Dovere costituzionale della mediazione penale minorile?

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  1. L’attualità della mediazione penale minorile

Essendo in aumento gli episodi di devianza minorile, baby gang o altro si fa più pressante l’esigenza della mediazione penale minorile anche in ottemperanza agli atti di diritto internazionale e all’art. 3 comma 1 lettera o) della legge 112/2011 istitutiva del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, in cui si parla di favorire lo sviluppo della cultura della mediazione e di ogni istituto atto a prevenire o risolvere con accordi conflitti (e il reato è un conflitto con la società) che coinvolgano persone di minore età.

Sin dall’art. 1 comma 2 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” emerge il ruolo particolare del giudice minorile che si deve fare mediatore nei confronti del minore, ossia fautore di comunicazione e di “ricucitura dello strappo sociale”, infatti vi si legge: “Il giudice illustra all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni”.

Da questo indice normativo letto congiuntamente ad altri desumibili in diverse parti dell’ordinamento, anche se non riferite al processo penale minorile (artt. 5 e 6 Regolamento per l’esecuzione del T.U. leggi di pubblica sicurezza del 1940 “Della composizione dei privati dissidi”, art. 564 cod. proc. pen. abrogato nel 1999 “Tentativo di conciliazione” ad opera del pubblico ministero, art. 29 comma 4 d. lgs. 274/2000 “Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace”, dove per la prima volta si menziona espressamente la mediazione in sede penale), si desume che il giudice minorile può proporre la mediazione già prima del giudizio.

Altri contesti applicativi della mediazione possono essere:

  • accertamenti sulla personalità del minorenne (art. 9 D.P.R. 448/1988): la disponibilità del minore alla mediazione ed eventualmente a “fare qualcosa” in favore della vittima può costituire un ulteriore criterio (dinamico, e quindi diverso da quelli tradizionali caratterizzati dall’essere statici) di valutazione della personalità del minorenne reo;

  • sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 D.P.R. 448/1988): l’intervento di mediazione può contribuire a valutare, tra l’altro, “l’occasionalità del comportamento” (comma 1) e a sentire “il minorenne e l’esercente la potestà dei genitori, nonché la persona offesa dal reato” (comma 2);

  • sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/1988 e art. 27 d. lgs. 272/1989 recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni): è questo l’ambito normativo in cui si fa espresso riferimento al “promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato” e che ha dato ampio spazio alla mediazione sin dall’entrata in vigore del cosiddetto codice di procedura penale minorile;

  • sanzioni sostitutive (art. 30 D.P.R. 448/1988): ”tenuto conto anche delle esigenze educative del minorenne” è possibile prevedere delle prescrizioni che comprendano anche l’intervento di mediazione;

  • affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 comma 7 L. 26 luglio 1975 n. 354 Ordinamento penitenziario): si tratta di una misura alternativa alla detenzione che prevede, tra le prescrizioni a cui il soggetto dovrà attenersi, anche che “ l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato”; in quest’ipotesi la mediazione si svolge nella fase successiva al giudizio penale.

Oltre alla mediazione intesa come aiuto all’avvicinamento tra reo e vittima del reato, è da ricordare anche quella presente nella fase esecutiva della pena (mediazione penitenziaria), diretta a ristabilire un rapporto con la società. Quest’attività mediativa concorre al trattamento rieducativo diretto “a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale” (art. 1 comma 2 D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 Regolamento penitenziario).

La mediazione penitenziaria si realizza con la sinergia di vari soggetti, soprattutto con la partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa (art. 17 Ord. Penit.), gli assistenti volontari (art. 78 Ord. Penit.), gli operatori di mediazione culturale per gli stranieri (art. 35 Regolamento penit., in cui si dà per la prima volta il riconoscimento normativo alla mediazione culturale).

2. La costituzionalità della mediazione penale minorile

La mediazione penale minorile trova il suo fondamento anche nella Costituzione perché si stabilisce un sistema di relazioni che consente lo svolgimento della personalità (art. 2 Cost.) del minore reo e risponde al dovere inderogabile di solidarietà dell’art. 2, perché la società dopo aver fallito col minore ha il dovere di “accollarselo” e di dargli una seconda possibilità. Con il reato si rompe il “patto di cittadinanza” mentre con la mediazione penale minorile si dà una “lezione di cittadinanza” in linea col secondo comma dell’art. 3. In particolare si ha “effettiva partecipazione” nel senso che il reo partecipa del dolore causato alla vittima e quest’ultima partecipa delle cause che hanno portato al reato.

Con la mediazione penale minorile si favorisce la percezione della responsabilità penale personale (art. 27 comma 1 Cost.) perché il minore reo si rende conto non solo di essere stato responsabile di qualcosa ma anche e soprattutto verso qualcuno. Con ciò si tende evidentemente alla rieducazione (art. 27 comma 3 Cost.) e alla prevenzione della recidiva. A proposito di rieducazione, la mediazione penale minorile può essere ritenuta un intervento laddove i genitori del minore hanno fallito ai sensi dell’art. 30 comma 2 Cost. ove si legge: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”.

Facendo un’analisi antropologica la mediazione è espressione della giustizia riparativa o riconciliativa o dialogica e rieducazione ha lo stesso prefisso ri- di riconciliazione che, come ha rilevato Fulvio Scaparro, padre della mediazione familiare in Italia, nel termine tedesco “versohnung” significa “ritornare figli” (dal tedesco “sohn”, figlio) e dunque fratelli. Si permette, pertanto, a dei minori, con ancora tutta la vita davanti a loro, di ritornare ad essere figli della società e fratelli nella società.

Dott.ssa Marzario Margherita

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