Esercizio del diritto di difesa: limiti della scriminante

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L’esercizio di un diritto ex art. 51 c.p. rappresenta una delle cause di giustificazione del nostro ordinamento. Come noto, quando un soggetto agisce in presenza di una causa di giustificazione, il suo comportamento non è antigiuridico e, di conseguenza, l’autore non è punibile (il fatto non sussiste o non costituisce reato, a seconda della teoria relativa alla struttura del reato cui si aderisce) [1].

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Indice

1. Introduzione

Posto che i diritti di cui un soggetto può avvalersi sono molteplici, il presente contributo intende soffermarsi su uno in particolare: il diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.). Vi sono infatti alcune situazioni limite, in cui occorre chiedersi se il proprio comportamento integri o meno una fattispecie di reato o se, piuttosto, difetti il requisito dell’antigiuridicità potendosi applicare la scriminante di cui all’art. 51 c.p.
La giurisprudenza, con pronunce anche recenti, si è soffermata sul tema in diverse occasioni in cui i comportamenti assunti dal soggetto agente avrebbero potuto – astrattamente – integrare ora una fattispecie di reato ora un’altra, valutando caso per caso se l’autore della condotta non avesse piuttosto agito nel rispetto del proprio diritto di difesa, con ciò risultando il comportamento assunto pienamente rispettoso della legge. Di seguito esamineremo alcuni di questi casi, in particolare il rapporto tra l’esercizio del diritto di difesa e:

  • la calunnia ex art. 368 c.p.;
  • la registrazione e l’intercettazione di conversazioni da produrre in giudizio per finalità difensive;
  • la ricettazione ex art. 648 c.p.

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2. Diritto di difesa e calunnia ex art. 368 c.p.


Uno dei casi rispetto ai quali si è pronunciata la Suprema Corte è il limite entro cui opera l’esercizio del diritto di difesa affinché non sia integrato il delitto di calunnia ex art. 368 c.p., ai sensi del quale è punito “chiunque con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia l’obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato […]”. Più precisamente, dunque, ci si è chiesti: può un soggetto accusare taluno che egli sa essere innocente per difendersi in sede giudiziaria (sia che sia imputato, sia, ad esempio, nel corso di una causa civile) senza rispondere di calunnia per aver esercitato il proprio diritto di difesa? La risposta è – per l’orientamento giurisprudenziale più recente – affermativa. Tuttavia, occorre individuare quando e come il diritto di difesa rischia di essere travalicato, con ciò non potendo più essere invocato, tanto che si finirebbe col rispondere del reato di calunnia. I giudici di legittimità, nel trattare un caso di questa tipologia [2] (Cass. pen., sez. VI, n. 33754/2022) hanno ripercorso le due diverse correnti esistenti fino a quel momento
–       secondo una prima impostazione il nesso tra esercizio del diritto di difesa e svolgimento dell’attività difensiva è travalicato e il delitto di calunnia risulta integrato a quando l’imputato non si limita a ribadire l’insussistenza delle contestazioni mosse a proprio carico, ma attribuisce a chi lo accusa l’incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, pur sapendo che quest’ultimo è in realtà innocente, in modo che possa essere avviata un’indagine penale da parte dell’Autorità;
–       secondo altra impostazione, invece, tale atteggiamento viene ritenuto scriminato dall’esercizio del diritto di difesa, purché appaia strettamente essenziale per la confutazione dell’accusa a proprio carico indipendentemente dal grado di articolazione dell’accusa rivolta al terzo che si sa essere innocente.
Ebbene, l’orientamento giurisprudenziale più recente ha condiviso tale ultima impostazione, ritenendo dunque legittimo il comportamento di un soggetto che – eventualmente – incolpi taluno che egli sa essere innocente per esercitare il proprio diritto di difesa, sempre purché l’incolpazione del soggetto sia essenziale, in quanto priva di alternative ragionevoli per la negazione dell’addebito a proprio carico, circostanza questa da valutare in relazione al singolo caso concreto.
Pertanto, quando l’esercizio del proprio diritto di difesa si traduce nell’incolpazione di altro soggetto la scriminante di cui all’art. 51 c.p. è sì invocabile ma non senza precisi limiti.
Nel caso trattato dalla pronuncia di cui in nota, l’imputato (del delitto di calunnia) presentava ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova, la quale confermava la condanna a suo carico emessa a seguito di giudizio abbreviato. Le ragioni della condanna nascevano da accuse che il ricorrente aveva rivolto nei confronti di altra persona (i.e., controparte) che sapeva essere innocente, per difendersi in sede civile con atto di comparsa di costituzione e risposta. La Suprema Corte, in conclusione, annullava senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello, riconoscendo la presenza della scriminante di cui all’art. 51 c.p.

3. Diritto di difesa e intercettazione o registrazione di conversazione

Passiamo poi ad esaminare il rapporto tra esercizio del diritto di difesa e captazione occulta di conversazioni. Il paragrafo in oggetto tratterà alcune riflessioni relative all’eventualità che un soggetto registri o intercetti delle conversazioni per esercitare il proprio diritto di difesa, quantomeno in determinati casi, non potendo ovviamente ipotizzare ogni situazione astrattamente configurabile con la conseguenza che ogni riflessione andrebbe riadattata al caso concreto.
Partiamo dalla differenza tra registrazione e intercettazione: quest’ultima, a dispetto della registrazione, presuppone l’estraneità alla conversazione del soggetto autore della captazione. Quindi, chi effettua una registrazione è parte della conversazione registrata, o è ammesso ad assistervi. Chi invece effettua un’intercettazione sta captando quanto detto all’insaputa di chi conversa, che deve aver assunto un comportamento intenzionato ad escludere – seppur invano – altri dalla conversazione. Entrambe possono essere svolte fra presenti (nel caso di intercettazione si parlerà di intercettazione ambientale) o tra soggetti che comunicano a distanza. Ad esempio, nel caso di intercettazioni, si sente spesso parlare di intercettazioni telefoniche. Le ragioni per cui un soggetto potrebbe captare una conversazione a insaputa dell’altro per finalità difensive sono diverse. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla necessità di acquisire la prova di un’eventuale estorsione o di maltrattamenti o infedeltà coniugale, da far valere anche in sede di separazione o nell’eventuale e successivo giudizio di divorzio per ottenere la separazione con addebito.
Ad ogni modo, quanto segue avrà ad oggetto esclusivamente l’analisi di ipotesi in cui la captazione venga utilizzata come prova in sede penale per l’esercizio del proprio diritto di difesa. A tal proposito l’articolo 191 c.p.p. fa espresso divieto al giudice di utilizzare prove illecitamente acquisite, quando, dall’altra parte, l’ordinamento processuale civile non prevede norma analoga, tanto che, si sono verificati casi in cui una captazione che non avrebbe potuto trovare ingresso in sede penale come prova, è stata invece utilizzata in sede civile [3].
Ebbene, tornando all’ambito penalistico, l’intercettazione affinché sia legittima deve necessariamente rispettare i requisiti di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p. Più in particolare questa è un mezzo di ricerca della prova ammissibile solo in casi e per fattispecie tassativamente previsti dal nostro ordinamento, su richiesta del Pubblico Ministero e conseguente autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari con decreto motivato, quando tale mezzo risulta assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini, nonché in presenza di gravi indizi di reato. Ancora, la legge stabilisce i casi in cui e le modalità con cui sono ammesse le c.d. intercettazioni preventive.
Ne segue che l’intercettazione (che in ogni caso è un mezzo di ricerca della prova e non una prova) arbitrariamente svolta da un individuo non può essere valido strumento per l’esercizio del proprio diritto di difesa in sede penale e, a seconda dei casi, al di là del fatto che la captazione risulti inutilizzabile in sede processuale, la condotta assunta potrebbe integrare ora una fattispecie di reato ora un’altra [4].
Diverse considerazioni, invece, possono essere svolte con riferimento alle registrazioni di conversazioni, sia fra presenti che rese con strumenti di trasmissione. Sul punto, infatti, la Cassazione ha, anche di recente, ricordato come “la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa[5].
Le registrazioni possono anche essere utilizzate come prova in sede civile, assumendo a tutti gli effetti la caratteristica di riproduzioni meccaniche ai sensi dell’art. 2712 c.c.
In linea generale, dunque, la registrazione di una conversazione è attività lecita. Quanto all’utilizzo che si fa di tale registrazione, invece, bisogna prestare attenzione. Per quanto di interesse in questa sede, è pacifico, in giurisprudenza, che la registrazione possa essere utilizzata per l’esercizio del proprio diritto di difesa in sede giudiziaria, costituendo anche una forma di autotutela, come ad esempio nel caso di chi sia vittima di un’estorsione [6].
Certo è che altro aspetto cui prestare attenzione è dove si svolge la registrazione. Qualora ciò avvenga, infatti, in un luogo di privata dimora, di primo acchito, si potrebbe ritenere integrato il rischio di incorrere nel delitto di cui all’art. 615 bis c.p., interferenze illecite nella vita privata, a mente del quale: “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo […].”.
Tuttavia, verosimilmente, la condotta di cui all’art. 615 bis c.p. – attuata attraverso la registrazione e non, si ribadisce, tramite intercettazione – potrebbe essere scriminata quando la registrazione è motivata dalla necessità di far valere un proprio diritto in sede giudiziaria. Si pensi ad esempio all’ipotesi di chi registri una conversazione con l’autore di maltrattamenti in famiglia operati all’interno della propria dimora [7].
Ciò detto, occorre evidenziare l’esistenza di un dibattito giurisprudenziale che interessa il delitto di cui all’art. 615 bis c.p., e che ruota attorno alla portata dell’avverbio “indebitamente”. In sintesi, l’orientamento maggioritario – suffragato anche da una recente pronuncia della Cassazione [8] – ritiene che il soggetto legittimato a trovarsi nel luogo di privata dimora, sia pure estemporaneamente, che si procuri immagini o notizie della vita privata dell’altro in tale sede mediante strumenti di ripresa visiva o sonora, non possa rispondere a prescindere del delitto di interferenze illecite nella vita privata, poiché non si sarebbe procurato indebitamente immagini o notizie della vita privata dell’altro, non essendo estraneo agli atti di vita privata oggetto di captazione.
Una simile lettura, dunque, varrebbe ad escludere la configurabilità del delitto di interferenze illecite nella vita privata – quando chi registra è legittimato a trovarsi nel luogo di privata dimora – a prescindere dal fatto che la registrazione sia motivata dall’esercizio del diritto di difesa e dalla configurabilità di tale scriminante, perché porterebbe alla conclusione che il fatto non sussiste anche quando la registrazione non abbia alcuna connessione con tale diritto (si pensi alle ipotesi in cui un partner registri un rapporto intimo, di nascosto, con l’altro, nella propria dimora, per cui si potrebbe allora ritenere integrato il delitto di cui all’art. 612 ter c.p. – c.d. revenge porn – laddove il materiale venga però diffuso senza il consenso).

4. Diritto di difesa e ricettazione ex art. 648 c.p.

Un altro caso rispetto al quale si è espressa la Cassazione è il rapporto tra l’esercizio del diritto di difesa e la ricettazione. In estrema sintesi, può un soggetto ricevere materiale – provento di un delitto, non commesso o concorso a commettere – per esercitare il proprio diritto di difesa, risultando con ciò il proprio atteggiamento scriminato dall’art. 51 c.p. senza dunque rispondere di ricettazione? Pur non volendo generalizzare, la risposta risulterebbe essere affermativa, per quanto ogni caso debba essere sempre valutato singolarmente. In estrema sintesi, nel caso posto all’attenzione dei giudici di legittimità la vicenda si era svolta come segue [9]: un individuo accedeva abusivamente al sistema informatico di un’agenzia investigativa, apprendendo così dell’esistenza di files e dati asseritamente lesivi della reputazione di altra persona, che prontamente informava. Il destinatario della notizia e delle paventate diffamazioni, pertanto, si faceva dare il materiale illecitamente acquisito su un supporto CD dal soggetto che lo aveva informato, e, di conseguenza, risultava imputato del delitto di ricettazione ex art. 648 c.p., essendo il CD provento del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico (art. 615 ter c.p.), commesso dall’informatore, e acquisito al fine di ricavarne un vantaggio. La Suprema Corte escludeva tuttavia la ricettazione in quanto riteneva sussistente la scriminante dell’esercizio del proprio diritto di difesa, poiché la ricezione del CD da parte dell’imputato era esclusivamente finalizzata alla produzione all’Autorità giudiziaria di materiale acquisito in proprio favore contro le paventate diffamazioni subite.

5. Conclusioni

In conclusione, l’esercizio del diritto di difesa vale a scriminare situazioni che di per sé potrebbero integrare fattispecie di reato. Tuttavia, l’applicabilità della causa di giustificazione in questione andrà valutata caso per caso, nel pieno rispetto dei limiti di volta in volta chiariti dalla giurisprudenza laddove sussistano margini di dubbio, non potendo abusare di tale diritto realizzando finalità non consentite.

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Note

  1. [1]

    Da un lato, la teoria bipartita vede il reato composto dall’elemento oggettivo – che racchiude anche l’antigiuridicità, per cui qualsivoglia causa di giustificazione deve ovviamente mancare affinché sia integrabile il fatto tipico – e dall’elemento soggettivo, sicché la formula assolutoria ove l’autore abbia agito in presenza di una causa di giustificazione sarebbe “perché il fatto non sussiste”. Dall’altro, le teorie tripartita e quadripartita vedono l’antigiuridicità come elemento a sé, sicché la formula assolutoria in presenza di una causa di giustificazione sarebbe piuttosto “perché il fatto non costituisce reato”. Secondo tale ultima concezione, infatti, l’antigiuridicità non è elemento oggettivo del reato, e dunque, laddove l’autore abbia agito in presenza di una causa di giustificazione, il fatto è si sussistente, ma non costituisce reato poiché è scriminato dalla causa di giustificazione che, nel caso che ci occupa, sarebbe l’esercizio di un diritto. Per la valorizzazione della teoria c.d. bipartita del reato cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, 16ª ed., Milano, 2003, 214 ss.; per la teoria tripartita v. G. FIANDACA, F. MUSCO, Diritto penale. Parte Generale, 7ª ed., Bologna, 2014, 190 ss., (il reato è un fatto umano antigiuridico colpevole); quadripartita cfr. G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, 6ª ed., Milano, 2017, 199 ss. (il reato è un fatto umano antigiuridico colpevole punibile).

  2. [2]

    Cfr. Cass. pen., sez. VI, 13.09.2022, n. 33754.

  3. [3]

    Cfr. Corte appello Reggio Calabria, Sez. Civile, 11.05.2022, n.345. La pronuncia in oggetto tratta il caso di una captazione che verosimilmente in sede penale non si sarebbe potuta utilizzare come prova poiché non rispettava le caratteristiche della registrazione, presentandosi piuttosto come un’intercettazione svolta da un privato, utilizzata invece in sede civile per dimostrare l’infedeltà coniugale della parte appellante, con conseguente conferma dell’addebito della separazione a carico di quest’ultima. Nel caso di specie, poi, la captazione è stata in ogni caso considerata riproduzione meccanica ai sensi dell’art. 2712 c.c.
    Il tema dell’utilizzabilità delle prove precostituite in sede civile che appaiano illecitamente acquisite è in ogni caso dibattuto.  

  4. [4]

    Si veda, a titolo esemplificativo, Cass. pen., sez. V, 30.11.2006, n.39827, di cui si riporta lo stralcio che segue: “Come risulta dalla sentenza impugnata, è indiscusso che Omissis registrò indebitamente le conversazioni che la moglie aveva non solo con lui (nel qual caso non sarebbe configurabile un’intercettazione) ma anche con terzi. Sicché, pur prescindendo dalla questione di fatto relativa all’effettiva convivenza dei coniugi, non v’è dubbio che Omissis operò delle intercettazioni ambientali in ambito domiciliare ai danni della moglie. E questo comportamento è idoneo a integrare gli estremi del reato previsto dall’art. 615 bis c.p. Deve ritenersi infatti che, mentre l’art. 617 bis c.p. prevede come punibili le illecite intercettazioni di conversazioni telegrafiche o telefoniche, vanno invece punite a norma l’art. 615 bis c.p. appunto le intercettazioni ambientali eseguite indebitamente in ambito domiciliare”. Cfr., ancora, Cass. pen., sez. V, 13.08.2014, n. 35681, la quale ha ribadito l’inutilizzabilità dell’intercettazione di conversazioni tra il coniuge e un terzo, effettuata dall’altro coniuge, dalla quale si evince l’infedeltà coniugale dell’intercettata.  

  5. [5]

    V. Cass. pen., sez. II, 03.11.2022, n.41536. Per il caso ancor più delicato e non trattato in questa sede di registrazione occulta effettuata da un operatore di polizia giudiziaria cfr. Cass. Pen., sez. un., 24.09.2003, n. 36747

  6. [6]

    Così Cass. pen., sez. un., 24.09.2003, n. 36747, pag. 7 e ss., la quale afferma che “L’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234/1° c.p.p., che qualifica ‘documento’ tutto ciò che rappresenta ’fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo’; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un’estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale”.

  7. [7]

    Cfr., ad esempio, Tribunale Bologna, sez. I, sent., 11.04.2023, n. 1830, il quale condannava un soggetto imputato del delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., evincibili anche alla luce di registrazioni effettuate di nascosto da una delle persone offese, in casa, dove si consumava la gran parte delle violenze fisiche e verbali.

  8. [8]

    Cass. pen., sez. V, 08.06.2023, n. 24848.

  9. [9]

    V. Cass. pen., sez. II, 21.01.2021, n. 2457.

Veronica De Guzzis

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