Nel variegato panorama delle esenzioni fiscali e, nello specifico, delle esenzioni IMU (Imposta Municipale Propria), esiste (oltre al ben più noto fenomeno della “prima casa”) una peculiare casistica che è quella degli immobili adibiti ad “alloggio sociale”.
Ai sensi dell’art. 1, c. 740 e ss. della L. n. 160/2019[1], difatti, “il presupposto dell’imposta è il possesso di immobili. Il possesso dell’abitazione principale o assimilata, come definita alle lettere b) e c) del comma 741, non costituisce presupposto dell’imposta (…). (…) c) sono altresì considerate abitazioni principali: (…) 3) i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008, adibiti ad abitazione principale”.
Con il presente contributo si cercherà di approfondire il tema, passando in rassegna la normativa cogente nonché i chiarimenti provenienti dall’Amministrazione e dai giudici, pur in presenza di orientamenti ermeneutici contrastanti.
Indice
1. La nozione di “social housing” tra vaghezza interpretativa e regimi tributari IMU differenti
Secondo quanto si legge all’art. 1 del succitato D.M. 2008/MIT, “E’ definito «alloggio sociale» l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. (…) Il servizio di edilizia residenziale sociale viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in locazione (…), perseguendo l’integrazione di diverse fasce sociali e concorrendo al miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari”.
Con tale fonte, pertanto, in attuazione della Decisione 2005/842 della Commissione Europea, lo Stato italiano ha fornito definizione, caratteristiche e requisiti dei c.d. “alloggi sociali”, che rappresentano il prodotto di una ben precisa politica di edilizia (la cui attuazione, come vedremo, è demandata alle singole regioni) rivolta a categorie di persone particolarmente svantaggiate con l’obiettivo di accoglierle, integrarle ed implementarne la coesione sociale.
Esiste, al contempo, un’altra categoria di immobili che sconta un particolare beneficio, ossia quelli adibiti a “case popolari”. La differenza sostanziale tra le due discipline è data dal fatto che a tali cespiti si applica una detrazione d’imposta, non l’esenzione dal tributo.
Ai sensi dell’art. 1, c. 749 della summenzionata Legge, infatti, “Dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo (…) si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro 200 rapportati al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; (…) La suddetta detrazione si applica agli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”.
Nell’ottica di usufruire del regime fiscale più favorevole, tuttavia, la distinzione tra le due tipologie di mobili non è, all’atto pratico – per le ragioni che vedremo – molto agevole, motivo per cui da parecchi anni gli enti “ERP” di tutta Italia si muovono all’interno di un contesto normativo e giurisprudenziale non molto chiaro.
2. I tentativi interpretativi avanzati da prassi amministrativa e giurisprudenza
Come anticipato, ai fini tributari e sostanziali non è immediato capire che differenza che c’è tra “alloggio sociale” e case popolari. Bisogna prestare attenzione non solo alle caratteristiche degli immobili, ma anche alle modalità e agli scopi sottesi alla loro assegnazione.
Con riguardo ai primi due aspetti, la Corte di Cassazione (Sez. V – ordinanza n. 27992/2024) ha di recente ribadito un principio, già affermato in precedenza, secondo cui l’esenzione in esame non si applica alla totalità alloggi assegnati dagli (ex) Istituti Autonomi per le Case Popolari (IACP), ma solo a quelli che rispettano i parametri fissati dal D.M. 2008/MIT, in quanto destinati a soddisfare la finalità pubblica di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati, ovvero non in grado di avere accesso alla locazione di alloggi nel libero mercato[1]. Il Supremo Collegio prosegue chiarendo che gli immobili che devono presentare tali caratteristiche sono quelli istituiti in attuazione dell’art. 93 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
A mente di tale disposizione, “Sono trasferite alle regioni le funzioni amministrative statali concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attività di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale nonché le funzioni connesse alle relative procedure di finanziamento. Sono altresì trasferite le funzioni statali relative agli I.A.C.P. fermo restando il potere alle regioni di cui all’art. 13 di stabilire soluzioni organizzative diverse da esercitarsi in conformità ai principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali; in mancanza di questa legge le regioni potranno esercitare i suddetti poteri dal 1° gennaio 1979. Sono inoltre trasferite tutte le funzioni esercitate da amministrazioni, aziende o enti pubblici statali relativi alla realizzazione di alloggi (…)”.
Il fatto che gli Ermellini effettuino tale richiamo è molto importante poiché, dinanzi a una definizione ministeriale di “alloggio sociale” vaga, le leggi regionali dovrebbero (e il condizionale si spiega più avanti) fare maggiore chiarezza completandosi con la normativa tributaria.
Dopo essersi concentrata sui soggetti affidatari (persone svantaggiate in cerca di integrazione), la Cassazione conclude sottolineando che rientrano nella definizione di “alloggi sociali” quelli realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche – quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico – destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà (art. 1 comma 3).
I chiarimenti sulla disciplina sono anche di natura amministrativa: nella recente Risoluzione n. 2/DF il MEF, rispondendo ai dubbi di parte contribuente, ha posto il focus sul fatto che l’alloggio (già) assegnato, per scontare l’esenzione, deve anzitutto avere i requisiti dell’abitazione principale, quale residenza anagrafica e dimora abituale dell’assegnatario. La Risposta approfondisce inoltre un altro importante aspetto, ossia che l’alloggio sociale sconta il beneficio (in via transitoria) anche se dev’essere ancora assegnato, ma solo in quanto siano in fase di espletamento le pratiche amministrative a ciò necessarie (che devono essere ovviamente documentate)[2].
Nel tentativo di fare ancora maggiore chiarezza (oppure, se la si vede dal lato opposto, confondere ancora di più le idee), la Corte di Giustizia Tributaria delle Marche ha di recente respinto l’appello di un ente E.R.P. marchigiano statuendo che non è sufficiente dichiarare che gli immobili perseguono fini sociali, dovendo questi ultimi essere altresì supportati da rigorose prove. Gli immobili, insomma, non solo devono essere destinati a categorie svantaggiate di persone, ma alla loro assegnazione non dev’essere sotteso lo scopo di lucro[3].
Da questo si evince, in maniera sempre più chiara, che l’alloggio sociale differisce dalla casa popolare perché non solo è destinato a persone svantaggiate, ma in quanto persegue un fine sociale di inclusione ancora più pregnante.
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3. Il frammentato panorama giurisprudenziale
Il Collegio tributario marchigiano, nel precedente da ultimo commentato, chiarisce un aspetto già emerso al § 3: la fonte normativa cui appellarsi per una maggiore chiarezza interpretativa del concetto di “alloggio sociale” è la legge regionale. Sfortunatamente, nel caso citato, la Legge Regionale delle Marche n. 36/2005 non è giunta in aiuto: avrebbe dovuto essere il contribuente, in via supplettiva, a dimostrare – tramite documentazione a supporto – che l’alloggio presentava le caratteristiche di cui al D.M. 2008/MIT.
I giudici marchigiani hanno quindi ripreso un principio espresso dalla Suprema Corte, secondo cui l’esenzione è applicabile unicamente in presenza di una destinazione sociale documentata, in piena linea con l’Art. 14 delle Preleggi, il quale – come noto – impone criteri ermeneutici stringenti con riguardo alle norme fiscali agevolative.
Tale impostazione, invero, tende a garantire un’applicazione più equa e uniforme del tributo, nel tentativo di evitare disparità nell’applicazione dell’imposta e riducendo l’area di discrezionalità nella concessione dei benefici fiscali, dovendosi ricorrere a criteri di valutazione oggettivi e documentati.
Dimostrare il diritto a godere dell’esenzione in esame, in tali frangenti, risulta quindi più difficile stante la contestuale vaghezza interpretativa.
Diversamente dal caso marchigiano, alcune Regioni italiane hanno implementato un assetto normativo atto a delineare la differenza tra le due categorie di immobili. A tale proposito, la (fu) Commissione Tributaria Provinciale di Imperia, nella sentenza n. 336/2021, chiarisce come la Regione Liguria si sia dotata di disposizioni specifiche in merito, che differenziano le singole fattispecie:
- L.R. 3 dicembre 2007, n. 38 – Art. 3 à “La Regione promuove la realizzazione del sistema dell’intervento pubblico, finalizzato ad assicurare il diritto all’abitazione ai soggetti appartenenti alle aree sociali indicate nelle seguenti lettere ed alle particolari categorie sociali individuate dalla legislazione vigente:
- L.R. 3 dicembre 2007, n. 38 – Art. 14 à “1. (…) l’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) è finalizzata a fornire un servizio abitativo di interesse generale destinato a soddisfare le esigenze abitative dei nuclei familiari appartenenti all’area sociale di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b) e caratterizzato da canoni che concorrono alla copertura degli oneri di realizzazione, nonché dei costi di gestione del servizio abitativo (…)”;
- L.R. 3 dicembre 2007, n. 38 – Art. 16 à “1. Per favorire l’appropriatezza degli interventi di ERS rispetto ai fabbisogni effettivamente rilevati, la Regione incentiva, attraverso la concessione di contributi in conto capitale o in conto interessi, anche in forma attualizzata, anche gli interventi relativi alle seguenti tipologie: a) strutture alloggiative di natura temporanea; b) strutture per l’inclusione sociale. (…) 5. Ai fini della presente legge, sono strutture per l’inclusione sociale quelle strutture finalizzate a fornire un servizio abitativo di interesse generale a rilevanza economica, volte a garantire ai soggetti di cui al comma 6 servizi alloggiativi congiuntamente a servizi integrativi, nell’ambito di un progetto personalizzato teso all’inclusione sociale degli stessi. Tali interventi integrano quelli forniti dai servizi istituzionalmente competenti. (…) 6. I beneficiari delle strutture di cui al comma 5 sono i soggetti appartenenti all’area sociale di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), nonché le donne e i minori oggetto di violenza, di cui alla legge regionale 21 marzo 2007 n. 12 (interventi di prevenzione della violenza di genere e misure a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza) e i soggetti derivanti dalla nuova immigrazione, di cui alla legge regionale 20 febbraio 2007 n. 7 (norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati)”.
Tale ultima disposizione disciplina, a livello ligure, proprio l’istituzione e l’organizzazione degli “alloggi sociali”, e si completa necessariamente con la normativa fiscale in merito fornendo un importante aiuto ai contribuenti.
4. Considerazioni conclusive
I precedenti riportati si inseriscono in un panorama giurisprudenziale frammentato, territorio di interpretazioni disomogenee tanto delle corti di merito quanto della stessa Corte di Cassazione, laddove a motivazioni asettiche e tautologiche si contrappongono tentativi di ricostruzione più convincenti ed esaurienti. Si auspica, pertanto, che il lavoro incrociato dei giudici e dell’Amministrazione permetta nel tempo di fare maggiore chiarezza sul punto, sopperendo ancora una volta alla (ben nota) vaghezza della normativa tributaria.
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Note
[1] Tale norma ha abrogato l’art. 13, c. 2 del D.L. n. 201/2011 istituendo a partire dal 1° gennaio 2020 la “nuova IMU”.
[2] https://oesis.it/corte-di-cassazione-o-27991-2024-esenzione-imu-per-gli-immobili-sociali-degli-iacp/
[3] https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Fiscalita-locale/Risoluzione-n.-2-del-20-marzo-2023-Applicabilita-dellesenzione-IMU-agli-immobili-destinati-al-social-housing-.pdf
[4] https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com/art/esenzione-imu-gli-alloggi-sociali-ribadita-necessita-documentazione-rigorosa-requisiti-AGIYnp5
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