Educazione digitale: la scuola che serve, la scuola che manca

Settembre è il mese dei nuovi inizi: tra scuola, routine e propositi, la vera sfida è l’educazione digitale dei nostri ragazzi.

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Settembre è il mese delle agende nuove, dei grembiuli stirati, dei moduli da firmare. Ed è anche il mese dei nuovi inizi e dei buoni propositi, perché se è vero che l’anno nuovo inizia a gennaio, è a settembre che inizia l’anno scolastico ed anche se i tempi della scuola sono finiti da un bel po’, è proprio dopo la lunga estate calda che si ricomincia a fare sul serio (tipo ci si iscrive in palestra o si ricomincia l’ennesima dieta).
I genitori esausti da 95 giorni in cui i figli sono rimasti a casa (novantacinque!) cominciano il contro alla rovescia e partono i servizi sui telegiornali e l’immancabile tempesta social hashtag primo giorno di scuola, moda discutibile per cui i genitori (mi duole dirlo sono soprattutto le mamme, ma non ne facciamo una questione di genere) intasano i feed social propri e altrui di foto dei propri pargoli a qualsiasi età pronti per ricominciare l’anno scolastico.
Eppure, ed ogni anno è sempre di più così, il tema su cui dovremmo imparare a confrontarci e di cui dovremmo (pre)occuparci non è tanto lo scatto da pubblicare online o quanto sia ben equipaggiato lo zaino del nostro studente o studentessa preferiti, ma quanto sia forte e adeguato il loro equipaggiamento mentale per affrontare il loro tempo. E il loro tempo è digitale, c’è poco da fare, e se io avessi ancora qualche microscopico residuo dubbio, i 95 (novantacinque) giorni appena trascorsi gomito a gomito con il mio adolescente preferito me lo hanno fugato in un attimo.
Tempo digitale non solo in senso tecnico, perché usano lo smartphone, perché sono “sui social”. Digitale perché è attraverso quegli strumenti che comunicano, si raccontano, si riconoscono. Digitale perché l’identità non è più solo fisica. Perché una relazione può cominciare, finire e ferire anche solo via chat. Perché un insulto online pesa quanto, se non più, di un pugno. E perché non si può insegnare educazione civica nel 2025 ignorando il fatto che la cittadinanza si esercita, si viola e si difende anche (e soprattutto) in rete.
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Indice

1. La scuola come presidio, ma non da sola


Io lo vedo ogni anno, ogni settimana, ogni giorno: sono mesi che vado nelle scuole a fare educazione digitale. E non solo da avvocato e da mamma (del suddetto adolescente). Ci vado da portavoce del CNAC – Centro Nazionale Anti Cyberbullismo, da persona che ascolta, che dialoga, che vede le cose in faccia. Ci vado perché ci credo. E perché nessuna norma, da sola, può bastare.
I dirigenti ci provano. I docenti si spendono. Ma troppo spesso sono lasciati soli. Hanno strumenti normativi frammentati, poche ore a disposizione e zero formazione su temi che richiederebbero un cantiere culturale permanente.
Serve una strategia nazionale, vera, strutturata, replicabile. Che parta dai ragazzi ma che coinvolga le famiglie, i docenti, le amministrazioni. Serve portare in classe non l’educazione al digitale, ma l’educazione dentro il digitale. Per approfondire il tema, ti consigliamo il volume “Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa”, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.

VOLUME

Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa

Ricordate quando i nostri genitori ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti? Il concetto non è cambiato, si è “trasferito” anche in rete. Gli “sconosciuti” possono avere le facce più amichevoli del mondo, nascondendosi dietro uno schermo. Ecco perché dobbiamo imparare a navigare queste acque digitali con la stessa attenzione che usiamo per attraversare la strada. Ho avuto l’idea di scrivere questo libro molto tempo fa, per offrire una guida pratica a genitori che si trovano, come me, tutti i giorni ad affrontare il problema di dare ai figli alternative valide al magico potere esercitato su di loro – e su tutti noi – dallo smartphone. Essere genitori, oggi, e per gli anni a venire sempre di più, vuol dire anche questo: scontrarsi con le tematiche proprie dei nativi digitali, diventare un po’ esperti di informatica e di sicurezza, di internet e di tecnologia e provare a trasformarci da quei boomer che saremmo per diritto di nascita, a hacker in erba. Si tratta di una nuova competenza educativa da acquisire: quanto è sicuro il web, quali sono i rischi legati alla navigazione, le tematiche della privacy, che cosa si può postare e che cosa no, e poi ancora il cyberbullismo, il revenge porn, e così via in un universo parallelo in cui la nostra prole galleggia tra like, condivisioni e hashtag. Luisa Di GiacomoAvvocato, Data Protection Officer e consulente Data Protection e AI in numerose società nel nord Italia. Portavoce nazionale del Centro Nazionale Anti Cyberbullismo. È nel pool di consulenti esperti di Cyber Law istituito presso l’European Data Protection Board e ha conseguito il Master “Artificial Intelligence, implications for business strategy” presso il MIT. Autrice e docente di corsi di formazione, è presidente e co-founder di CyberAcademy.

 

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2. Cyberbullismo? Sì. Ma anche identità, consenso, reputazione


Chi parla ancora solo di cyberbullismo inteso come “versione online del bullismo tradizionale” è rimasto al 2010. I ragazzi oggi si confrontano con fenomeni molto più complessi, sfumati, difficili da individuare e da raccontare.
Non è solo “chi offende”. È chi esclude con il silenzio. Chi isola con un trend, con un video. Chi sfrutta l’estetica tossica dei social per umiliare chi è “fuori target”. Chi usa il deepfake per trasformare il volto di un compagno in un meme pornografico. Chi registra messaggi vocali e li rimaneggia per ridicolizzare. Chi spia le vite altrui con finti account. Chi scatena micro-ondate di odio “per scherzo”. E chi, sopra tutto questo, ride. Perché il disprezzo, oggi, è virale. E l’indifferenza si misura in visualizzazioni.
Bisogna cominciare a parlare non solo di violenza, ma di linguaggio. Di come ci si racconta. Di come si costruisce una relazione. Di cosa sia il consenso, dentro e fuori dallo schermo. Di educazione sentimentale, affettiva, sessuale, digitale, come un tutt’uno. Perché non esistono più i compartimenti stagni. E non esistono più spazi “non pubblici”, nemmeno dentro casa.

3. La legge c’è. Ma non basta.


La Legge 71/2017 — aggiornata con la Legge 70/2024 — è un punto di riferimento importante. Riconosce il cyberbullismo come fattispecie giuridica autonoma, introduce strumenti di intervento anche scolastici, promuove progetti educativi. Ma, nella pratica, quanti sanno come attivarla? Quanti docenti sanno scrivere una segnalazione? Quante famiglie sanno che si può chiedere la rimozione di contenuti lesivi da una piattaforma e soprattutto come farlo?
L’educazione digitale non può ridursi a un corso spot a febbraio. Non è un PowerPoint improvvisato dal docente più giovane e volenteroso. Non è nemmeno un’app da installare per il controllo genitoriale. È formazione diffusa, continua, professionalizzata. E richiede competenze che oggi non si trovano nei manuali, ma nell’esperienza, nella multidisciplinarietà, nel coraggio di mettere in discussione lo schema classico della “lezione frontale”.

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4. Gli adulti: troppo spesso disorientati, talvolta complici


La cosa più difficile da dire è che gli adulti non sono sempre la soluzione. A volte sono parte del problema. Genitori che condividono video privati dei figli per fare views. Insegnanti che sottovalutano episodi di body shaming perché “è sempre stato così”. Dirigenti che temono lo scandalo più del disagio. Tecnici che si limitano a installare un filtro e a bloccare le parole chiave.
Ma soprattutto adulti che non ascoltano. Che giudicano senza comprendere. Che parlano di “generazione fragile” senza accorgersi che è fragile perché non ha strumenti. Che non leggono i termini di servizio ma pretendono di sapere tutto. Che passano la giornata a pubblicare indignazione, e poi chiedono ai figli di stare zitti.
La verità è che serve un patto educativo nuovo, in cui adulti e ragazzi imparino a parlare davvero. Non solo nelle assemblee. Non solo in emergenza.

5. Il digitale come ecosistema emotivo


Il problema non è lo smartphone. Il problema è cosa ci mettiamo dentro. Il digitale non è un contenitore neutro. È un ecosistema emotivo in cui i ragazzi vivono ogni giorno. È lì che si sentono belli, brutti, accettati, esclusi, visibili, invisibili. È lì che chiedono amore e ricevono giudizio. È lì che misurano la propria autostima in views e la propria identità in profili.
E allora serve alfabetizzazione emozionale digitale. Serve insegnare che il like non misura il valore. Che un follower non è un amico. Che la bellezza non si filtra. Che la vulnerabilità non è una debolezza. Serve — e lo dico con forza — rimettere al centro l’umano.

6. Il CNAC e il mio impegno: quello che facciamo, quello che serve ancora


Con il CNAC portiamo avanti un lavoro capillare, quotidiano, spesso silenzioso. Progetti nelle scuole, sportelli di ascolto, guide pratiche, alleanze con enti locali, formazione per insegnanti, dialoghi con le famiglie. Non è semplice. Non è mai abbastanza. Ma è reale. È presente. È concreto.
Il mio libro, il mio lavoro nei territori, i mesi passati a viaggiare per le scuole a parlare con centinaia di studenti non sono “attività collaterali”. Sono parte di una missione educativa che ha bisogno di supporto strutturale. Di fondi, certo. Ma anche di riconoscimento. Perché oggi chi fa educazione digitale non è un “ospite esterno”: è un presidio culturale necessario.

7. Conclusione: educazione, o rassegnazione


Il futuro digitale non si subisce. Si costruisce. E la scuola, se vuole davvero essere il cuore della democrazia, deve diventare il laboratorio in cui questa costruzione avviene ogni giorno. Con competenze, con visione, con coraggio. E soprattutto: con verità.
Educazione digitale non è moda, non è tecnologia, non è gadget. È prendersi cura del modo in cui i nostri ragazzi stanno al mondo. Anche — e soprattutto — quando il mondo passa da uno schermo.

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Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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