Errore professionale: ha valenza risarcitoria solo se si prova il nesso con l’esito sfavorevole del giudizio…non è sufficiente l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione

Redazione 12/12/12
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Biancamaria Consales

È quanto deciso nella sentenza n. 22376 del 10 dicembre 2012 dalla terza sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, adita dal ricorrente al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivati da un errore professionale dei legali cui si era affidato in un precedente giudizio dinanzi alla Corte dei conti.

Questi i fatti. Il ricorrente era stato citato, nella sua qualità di ex ministro, dinanzi alla Corte dei Conti  per rispondere di danno provocato all’erario a seguito dell’utilizzo di un immobile di grande prestigio, dato in locazione a personalità politiche ad un canone inadeguato, piuttosto che adibirlo a sede di ufficio pubblico. A seguito del giudizio contabile, l’ex ministro veniva condannato per danno erariale; le Sezioni Riunite della Corte dei Conti avevano, poi, ritenuto improcedibile l’appello per non essere stata richiesta la fissazione dell’udienza entro un anno dalla notifica delle conclusioni del Procuratore Generale.

L’ex ministro sosteneva, pertanto, che la condanna era stata la diretta conseguenza di un grave errore dei due difensori, i quali avevano lasciato perimere il giudizio di appello non depositando tempestivamente l’istanza di fissazione dell’udienza ed avevano determinato la declaratoria di improcedibilità del successivo ricorso per cassazione, non curando, come dovuto, il deposito di copia autentica della sentenza impugnata.

In particolare, nel ricorso per cassazione, il ricorrente aveva lamentato, da un lato, l’erroneità della decisione impugnata in quanto la Corte di appello, chiamata a giudicare sull’errore professionale, avrebbe potuto escludere il danno solo dopo aver accertato che non vi fosse alcuna ragionevole possibilità di un esito favorevole all’impugnazione; dall’altro, l’erroneità della decisione risultava, altresì, dal fatto di aver ritenuto insussistente la responsabilità dei legali per effetto della mancata dimostrazione da parte del cliente del nesso eziologico tra inadempimento da parte dei legali e perdita di chance da parte dell’assistito, trascurando che l’attività del difensore, se svolta correttamente, avrebbe potuto invece consentire il raggiungimento di soluzioni transattive nell’ottica di un comportamento doveroso soprattutto nel caso in cui si tratti di perorare cause difficili e rischiose.

Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto entrambe le doglianze infondate.

“L’affermazione di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale – sostengono gli Ermellini – implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta. Con la conseguenza che la mancanza di elementi probatori, atti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’attività del prestatore d’opera, induce ad escludere l’affermazione della responsabilità del legale. Ciò in quanto la responsabilità dell’esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone.

In materia di contratto d’opera intellettuale, dunque, ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito”.  

Nella fattispecie, invece, il ricorrente non aveva offerto alcun elemento che potesse indurre a ritenere che, qualora il ricorso in appello fosse stato esaminato nel merito, il gravame sarebbe stato accolto.

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