È valida la clausola di natura contrattuale del regolamento di condominio secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni del caseggiato vanno ripartite in quote uguali tra i condomini

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Riferimenti normativi: art. 1138 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3944 del 18/3/2002

La vicenda

Un condomino impugnava la delibera che aveva approvato il rendiconto ed il relativo stato di ripartizione delle spese.

Il riparto delle spese si fondava sul criterio dettato dall’art. 4 del regolamento condominiale (secondo cui “tutte le spese per l’uso ed il godimento delle parti comune verranno sopportate dai condomini proprietari in ragione di 1/14 ciascuno …”), tenendo conto però dell’aumento del numero delle quote (da 14 a 16) derivante dal frazionamento in distinte proprietà di alcune delle originarie unità immobiliari.

In pratica la collettività condominiale divideva le spese in parti uguali secondo il numero degli effettivi proprietari delle singole unità immobiliari.

Per l’attore invece la citata norma del regolamento imponeva la divisione delle spese in rapporto a quattordici quote, indipendentemente dal numero  dei titolari delle unità immobiliari.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi confermavano la bontà dell’interpretazione del regolamento seguita dai condomini, sostenendo la correttezza della suddivisione delle spese per quote uguali.

Il condomino ricorre in cassazione.

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La questione

E’ valida la clausola di natura contrattuale del regolamento condominiale secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni del caseggiato vanno ripartite in quote uguali tra i condomini?

La soluzione

La Cassazione ha condiviso pienamente le motivazioni dei giudici di primo e secondo grado.

I giudici supremi hanno ricordato come i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possano essere derogati, come prevede la stessa norma, da una clausola contenuta nel regolamento condominiale oppure da una delibera dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, cioè col consenso di tutti i condomini (nessuno escluso).

Di conseguenza la Cassazione ha ritenuto pienamente legittima la clausola del regolamento secondo cui “tutte le spese per l’uso ed il godimento delle parti comune verranno sopportate dai condomini proprietari in ragione di 1/14 ciascuno”.

Secondo la Suprema Corte però nell’ambito di tale pattuizione il riferimento alla frazione di 1/14 non determina la misura della partecipazione delle rispettive proprietà esclusive alle spese, essendo piuttosto diretto a suddividere gli esborsi in parti uguali tra i condomini.

Questa interpretazione, seguita dai giudici di primo e secondo grado, non è  risultata né contrastante con il significato delle espressioni adoperate nel testo regolamentare, né confliggente con l’intenzione comune dei condomini, né contraria a logica o incongrua.

Del resto si è notato che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non sia ammissibile.

Le riflessioni conclusive

L’art. 1123 c.c., comma 1, stabilisce che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno”, salvo diversa convenzione.

Tale norma quindi è derogabile.

Di conseguenza, poiché l’art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, deve ritenersi legittima la convenzione (cioè l’accordo) che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, purché sia contenuta in una delibera assembleare approvata all’unanimità da tutti i condomini o contenuta in una disposizione del regolamento condominiale di natura contrattuale.

Alla luce di questa premessa la Corte Suprema ha già affermato che la clausola del regolamento, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell’edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, è pienamente valida posto che il diverso e legale criterio di ripartizione di quelle spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino è liberamente derogabile.

Si  è affermato, infatti, che una tale deroga non può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione non derogabile dell’art. 1136 c.c. ovvero su quella dell’art. 69 disp. att. c.c., che, seppure con riguardo alla stessa materia condominiale, disciplinano i diversi temi della costituzione dell’assemblea, della validità delle delibere e delle tabelle millesimali (Cass. civ., Sez. II, 18/03/2002, n. 3944).

Nel caso esaminato dalla Cassazione il criterio di ripartizione delle spese condominiali, di cui all’art. 1123 c.c., non era stato applicato in quanto una clausola di natura contrattuale del regolamento condominiale prevedeva la ripartizione in quote uguali delle spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell’edificio; in tale vicenda il numero delle quote è stato commisurato al numero effettivo delle unità immobiliari dello stesso; di conseguenza la sopravvenuta divisione di un’originaria e unica unità in due distinte unità, ciascuna in proprietà di persona diversa, ha comportato il conseguente aumento di quelle quote in numero di otto, rispetto alle sette originarie, cui aveva invece fatto riferimento la delibera assembleare (che aveva erroneamente ripartito le spese di restauro della facciata dell’edificio in sette quote).

Tuttavia, ove manchi una diversa convenzione adottata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c., comma 1, non essendo, consentito all’assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitario” (cioè in parti uguali) gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell’interesse comune (Cass. civ., Sez. II, 21/02/2018, n. 4259).

Del resto è possibile che una clausola inserita dal costruttore e poi accettata da tutti o approvata all’unanimità in assemblea stabilisca che il proprietario di un negozio sia esonerato dalle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dei tetti e dei terrazzi di copertura del caseggiato o dal pagamento del servizio di portierato.

Queste considerazioni non valgono, però, se dalla clausola risulta l’inequivoca volontà di concedere l’esenzione solo a colui che, in un determinato momento, abbia il diritto sul bene, se cioè emerge con chiarezza che l’esenzione riguardi un soggetto, anziché l’unità immobiliare fruente dell’esenzione dalle spese.

In ogni caso, proprio perché il 1123 c.c. è derogabile, viene considerata legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione del regolamento condominiale, avente natura contrattuale, la delibera assembleare secondo cui, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato dall’art. 1123 c.c., le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria di un servizio siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio (Cass. civ., Sez. II, 23/12/2011, n. 28679).

Naturalmente è possibile che una clausola del regolamento preveda anche una decurtazione nelle spese delle scale  per chi ha un immobile sfitto (magari con le utenze scollegate) oppure una maggiorazione in ragione della destinazione (ad esempio se utilizzato come studio professionale).

Nulla impedisce poi che una pattuizione voluta da tutti stabilisca la possibilità di rimettere la decisione all’assemblea in merito alla possibilità di aumentare/diminuire le spese d’uso in base alla maggiore/minore utilizzazione connessa alla destinazione/non uso.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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