 2004; T.A.R. Abruzzo, n. 704 del 19 luglio 2004; Tribunale di Ivrea, 4 aprile 2005); dall’altro chi ha asserito trattarsi di un atto cautelare in senso stretto, assolvendo esso ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della espropriazione forzata  (cfr. Consiglio di Stato, n. 421 del 3 febbraio 2006; n. 4689 del 13 settembre 2005; n. 4356 del 27 settembre 2004; T.A.R. Emilia-Romagna, n. 72 del 19 febbraio 2004; T.A.R. Campania, n. 12025 del 16 settembre 2004; T.A.R. Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003; T.A.R. Calabria, n. 2110 del 20 giugno 2003; T.A.R. Lombardia, n. 1140 del 5 maggio 2003; T.A.R. Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003; Tribunale di Novara, 9 maggio 2003); dall’altro, ancora, chi ha affermato che il fermo sarebbe atto pre-esecutivo, come tale di competenza (ratione materiae) del giudice dell’opposizione all’esecuzione (Cass. Civ. S.U., n. 2053 del 31 gennaio 2006).
Dichiarando espressamente di condividere l’opinione che attribuisce al fermo amministrativo natura di atto cautelare (non essendo esso né atto amministrativo, né tantomeno atto dell’esecuzione o “pre-esecutivo”), possono in questa sede sinteticamente indicarsi le ragioni che, ad avviso dello scrivente, militano a favore di tale tesi.
Il fermo amministrativo:
1- non è atto dell’esecuzione (argomentazione di carattere storico): come riconosciuto da unanime dottrina e giurisprudenza, il fermo amministrativo nasce (nel 1923, R.D. n. 2440) come atto cautelare teso alla tutela delle ragioni di credito dell’Amministrazione.
Sino alla intervenuta modifica del 2001 (D.Lgs. n. 193/2001), esso poteva essere disposto soltanto ove non fosse stato possibile eseguire il pignoramento del bene ed assolveva, pertanto, alla medesima funzione del sequestro conservativo, cui era pacificamente assimilato. Fatta eccezione per gli anni 2001-2005 (nei quali il fermo, proprio a seguito del D.Lgs. 193/2001, è stato considerato già atto dell’esecuzione), il fermo torna ad acquistare natura cautelare con la Legge 248/2005: infatti, mediante interpretazione autentica, il Legislatore statuisce che, sino all’emanazione del nuovo Decreto, al fermo amministrativo deve applicarsi il D.M. di attuazione n. 503/1998 (tale Decreto all’art. 5, co. 3,  prevede che “il concessionario, entro 60 gg. dalla ricezione… deve procedere al pignoramento del mezzo”). Conseguentemente, se il fermo deve essere necessariamente seguito dal pignoramento del bene e se, per espressa disposizione di legge, “l’esecuzione inizia con il pignoramento” (art. 494 c.p.c.), è evidente che il fermo, precedendo il pignoramento, non è atto dell’esecuzione. La natura cautelare del fermo amministrativo, così, riviene dalla sua stessa storia ed è ulteriormente riprovata dalla L. 248/2005 che, richiamando l’art. 5 del D.M. 503/1998 e disponendo che il fermo amministrativo debba essere seguito dal pignoramento, ribadisce la natura cautelare del fermo medesimo, ancora una volta assimilabile al sequestro conservativo.
Sotto altro profilo, poi (argomentazione di carattere logico), la circostanza che il fermo non sia atto dell’esecuzione trova piena conferma anche in un ulteriore rilievo: infatti, la circostanza che l’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 inserisca il fermo amministrativo (disposto per i crediti tributari) tra gli atti che possono formare oggetto di impugnazione dinanzi alle commissioni tributarie, conferma senza alcuna possibilità di smentita che il fermo non è atto dell’esecuzione, poiché altrimenti, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 546/1992, sarebbe stato escluso dalla giurisdizione tributaria (l’art. 2, infatti, espressamente sottrae gli “atti dell’esecuzione”). Sì che, salvo ritenere che il fermo amministrativo abbia una diversa natura a seconda che sia disposto o meno per crediti tributari, è evidente che, anche quando sia eseguito per crediti non tributari, esso comunque non potrà mai essere considerato “atto dell’esecuzione”.
2- non è un provvedimento amministrativo (argomentazione di carattere sistematico): non ha senso affermare che il fermo amministrativo andrebbe ascritto tra gli atti aventi natura provvedimentale “poiché – come si è sostenuto da parte di alcuni – nel normale rapporto creditore-debitore, il creditore mai potrebbe porre in essere atti di autotutela”. Ciò per due ragioni: anzitutto perché l’Amministrazione è certamente un creditore sui generis, per cui risponde ad una precisa scelta legislativa quella di predisporre in favore di tale creditore una normativa parzialmente speciale, che purtuttavia non snatura il rapporto di sostanziale parità tra Amministrazione-creditrice e cittadino-debitore; ed in secondo luogo perché anche nel paritario rapporto tra creditore e debitore “privati” esistono forme – certo eccezionali – di autotutela: si pensi al “diritto di ritenzione” riconosciuto es. al possessore, ex art. 1152 c.c. o al compratore con patto di riscatto, ex art. 1502 c.c.): sì che ricavare la natura provvedimentale del fermo dalla circostanza che i privati mai potrebbero porre in essere atti di autotutela è metodologicamente errato.
Né peraltro può sostenersi (come pure è stato fatto) che il potere di disporre il fermo sia riconosciuto all’Amministrazione “in vista della realizzazione di un interesse pubblico”: infatti, nessuno nega che l’Amministrazione agisca per la realizzazione di un interesse pubblico… vero è, però, che l’Amministrazione agisce sempre, per definizione, in vista della realizzazione dell’interesse pubblico. Per cui non si può trarre da questo argomento la convinzione che il fermo sia, già solo per questo, un provvedimento amministrativo. Così opinando, si dovrebbe affermare che, ad es., anche quando l’Amministrazione concluda un contratto, essa agisce nella veste di soggetto sovraordinato poiché atto teso, in ultimo, all’interesse pubblico. Ma è evidente che così non è.
E’ dunque pacifico che anche tali argomentazioni siano inidonee a fondare la natura provvedimentale del fermo amministrativo.
Concludendo, pertanto, va pienamente condivisa la premessa da cui ha preso le mosse il Giudice di Pace di Bari: il fermo amministrativo ha “natura di misura cautelare a tutela del credito, successiva alla notifica della cartella esattoriale ma anteriore alla esecuzione atteggiandosi, quindi, a rimedio alternativo rispetto al provvedimento esecutivo e non già ad una misura prodromica all’esecuzione”. In tale prospettiva, è inevitabile che la giurisdizione, per i fermi derivanti da crediti non tributari, spetti al giudice ordinario e che la competenza, lungi dal sussistere ratione materiae in capo al Giudice dell’Esecuzione, vada invece ripartita secondo i normali criteri.
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                                                                                                          REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE
 
Il Giudice di Pace di Bari Avv. ***************, nella causa civile n. 10746 RG 2006, ha pronunziato la seguente
 
SENTENZA
tra
 
R. P., rappresentato e difeso dall’avv. L. M.
ricorrente
contro
E.TR. s.p.a.
convenuta
Oggetto: ricorso avverso il fermo di autovettura.
 
      Con ricorso depositato il 14.10.2006, l’istante proponeva opposizione avverso il fermo amministrativo, disposto sulla   propria autovettura tg. BH dalla E.TR.s.p.a., in data 12 settembre 2006 per il mancato pagamento di €.2.675,53.
      Eccepiva, quindi, l’illegittimità del provvedimento impugnato sollevando più motivi di censura, tra cui la carenza dei presupposti del provvedimento di fermo amministrativo e la nullità ed illegittimità, connesse alla mancata emanazione del previsto regolamento di attuazione dell’art. 86 del DPR 602/73, come modificato dal D.lgs. 193/2001.
      Chiedeva, quindi, la condanna della E.TR. s.p.a. al risarcimento del danno per mancato utilizzo del veicolo.
      Si costituiva la E.TR s.p.a. e deduceva la carenza di giurisdizione del giudice adito in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, l’incompetenza funzionale, attesa la natura cautelare del fermo, il difetto di competenza a favore del giudice del lavoro, la carenza di legittimazione ad agire.
      Richiamando, poi, la legge di conversione del DL n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani) eccepiva la carenza di giurisdizione in favore della Commissione Tributaria Provinciale, territorialmente competente, avendo il legislatore allargato la competenza della giurisdizione tributaria con l’introduzione del comma 26 quinquies dell’art. 35 del citato decreto modificando così l’art.19 c.1 del D.Lgs 546/92 inserendo due nuove previsioni in ordine agli atti impugnabili presso le commissioni tributarie e cioè quelli inerenti l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del DPR 602/73 e quelli inerenti il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 del cit. DPR. 
      In ordine alla carenza di potere, poi, con riferimento all’art. 86 d.p.r. n. 602/73 terzo comma, deduceva l’infondatezza delle argomentazioni del ricorrente, perchè il recente decreto Legge n. 203/05 aveva affermato l’ultrattività del vecchio Regolamento di esecuzione di cui al DM n. 503/98.
      Eccepiva, infine, la tardività del ricorso.
      Sulle conclusioni rassegnate dalle parti, la causa veniva decisa all’udienza del 14.2.2007.
MOTIVI DELLA DECISIONE
      Preliminarmente si rileva che il preavviso di fermo amministrativo non indica alcun termine entro il quale proporre l’impugnativa e che la qualificazione dell’atto di opposizione sarà meglio specificato in seguito.
      Prima di passare all’esame del merito, va affrontata la questione relativa alla invocata competenza della Commissione Tributaria Provinciale alla luce della nuova normativa introdotta dalla legge n. 248/06 di conversione del D.L. n. 226/06.
       La soluzione della controversia in esame richiede necessariamente un preliminare sintetico esame della natura del fermo amministrativo.
       Richiamando, per ragioni di brevità, quanto costantemente affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, si può in questa sede affermare che il fermo amministrativo non è unprovvedimento amministrativo” ma, al contrario, è un atto posto in essere dal creditore (Amministrazione) in quanto tale ed ha natura sostanzialmente cautelare, essendo diretto alla conservazione dei cespiti patrimoniali del debitore.
      L’innovazione che il decreto legislativo del 2001 ha introdotto alla disciplina dell’istituto, quale originariamente previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, con le modifiche succedutesi fino al 1999, non ha innovato la natura giuridica del fermo, essendo intervenuta, esclusivamente a svincolare il concessionario dalla intermediazione della Direzione Regionale delle Entrate e dal previo esperimento negativo del pignoramento del bene mobile registrato, conferendogli direttamente la possibilità di disporre il fermo dei beni mobili registrati, sul solo presupposto della scadenza del termine stabilito dal primo comma dell’art. 50 dello stesso decreto, senza attribuire al concessionario poteri di natura amministrativo-tributaria, propri dell’Amministrazione, bensì muovendosi nella logica – propria del diritto comune – della attribuzione (al creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure con la peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva. Il fermo amministrativo dei beni mobili registrati, così, assolve ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista della espropriazione forzata intesa alla realizzazione del credito tributario, per molti versi assimilabile (con le peculiarità dovute alla natura del bene) alla iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall’art. 77 dello stesso decreto. Trattasi, dunque, non già di un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell’Amministrazione concedente, bensì di una potestà che si colloca (concettualmente) nel quadro dei diritti potestativi del creditore (ossia quella di promuovere atti conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale collocazione, in quanto la soggezione del debitore all’esercizio della potestà ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l’esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione (sul punto, ex plurimis, cfr. Consiglio di Stato, n. 421 del 3 febbraio 2006; n. 4689 del 13 settembre 2005; n. 4356 del 27 settembre 2004; TAR Emilia-Romagna n. 72 del 19 febbraio 2004; TAR Campania n. 12025 del 16 settembre 2004; TAR Emilia Romagna, n. 2516 del 25 novembre 2003; TAR Calabria n. 2110 del 20 giugno 2003; TAR Lombardia, n. 1140 del 5 maggio 2003; TAR Veneto, n. 886 del 30 gennaio 2003; Tribunale di Novara, 9 maggio 2003).
      Ciò posto, tale premessa è necessaria per comprendere quale sia il riparto di giurisdizione in materia di fermo amministrativo e per delineare gli obblighi implicitamente gravanti per l’Amministrazione che intenda disporre il fermo, al fine di verificare se, nel caso di specie, tali obblighi siano stati rispettati o meno.
       Con la legge (n. 248 del 2006) di conversione del D.L. 223/2006 (cd. Decreto *****-Bersani) è stato modificato l’art. 19 del D.Lgs. 546/92 ed il fermo amministrativo è stato inserito tra gli atti impugnabili dinanzi al Giudice Tributario. Tale disposizione, tuttavia, non ha attribuito al Giudice tributario tutta la materia del fermo amministrativo. Infatti, una lettura organica e logica delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 546/1992 consente di affermare che la disposizione introdotta con la L. 4.8.2006 n. 248 non ha affatto modificato il riparto di giurisdizione in materia di fermo amministrativo. L’art. 2 del D.Lgs. 546/92 recita testualmente (e già disponeva prima della riforma del 2006): “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gliinteressi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi ledisposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica.
       Sono in altri termini attribuite al Giudice tributario, non solo le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, ma anchetutte le questioni relative agli atti che precedono l’esecuzione forzata tributaria e quelle relative agli atti che sono compiuti dopo la notifica della cartella di pagamento ma che non hanno natura esecutiva (restandone escluse soltanto le questioni relative, stricto sensu, all’esecuzione).
       La norma, in altri termini, esclude quegli atti che rispondono a due requisiti: 1) che siano successivi alla notifica della cartella di pagamento e 2) che siano atti di esecuzione, senza tuttavia chiarire quali siano gli atti da considerare “di esecuzione”, sì che è rimesso all’interprete individuare quegli atti che, successivi alla notifica, siano anche atti “di esecuzione”.
       Orbene, stante la natura cautelare del fermo amministrativo (e dunque la sua pacifica non riconducibilità ad atto dell’esecuzione), già ai sensi dell’art. 2 – così come originariamente formulato – i fermi amministrativi disposti in conseguenza di un credito tributario dovevano essere impugnati dinanzi alle Commissioni Tributarie.
       La modifica operata sull’art. 19 del D.Lgs. 546/92, prevedendo espressamente la possibilità impugnare il fermo amministrativo di cui all’art. 86 D.P.R. 602/73 dinanzi alle Commissioni Tributarie, nulla di innovativo ha aggiunto, in quanto ha semplicemente esplicitato il contenuto di una normativa che già considerava il fermo amministrativo come misura “non esecutiva” (perché cautelare), e che già ne avrebbe dovuto imporre l’impugnazione dinanzi alle Commissioni Tributarie allorquando il credito fosse stato di natura tributaria.
       Né tantomeno può dirsi, ed è questo punto centrale della questione, che l’art. 19 intenda riferirsi a “tutti i fermi amministrativi”, per qualunque credito disposti. La norma, infatti, va necessariamente interpretata ed inquadrata in ragione del contesto normativo in cui è posta: la giurisdizione, che ai sensi degli artt. 2 e 19 D.Lgs. 546/92 è attribuita al Giudice tributario, è soltanto quella relativa ai crediti tributari e, in generale, all’intera materia “tributaria”, per cui i fermi amministrativi per i quali è competente il Giudice tributario non possono che essere i fermi disposti per crediti tributari.
       E’ evidente cioè che, allorquando l’art. 19 (lett. e-ter) D.Lgs. 546/92 richiama “i fermi amministrativi”, esso non può essere letto indipendentemente dall’art. 2 (che individua la materia nella quale il fermo è stato disposto), e pertanto è indubbio che la norma possa applicarsi soltanto ai fermi amministrativi disposti nell’ambito della materia attribuita alla competenza del Giudice Tributario.
        Alla luce di tali considerazioni, la competenza giurisdizionale va ripartita secondo il seguente criterio: se il fermo amministrativo è disposto per crediti tributari, la relativa opposizione andrà sollevata dinanzi al Giudice Tributario; se, invece, il credito per il quale viene disposto il fermo ha natura “non tributaria” (es. sanzione amministrativa), il Giudice competente sarà quello individuato secondo i criteri normali che presiedono (ex art. 103 Cost.) al riparto di giurisdizione: e poiché il fermo ha natura cautelare (e non è un atto amministrativo), il Giudice dinanzi al quale proporre l’opposizione sarà il Giudice ordinario.
        Orbene, l’interpretazione dell’art. 19 ha rilievo centrale nella misura in cui sono recisamente da escludersi quelle opinioni, pure manifestate all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 248/2006, secondo le quali il Giudice tributario sarebbe stato individuato dal legislatore del 2006 quale Giudice giurisdizionalmente competente per tutti i fermi amministrativi.
         E tale circostanza è decisiva, anche nel caso in esame, perché, delineandosi una diversa giurisdizione in funzione della natura del credito, muterà conseguentemente la tutela del debitore e gli obblighi che fanno capo all’Amministrazione.
        Infatti, è innegabile che, se al momento di irrogazione del fermo, il debitore non conosce la natura del credito, egli, proprio perché sussiste una diversa giurisdizione in ragione del credito, è messo nella condizione di non poter correttamente esercitare il proprio diritto di difesa (costituzionalmente garantito ex art. 24), in quanto non potrà individuare il Giudice dinanzi al quale promuovere l’eventuale opposizione.
        Come risulta pacificamente da un esame del “provvedimento di fermo di beni mobili registrati”, notificato al ricorrente, in esso vi è solo un generico riferimento alle cartelle di pagamento scadute, senza che sia possibile verificare quale sia il contenuto delle stesse.
        L’Amministrazione, dunque, omettendo l’indicazione della natura del credito vantato e preteso, non solo impedisce al debitore qualunque eventuale contestazione, ma – e tanto rileva ancor più – lo pone nella condizione di non poter individuare il Giudice dinanzi al quale far valere le proprie pretese (qualsiasi esse siano).
        Tale circostanza, determinando una inaccettabile compressione del diritto di difesa del cittadino-debitore (in quanto si vedrà costretto a promuovere un’azione potenzialmente priva di uno dei suoi requisiti, essendo la giurisdizione una delle condizioni dell’azione), delinea una situazione di abuso da parte dell’Amministrazione creditrice e comporta, conseguentemente, la necessaria declaratoria di illiceità del fermo amministrativo disposto e, come tale, di competenza di questo giudice.
        Peraltro, sotto altro profilo, si deve evidenziare anche l’illegittimità del fermo, così come disposto dalla concessionaria, per violazione del Regolamento di cui al DM n. 503/98 e della L. n. 203/05. Infatti, nessuna delle prescrizioni contenute nel citato D.M. è stata osservata dalla E.TR. s.p.a..
[omissis]
       Così come innanzi rilevate, la illiceità, illegittimità ed arbitrarietà della condotta della E.TR. s.p.a., costituiscono fonte di responsabilità risarcitoria.             
       Per tutte le motivazioni sopradette, va disposto l’annullamento del “fermo” .
       Considerato che il veicolo è stato sottoposto al “fermo” dal 2.10 al 17.10.2006, data di sospensione del provvedimento, va riconosciuto il risarcimento del danno correlato al mancato utilizzo del veicolo, nella misura ritenuta equa di € 300,00.
       Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
            Il Giudice di pace, così provvede:
– rigetta l’eccepito difetto di giurisdizione e di incompetenza per materia, nonché di legittimazione ad agire;
– accoglie l’opposizione e per l’effetto, dichiara l’illiceità del fermo amministrativo impugnato e ne ordina la cancellazione al Conservatore del P.R.A. di Bari a spese della E.TR s.p.a.;
– condanna la E.TR. s.p.a. al pagamento, in favore dell’istante, di € 300,00 a titolo di risarcimento, nonché delle spese di causa che liquida in favore del difensore dell’istante, distrattario, in € 680,00 di cui € 370,00 per diritti, oltre ***, Cap e spese generali.
          Bari 19.2.2007
IL GIUDICE DI PACE
Avv. ******** ******
     

Cardanobile Fabio

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