Fecondazione assistita: nuovo dubbio di legittimità costituzionale per la L. 40/2004

Redazione 29/01/14
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Anna Costagliola

Una nuova questione di legittimità costituzionale ha investito la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA). Sollevata dal Tribunale di Roma, essa coinvolge quella parte della normativa che non consente il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili.

Il caso riguarda una coppia di coniugi in cui la moglie, portatrice sana di una malattia genetica ereditaria, in considerazione di una pregressa gravidanza conclusasi con il ricorso alla dolorosa esperienza di un aborto teraupetico per essere risultato il nascituro affetto dalla medesima patologia, si è rivolta ad un centro specialistico per poter accedere ad un trattamento di procreazione medicalmente assistita e, nell’ambito di questa, alla diagnosi genetica preimpianto (PGD) in modo da ottenere informazioni sullo stato di salute dell’embrione prima del suo impianto in utero. Detto centro, ritenendo la coppia non affetta da sterilità od infertilità certificata, e dunque non legittimata all’accesso ai trattamenti previsti ai sensi della L. 40/2004, ha rifiutato di praticare i trattamenti richiesti. I coniugi, pertanto, si sono rivolti al Tribunale con ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. ritenendo che attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della L.40/2004 si potesse consentire l’accesso alle tecniche di PMA anche alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili al fine di poter eseguire indagini diagnostiche sull’embrione.

In occasione del ricorso, la coppia ha fatto riferimento, per un caso analogo recente (28/08/2012), alla sentenza con cui la Corte di Strasburgo ha accertato che la legislazione italiana, nella parte in cui consente alle sole coppie sterili o infertili (o quelle in cui l’uomo è portatore di malattie virali trasmissibili, come da linee Guida 11/04/2008, n. 31639) l’accesso alle tecniche di PMA, ha violato gli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Ciò, secondo i ricorrenti, ha fatto emergere l’incoerenza del sistema normativo italiano che, da un parte, vieta l’impianto dei soli embrioni che siano risultati non affetti da malattia e, dall’altra, consente alla donna di interrompere la gravidanza quando venga accertato che il feto sia affetto dalla medesima patologia, con sproporzione dell’ingerenza del diritto nazionale rispetto alla vita privata e familiare della coppia.

Tanto premesso, ha ritenuto il Tribunale adito che le disposizioni della L. 40/2004 che circoscrivono il ricorso alle tecniche ai soli casi di infertilità e sterilità siano in contrasto con gli art. 2, 3 e 32 Cost., violino il diritto all’autodeterminazione nelle scelte procreative, il principio di uguaglianza, di ragionevolezza e il diritto alla salute, costringendo le coppie fertili, portatrici di malattia geneticamente trasmissibile, come nel caso in esame, ad instaurare una gravidanza naturale e successivamente a praticare un eventuale aborto.

Quanto al contrasto con l’art. 2 Cost., poichè tra i diritti soggettivi inviolabili vi è il diritto della coppia a un figlio «sano» e al diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative, tali diritti sarebbero irrimediabilmente lesi dalla limitazione del ricorso alle tecniche di PMA da parte di coppie che, pur non sterili o infertili, rischiano però concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili di cui sono portatori. Tale limite risulta una ingerenza nella vita della coppia come stabilito anche dall’art. 8 CEDU nell’interpretazione fornita dalla Corte EDU nel caso Costa e Pavan c.Italia.

L’esclusione della PMA per le coppie fertili portatrici di patologia trasmissibile risulta in contrasto anche con l’art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza, quale corollario del principio di uguaglianza, comportando la conseguenza irragionevole, paradossale ed incoerente di costringere queste coppie, desiderose di avere un figlio non affetto dalla patologia di cui, nel caso di specie, i ricorrenti ben conoscono gli effetti, di avere una gravidanza naturale e ricorrere alla scelta tragica dell’aborto terapeutico del feto, consentita dalla L. 194/1978. Questa, infatti, potrebbe avere conseguenze ben più gravi sulla salute psicofisica della donna rispetto alla selezione dell’embrione successiva alla diagnosi genetica preimpianto, con conseguente violazione anche dell’art. 32 Cost.

Infine, le disposizioni censurate della L. 40/2004, oltre a determinare un’indebita ingerenza nella vita privata e familiare dei ricorrenti, non proporzionale e non necessaria alla protezione dei diritti degli stessi, si pongono anche in contrasto con il principio di uguaglianza, sotto il profilo della discriminazione delle coppie fertili, portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, rispetto alle coppie sterili o infertili o in cui l’uomo risulti affetto da patologie sessualmente trasmissibili, che invece possono ricorrere alle tecniche di PMA in base alla legge e conseguentemente accedere alla PGD.

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