Diritto di difesa e illegittimo rigetto di una istanza di differimento

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Indice:

1. Premesse.

2. La presunta violazione   del «diritto alla difesa» e l’invocato disciplinare codicistico dell’art. 420ter co.1 c.p.p. .

            GIURISPRUDENZA: art. 420ter, comma 1,            c.p.p.; art. 24 Cost. .                                                                 

1.Premesse.

La pronuncia n. 29874 curata dalla quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, e risalente al 04.05.2021, in oggetto di analisi, presenta a pedige della pagina 2, una ipotesi di irregolarità d’impugnabilità, in tema di:

«Illegittimo rigetto dell’istanza di differimento [che][1] aveva determinato un grave pregiudizio al diritto di difesa dell’imputato.».

L’illecito contestato, in sede giudiziale, evoca i reati di ‘bancarotta preferenziale’ e ‘bancarotta semplice’, unificati, nel circoscritto ambito di un’unica azione delittuosa, quale quella di ‘bancarotta preferenziale’, aggravata ai sensi dell’art. 219, comma 2, n. 1, del r.d. n. 267 del 16 marzo 1942[2], così come deputatamente acclaratosi in materia giudiziale.

Le pronunce a cura della sezione 5, n. 673 del 21/11/2013, dep. 2014, Lippi, Rv. 257963, e n. 15712 del 12/03/2014, Consol, Rv. 260221[3], ne evidenziano i seguenti profili di diritto sostanziale, ovvero:

«L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l’atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri.». (Sezione 5, n. 673 del 21/11/2013, dep. 2014, Lippi, Rv. 257963).

E:

«Peraltro, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta   preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito.». (Sezione 5, n. 15712 del 12/03/2014, Consol, Rv. 260221).

2.La presunta violazione del «diritto alla difesa» e l’invocato disciplinare codicistico dell’art. 420ter co.1[4] c.p.p. .

L’art. 420ter c.p.p., nel suo comma 1, evidenzia che:

«1.Quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d’ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l’avviso all’imputato, a norma dell’art.   419, comma 1.».

I limiti, minimi e massimi, edittali, giuridicamente sopraggiungenti, attraverso la concreta applicazione dettata da tale comma 1, mettono in nuce, elementi, come:

a)il caso fortuito;

b)la forza maggiore;

c)o altro legittimo impedimento,

i quali, possono dare luogo a una effettiva «impossibilità di comparizione», per l’imputato, o reo, nei termini di una prefissata udienza.

Questi, così enunciati, sono i c.d. «punti di forza», distinguenti il descritto comma 1, «punti di forza», per i quali, tenacemente, s’incornicia, e suggella, ulteriormente (come noto), il costituzionale diktat del «diritto alla difesa», cui all’art. 24 Cost. .

Ai sensi di quest’ultimo, invero, è rilevabile che:

«1.Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

            2.La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

            3.Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni     giurisdizione.

            4.La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.».

In misura concludente, dunque, laddove (e, non è il caso evidenziato dall’appellante [reo/imputato], così come pedissequamente sottolineato nella pronuncia di merito della Suprema Corte), si palesasse una «illiceità» nel disconoscimento del «legittimo impedimento», così come posto in essere nei termini del comma 1 dell’art. 420ter c.p.p., l’inviolabilità della statuizione, evidenziante il «diritto» a un personale «arbitrio», nell’adire un giudizio in propria tutela e/o difesa di «diritti», o «interessi legittimi» (cui al comma 1 dell’art. 24 Cost.), determinerebbe il susseguente «giudiziale» e necessario orientamento alla «riparabilità», da acclararsi ad opera dello stesso giudiziario ordinamento, e votarsi alla reintegrazione della violazione in sé, quanto alla stessa predeterminazione di una giustapposta misura di «sanzionamento», in virtù, altresì, di un evidente alterato status naturae,  consono e probo del conseguenziale, principio di cognizione, legato alla violazione di un preventivo rispetto all’«equità processuale».

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Note

[1] Il corsivo è della scrivente.

[2] «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa» con pubblicazione in GU n.81 del 06.04.1942.

[3] Rese evidenti in contesto di sentenza.

[4] «Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore», Libro V, «Indagini e udienza», Titolo IX, «Udienza preliminare».

Sentenza collegata

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Lucia D’Angelo

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