La disciplina codicistica dei reati commessi all’estero

Marco Vitali 06/03/23
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Reati commessi all’estero – L’applicabilità della legge penale italiana non appare incondizionata – al contrario di quanto previsto dall’articolo 7 del Codice Penale – in quanto, nella fattispecie dell’articolo 8 del Codice Penale, la punibilità risulta essere condizionata dalla richiesta del Ministro della Giustizia e, se il delitto è perseguibile a querela di parte, dalla querela della persona offesa

Indice

1. I reati commessi all’estero punibili ex all’art. 7 C.P.

L’articolo 7 del Codice Penale, denominato “Reati commessi all’estero”, dispone che:
 “È punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:
1)      delitti contro la personalità dello Stato italiano;
2)      delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
3)      delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;
4)      delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;
5)      ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionalistabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana”.
 Da tale articolo deriva la tendenziale universalità della legge penale italiana, la quale trova la sua manifestazione nei confronti di una vasta gamma di reati commessi integralmente all’estero da parte del cittadino o dello straniero[1]. Tali reati risultano offendere beni giuridici di grande rilievo – pubblici o privati – e rispetto a tali reati, i quali vengono richiamati dai numeri dall’uno al cinque dell’articolo de quo, l’applicazione della legge penale italiana risulta essere incondizionata, ossia non subordinata ad alcuna regola di procedibilità, contrariamente a quanto disposto dagli articoli 8, 9 e 10 del Codice Penale[2].
I reati in questione, disciplinati dai numeri dall’uno al cinque, risultano essere: i delitti contro la personalità dello Stato italiano; i delitti di contraffazione del sigillo dello Stato italiano e di uso di tale sigillo contraffatto; i delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato italiano, o di altri valori di bollo o carte di pubblico credito italiano; i delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando di poteri o violando doveri inerenti alle loro funzioni; ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.
Le prime quattro ipotesi, le quali sono riferibili all’esercizio di funzioni dello Stato, risultano essere ispirate al principio della difesa dello Stato, che rende conseguentemente applicabile la legge dello Stato cui appartengono i beni offesi[3].
La quinta ipotesi prevede una clausola generale, la quale si ispira a diversi principi a seconda dei reati cui si riferisce, e, in particolar modo, al principio di universalità quando si tratta di andare a perseguire delicta iuris gentium commessi in territorio estero[4]. A tal proposito, acuta parte della dottrina ha evidenziato che tale disposizione rende perseguibili in base alla legge penale italiana delitti in materia di schiavitù, taluni delitti in materia di prostituzione, delitti in materia di dirottamento aereo, delitti in materia di cattura di ostaggi, delitti in materia di tortura e di pene e di trattamenti crudeli, disumani e degradanti[5]. In altre parole, quindi, attraverso la formulazione dell’articolo 7 numero cinque del Codice Penale, il nostro legislatore ha fatto riferimento ad un numero indeterminato di ipotesi criminose[6].
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2. I delitti politici commessi all’estero punibili ex art. 8 C.P.

L’articolo 8 del Codice Penale, denominato “Delitto politico commesso all’estero”, dispone che:
 “Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia.
Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela.
Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici”.
 Il nostro legislatore, attraverso l’articolo de quo, ha quindi stabilito che la legge penale italiana è applicabile ai delitti politici commessi all’estero, dal cittadino o dallo straniero, ai danni di un determinato interesse politico dello Stato italiano o di un diritto politico di un cittadino italiano[7]. Tuttavia, l’applicabilità della legge penale italiana non appare incondizionata – al contrario di quanto previsto dall’articolo 7 del Codice Penale – in quanto, nella fattispecie dell’articolo 8 del Codice Penale, la punibilità risulta essere condizionata dalla richiesta del Ministro della Giustizia e, se il delitto è perseguibile a querela di parte, dalla querela della persona offesa[8].
All’intero del comma terzo dell’articolo 8 del Codice Penale è contenuta la nozione di delitto politico. Tale nozione risulta essere particolarmente ampia – in linea con l’ideologia fascista dominante nell’epoca in cui il codice è stato emanato e quindi tendente alla repressione di ogni fatto potenzialmente lesivo dell’ordine costituito[9] – al punto di farci rientrare sia i delitti oggettivamente politici sia i delitti soggettivamente politici[10].
In primo luogo, il delitto oggettivamente politico risulta essere quello che offende le componenti essenziali dello Stato; la sua indipendenza e sicurezza, la sua integrità territoriale e la forma di governo[11]. Tuttavia, parte della dottrina ha evidenziato – riprendendo quando enucleato nel primo comma dell’articolo de quo – come a ben vedere tali delitti risultano essere ricompresi in larga parte tra i delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato e, di conseguenza, perseguibili anche senza la richiesta del Ministro della Giustizia grazie a quanto disposto dall’articolo 7 numero 1 del Codice Penale[12]. Inoltre, sono oggettivamente politici i delitti che offendono un diritto politico del cittadino, in quanto essi non vengono ricompresi nel Titolo I del Libro II relativo ai delitti contro la personalità dello Stato[13]. A tal proposito, sono dunque riconducibili alla previsione dell’articolo 8 del Codice Penale, per esempio ipotesi di reato previste dalle leggi elettorali, le quali offendono specificamente il diritto politico al voto[14].
In secondo luogo, il delitto soggettivamente politico riguarda ipotesi di reato comune alla cui commissione il reo è stato ideologicamente motivato dall’obiettivo di incidere sulle componenti essenziali dello Stato, sulla struttura dei poteri statuali o sui rapporti tra Stato e cittadino, e quindi motivato in tutto o in parte da motivazioni ideologico-politiche[15].

3. I delitti comuni commessi all’estero dal cittadino punibili ex art. 9 C.P.

L’articolo 9 del Codice Penale, denominato “Delitto comune del cittadino all’estero”, dispone che:
 “Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.
Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ovvero a istanza o a querela della persona offesa.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato esteroo di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto.
Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, la richiesta del Ministro della giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 320, 321 e 346 bis”.
 Doveroso precisare sin da subito che la ratio di tale articolo per parte della dottrina va ravvisata nel principio di personalità attiva[16], mentre, per altra parte della dottrina l’articolo de quo risulta essere ispirato al principio di difesa[17] ed al principio di universalità[18].
Ad ogni modo l’articolo 9 del Codice Penale prevede l’applicabilità della legge penale italiana in caso di delitto comune del cittadino commesso in territorio estero, tuttavia sottoponendo la perseguibilità dello stesso ad una serie di condizioni[19]. Tali condizioni risultano essere graduate secondo la gravità del reato, prevedendo un regime particolare quando il reato sia commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero[20].
Procedendo con ordine, l’articolo 9 del Codice Penale stabilisce che è punito secondo la legge italiana il cittadino che, fuori dai casi disciplinati dagli articoli 7 e 8 del Codice Penale, commette in territorio estero: in primis un delitto a danno dello Stato o di un cittadino italiano per il quale la legge italiana vada a stabilire la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, a condizione che il reo si trovi nel territorio dello Stato italiano, tuttavia, se la pena stabilita risulta essere di minore durata il colpevole è comunque punibile a richiesta del Ministro della Giustizia ovvero a istanza o querela della persona offesa[21]; in secundis un delitto a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero, per il quale la legge penale italiana stabilisca le suddette pene, sempre che oltre alla presenza del reo sul territorio dello Stato italiano vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia e la non concessione da parte del Governo italiano dell’estradizione del cittadino ovvero la non accettazione dell’estradizione del cittadino da parte del Governo dello Stato estero[22].
A tal punto è doveroso precisare che in dottrina risulta essere controverso se sia necessario o meno che il fatto di reato commesso all’estero costituisca reato anche alla stregua della legislazione penale dello Stato straniero[23]. A tal proposito, una parte della dottrina ha evidenziato che, pur in assenza di un’espressa indicazione da parte del legislatore, deve ritenersi che l’assoggettamento alla legge penale italiana dei reati comuni commessi all’estero dal cittadino sia sottoposto all’ulteriore condizione della doppia incriminazione del fatto, come previsto per l’estrazione ex articolo 13 comma secondo del Codice Penale, cioè della previsione del fatto come reato sia secondo la legge italiana sia secondo la legge dello Stato estero ove è stato commesso il reato[24]. A favore di questa tesi parlano i Lavori preparatori al Codice Penale, infatti nella relazione al progetto definivo del codice si legge che “occorre che il fatto costituisca reato anche secondo la legge del luogo in cui fu commesso”, soluzione che appare anche coerente con i principi di legalità e colpevolezza dato che non si può pretendere di certo che – al pari del cittadino straniero – il cittadino italiano che risieda o dimori in uno Stato estero orienti le proprie scelte comportamentali in base alle leggi dello Stato italiano e non in base alle legge dello Stato estero in cui si trovi[25]. La necessità della doppia incriminazione è stata anche sostenuta dalla Corte di Cassazione[26] in una decisione si riguardante un delitto commesso all’estero dallo straniero, ma che tuttavia porta all’enunciazione della necessità della doppia incriminazione come principio di portata generale[27].
Altra parte dalla dottrina ha contrariamente esposto che il requisito della doppia incriminazione non possa desumersi dal fatto che esso è previsto per l’estradizione – come disposto dall’articolo 13 comma secondo del Codice Penale – e dal fatto che gli articoli 9 e 10 del Codice Penale facciano riferimento all’estradizione dato che essi si riferiscono ad essa solo nelle specifiche ipotesi dei delitti a danno di uno Stato estero o di un cittadino straniero[28]. Inoltre, sempre per il medesimo orientamento dottrinale, il principio della doppia incriminazione non pare possa desumersi nemmeno dal principio di legalità per il rispetto del quale basta che il fatto di reato sia previsto come tale solo dalla legge italiana (anche nel caso in cui il reo sia straniero) e che comunque una tale richiesta porterebbe a richiede la doppia incriminazione anche per i casi disciplinati dagli articoli 7 e 8 del Codice Penale[29]

4. I delitti comuni commessi all’estero dallo straniero punibili ex art. 10 C.P.

L’articolo 10 del Codice Penale, denominato “Delitto comune dello straniero all’estero”, dispone che:
 “Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.
Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato esteroo di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che:
1)      si trovi nel territorio dello Stato;
2)      si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;
3)      l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene.
La richiesta del Ministro della giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 e 322 bis”.
 L’articolo de quo disciplina le ipotesi in cui sia lo straniero a commettere all’estero delitti comuni – diversi da quelli enucleati all’interno dell’articolo 7 del Codice Penale – a danno dello Stato o di un cittadino italiano – comma primo – ovvero a danno di uno Stato estero o di un cittadino straniero – comma secondo[30].
Si precisa sin da subito che, come nel caso dell’articolo precedente del Codice Penale, secondo parte della dottrina esso trae la sua ispirazione dal principio di difesa[31] mentre, per altra parte della dottrina esso rappresenta la massima espansione possibile del principio di universalità della legge penale italiana[32].
L’articolo 10 del Codice Penale punisce lo straniero – sempre previo rispetto di talune condizioni – che, fuori dai casi disciplinati dagli articoli 7 e 8 del Codice Penale, commette in territorio estero: in primis un delitto a danno dello Stato o di un cittadino italiano, per il quale la legge vada a prevedere la pena dell’ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno a condizione che il reo si trovi nel territorio dello Stato e vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia ovvero istanza o querela della persona offesa[33]; in secundis un delitto a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, per il quale sia prevista la pena dell’ergastolo oppure la pena della reclusione non inferiore nel minimo ad anni tre a condizione che il reo si trovi sul territorio dello Stato, vi sia la richiesta del Ministro della giustizia e che non sia stata concessa l’estradizione ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato nel quale il reo ha commesso il delitto o da quello dello Stato del quale è cittadino[34].
Come per il caso dell’articolo 9 del Codice Penale, anche nel caso dell’articolo 10 del Codice Penale, la dottrina risulta essere divisa in relazione alla questione relativa alla necessità o meno della doppia incriminazione del fatto.
A tal proposito – riprendendo brevemente quanto già messo in evidenza per quanto concerne l’articolo 9 del Codice Penale – parte della dottrina ritiene che, anche nel silenzio della legge, affinché il fatto risulti essere procedibile in Italia, sia necessario che esso sia previsto sia dalla legge italiana sia dalla legge del Paese estero come reato, come previsto dal criterio della doppia incriminazione espressamente richiesto per l’estradizione, come disciplinato dall’articolo 13 comma secondo del Codice Penale[35]. Al contrario, altra parte della dottrina ritiene che requisito della doppia incriminazione non possa desumersi nel silenzio della legge[36].

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  1. [1]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, Milano, Giuffrè editore, 2012, p. 125.

  2. [2]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 125.

  3. [3]

    Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte generale, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, Bologna, Zanichelli editore, 2014, p. 143.

  4. [4]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, Milano, Wolters Kluwer CEDAM, 2019, p. 891.

  5. [5]

    Si veda AA.VV. Manuale di diritto penale Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 126; si veda, F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 891.

  6. [6]

    Cfr., A. Fiorella, Le strutture del diritto penale. Questioni fondamentali di parte generale, Torino, Giappichelli, 2018, p. 162.

  7. [7]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 126.

  8. [8]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 126.

  9. [9]

    Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte generale, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 145.

  10. [10]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 894 – 895.

  11. [11]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 127.

  12. [12]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 127.

  13. [13]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 127.

  14. [14]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. MARINUCCI ed E. DOLCINI, cit., p. 127.

  15. [15]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 895

  16. [16]

    Cfr., A. Fiorella, Le strutture del diritto penale. Questioni fondamentali di parte generale, cit., p. 161.

  17. [17]

    Si veda, F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 896

  18. [18]

    Si veda, AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 128.

  19. [19]

    Cfr., A. Fiorella, Le strutture del diritto penale. Questioni fondamentali di parte generale, cit., p. 161.

  20. [20]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 128

  21. [21]

    Cfr. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 897

  22. [22]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 897.

  23. [23]

    Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte generale, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 144.

  24. [24]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 129.

  25. [25]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p.129.

  26. [26]

    Si veda, Cass. Pen., Sez. I, 17 settembre 2002, n. 38401

  27. [27]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 129

  28. [28]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 898

  29. [29]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 898

  30. [30]

    Cfr., AA.VV., Diritto penale. Parte generale, a cura di G. Fiandaca ed E. Musco, cit., p. 145

  31. [31]

    Cfr., A. Fiorella, Le strutture del diritto penale. Questioni fondamentali di parte generale, cit., p. 161

  32. [32]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 130

  33. [33]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 897

  34. [34]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 897

  35. [35]

    Cfr., AA.VV., Manuale di diritto penale. Parte generale, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, cit., p. 130

  36. [36]

    Cfr., F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 898

Marco Vitali

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