Emergenza migranti e Decreto Minniti: soluzione o illusione?

Redazione 13/04/17
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Convertito in Legge, con 240 sì della Camera, il Decreto Minniti-Orlando sui migranti. Anche se lo stesso Minniti, nonché il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, si dicono soddisfatti e presentano i nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio come istituti risolutivi della “questione migranti”, la loro rilevanza non è così scontata. In particolare, l’unico dato di fatto effettivamente di rottura rispetto allo status quo è la consistenza numerica che si è prevista per i centri.

Se finora, infatti, i Centri di identificazione ed espulsione sono stati 6, con una capienza complessiva di circa seicento posti, i CPR saranno 18, dislocati in tutto il territorio italiano, e la cui capienza sarà di circa 1600 posti. In accordo con i Comuni in cui verranno creati i CPR, poi, i migranti potranno svolgere lavori socialmente utili, non retribuiti, che rendano più dignitoso il tempo trascorso nell’attesa del riconoscimento del diritto di asilo.

 

Qual è la differenza tra i CIE e i nuovi CPR?

L’idea è quella di moltiplicare il numero di sedi, garantendo meno posti in ognuna di esse (circa 100 posti al massimo), e di pianificarle nei pressi di stazioni di trasporto, soprattutto gli Aereoporti; di conseguenza, gli stessi centri saranno anche distribuiti all’esterno del centro cittadino (è un argomento utile alla valutazione del Decreto?).

Si sa che sono stati stanziati 19 milioni di euro adempiere alle nuove previsioni di legge. Tuttavia, non è spiegato, né quindi garantito, come i Centri in questione verranno gestiti: se fino ad ora numerosi sono stati gli scontri tra migranti e polizia a causa delle condizioni non dignitose in cui erano costretti a vivere gli individui lì permanenti, non si esclude che le stesse mutino col solo aumentare dei posti di permanenza disponibili nel complesso.

Inoltre, pur riuscendo a concentrarne un maggior numero nei Centri di permanenza, non per forza si riuscirà ad aumentare il numero di migranti da rimpatriare nei Paesi d’origine per mancato riconoscimento del diritto d’asilo.

 

Il diritto d’asilo dell’emergenza: le novità processuali

A tal proposito, poi, sempre nell’ottica di velocizzazione e maggior efficienza della procedura di espulsione, è stato drasticamente modificato il procedimento di riconoscimento del diritto d’asilo. In primis, il suddetto procedimento è stato decurtato del secondo grado di giudizio, l’appello. Dopo che il migrante abbia presentato, dunque, richiesta di asilo politico alle commissioni territoriali ad hoc, in caso di diniego, potrà solo fare ricorso al Tribunale ordinario, senza poter rimettere nuovamente in discussione la decisione di diniego, stavolta del primo giudice. È salvo solo il ricorso in Cassazione, da proporre entro 30 giorni dal provvedimento di diniego.

In secundis, anche il primo e unico grado di valutazione di merito, è davvero formalistico: infatti, il giudice si limiterà ad analizzare la situazione personale del soggetto richiedente asilo mediante l’ascolto e la visione della videoregistrazione fatta a colloquio con le commissioni territoriali. Potrà decidere, quindi, anche inaudita altera parte, e solo con decisione officiosa disporrà un nuovo colloquio con il migrante. Quest’ultimo, invece, non potrà chiedere di essere sentito.

 

Più espulsioni? Meno diritti fondamentali

Sicuramente, questa procedura porterà allo sveltimento dei tempi, ma è palese a che prezzo ciò sia possibile: è davvero manifesta la violazione di quei diritti fondamentali che la nostra Costituzione garantisce ad ogni cittadino, quali il diritto di difesa e al contraddittorio. A meno che non si voglia creare una giustizia ad hoc, bilanciata appositamente sulla “questione migranti”, giustificata da esigenze securitarie e di economia processuale.

Eloquenti le parole di De Ponte di ActionAid: l’approccio scelto dal ministro Minniti “può funzionare nel breve periodo, ma non si possono nascondere i problemi. Il flusso di migranti è un fattore permanente, non è un’emergenza. Bisogna superare l’approccio del controllo, creare vie d’accesso ordinarie per chi ne ha diritto, in modo da togliere il controllo delle rotte alla malavita così da garantire l’arrivo del flusso ordinato di persone di cui l’Europa ha bisogno”.

Infine, è stata rinnovata la sospensione dei contributi fiscali da parte degli abitanti di Lampedusa, e sono stati stanziati 2,5 milioni di euro per quest’anno e 5 milioni per il 2018 per potenziare la presenza dei carabinieri presso le Ambasciate italiane presenti negli Stati africani da cui provengono la maggior parte dei migranti. Non si è parlato di fondi, invece, per preparare e rendere disponibili i 250 giudici specializzati nelle materie relative al fenomeno migratorio, previsti dal Decreto convertito.

 

Sabina Grossi

Redazione

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