La nozione di equivalenza terapeutica e la bioequivalenza. L’inserimento nella lista di trasparenza
L’art. 7, D.L. n. 347/01 individua la nozione di equivalenza terapeutica e sostituibilità qualificandola come “uguale composizione in princìpi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali” da comprovarsi per mezzo di studi clinici appropriati, in cui venga dimostrato che due medicinali a confronto hanno la medesima attività terapeutica misurata in termini di effetto terapeutico.
Vi è poi la nozione di studio di «bioequivalenza» cui fa riferimento l’art. 10 comma 5 lett. b) del d.l. 219/06, configurabile alla stregua di “surrogato” dello studio clinico propriamente detto, nel quale il profilo delle concentrazioni plasmatiche è valutato come misura dell’effetto terapeutico, quando si confrontino due medicinali contenenti il medesimo principio attivo, in eguali quantità e nella stessa forma farmaceutica.
L’inserimento in Lista di Trasparenza (ovverosia in quella lista di farmaci equivalenti a «brevetto scaduto», che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del d.l. 18 settembre 2001 n. 347, sono «rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente prodotto disponibile nel normale ciclo distributivo regionale») non è riservato ai soli prodotti medicinali c.d. “generici” e in molti casi – ai fini dell’inserimento in tale lista – non è necessario (e a volte, per converso, nemmeno sufficiente), effettuare lo studio di bioequivalenza (come nel caso di medicinali la cui richiesta di Autorizzazione all’Immissione in Commercio – brevemente «AIC» – è presentata: ex art. 8.3 “dossier completo”, ex art. 11 “domanda bibliografica”, ex art. 12 “fixed combination” del D.lgs. 219/2006), ma il dossier deve comunque contenere studi clinici originali o bibliografici atti a dimostrare qualità, sicurezza ed efficacia.
L’art. 10, comma 6 disciplina poi i casi di “hybrid application” in cui non è possibile pervenire alla dimostrazione della bioequivalenza con studi di biodisponibilità, sicché chi richieda l’AIC è tenuto a fornire i risultati delle prove precliniche o sperimentazioni cliniche appropriate, che spesso sono ben più completi di quello di bioequivalenza (rientrano nelle “hybrid application” di cui all’art. 10, comma 6, del D.Lgs. 219/2006 s.m.i. – i medicinali cosiddetti “locally applied locally acting”, tra cui creme, colliri, medicinali per inalazione).
I medicinali autorizzati secondo il paradigma legale sopra richiamato sono di regola inseriti nella Lista di Trasparenza quando rispondono ai requisiti di cui all’art. 7, comma 1, del d.l. 347/2001, ovverosia quando rispondono a principi di equivalenza terapeutica che li renda fungibili.
La fattispecie esaminata
La relazione predisposta dal gruppo di lavoro (oggetto della sentenza in rassegna che aveva lo scopo di argomentare in merito alla sostituibilità tra due farmaci ha motivato il proprio giudizio (con valutazione tecnico-scientifica sottratta al sindacato giurisdizionale di merito) in base alla considerazione che, data la specificità della molecola glatiramer e della sua sintesi, questa non riproduce mai al 100% la stessa sequenza, ed inoltre che “un elevato grado di non similitudine tra diverse molecole che costituiscono il prodotto è già presente nel medicinale originario”, concludendo in ogni caso per l’inserimento in Lista di Trasparenza. Non è l’unico caso in cui sono inseriti in Lista di Trasparenza farmaci per i quali non è stato possibile dimostrare l’identicità della sostanza attiva: ad esempio, tale è il caso della teicoplanina (http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/elenco_farmaci_equivalenti_per_principio
_attivo_15.03.2018.pdf), un principio attivo costituito da una molecola non biologica, complessa, costituita da sub-componenti che devono essere presenti in percentuali stabilite, mentre non è possibile dimostrare una mera identità della sostanza attiva tra il farmaco originatore e il generico.
La soluzione offerta
L’art. 7, comma 1, del d.l. 18 settembre 2001 n. 347 (conv. in L. l 16 novembre 2001 n. 405) statuisce che «I medicinali, aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente prodotto disponibile nel normale ciclo distributivo regionale, sulla base di apposite direttive definite dalla Regione». La previsione normativa preordina l’inserimento in Lista di Trasparenza a esigenze di contenimento della spesa pubblica, previo l’accertamento, da parte dell’AIFA, dell’identità di principi attivi e della forma farmaceutica.
Ora, la determinazione di cui al cit. art. 7 del d.l. n. 347 relativa all’eguaglianza della composizione dei diversi farmaci, costituisce un giudizio di merito di carattere tecnico-discrezionale dell’AIFA, che di norma esula dalla sfera del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
E’ un accertamento che deve essere effettuato sulla base di valutazioni ed analisi tecnico-scientifiche da esperirsi caso per caso e che, in relazione alla complessità delle strutture molecolari interessate, possono includere quelle “formule di equivalenza clinica o terapeutica”. Ne discende che, ai fini dell’inserimento in Lista di Trasparenza di due medicinali, entrambi i medicinali debbano avere la medesima “efficacia terapeutica“ (cfr. Cons. Stato, sez. III, 17.05.2018, n. 2964). Tra l’altro l’identità di efficacia terapeutica può essere ulteriormente suffragata in presenza di un farmaco con la medesima composizione molecolare anche se articolato su una differente struttura della sequenza degli aminoacidi. E infatti, l’ordinamento consente all’AIFA di ritenere equivalenti sotto il profilo terapeutico, farmaci a base di principi attivi diversi (art. 11, comma 15-ter del d.l. n. 95/2012, conv. in L. n.135/2012).
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