Diritto al risarcimento del Datore di Lavoro per invalidità del dipendente causata da terzi a seguito di incidente stradale.

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Come è ben noto qualsivoglia pregiudizio può arrecare, anche attraverso una semplice omissione, un danno.
Un evento pregiudizievole, infatti,  può influire direttamente od indirettamente nella situazione patrimoniale di un soggetto, provocando appunto un danno patrimoniale, che può concretizzarsi in danno emergente (ossia l’effettiva perdita economica) o in lucro cessante (ovvero il mancato guadagno).
La norma fondamentale in tema di responsabilità aquiliana rimane l’art. 2043 c.c. , che, attraverso la lettura giurisprudenziale, ha progressivamente esteso la portata della risarcibilità del danno ingiusto.
Un caso particolare è appunto dato dal danno patito dal datore di lavoro a seguito dell’incidente stradale che abbia visto vittima il proprio dipendente.
A seguito di incidente stradale il datore di lavoro può, infatti, aver subito un ingiusto danno consistente nella assenza forzosa del proprio dipendente.
La Giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha progressivamente riconosciuto il diritto all’azione di rivalsa del datore di lavoro nei confronti di chi abbia provocato un danno al proprio dipendente.
Il problema è stato inizialmente affrontato a cavallo tra gli anni settanta ed ottanta con pronunzie ormai storiche.
La Suprema Corte ha così sentenziato nel 1980..
Qualora il diritto di credito di uno dei soggetti del rapporto contrattuale sia leso dal fatto di un terzo, l’obbligo del risarcimento ai sensi dell’art 2043 cod civ e limitato – in base al principio stabilito dall’art 1223 cod civ e valido sia per la responsabilita contrattuale che per quella extracontrattuale – ai danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito secondo un rigoroso rapporto di causalita. in particolare, nelle ipotesi d’incidenza del fatto del terzo in un rapporto contrattuale di lavoro – esclusa in ogni caso la risarcibilita, in favore del datore di lavoro, dei danni costituiti dal versamento dei contributi assicurativi e dalla corresponsione al lavoratore, nei giorni di assenza, della retribuzione e dell’indennita integrativa di malattia – deve accertarsi, volta per volta, se la mancata prestazione del lavoratore, ricollegabile in via diretta e immediata al fatto illecito del terzo, abbia, in concreto, dato luogo alla necessita di sostituire il lavoratore assente con altra persona, con relativo sacrificio di natura economica, ovvero all’impossibilita di tale sostituzione, in relazione alla particolare natura ed importanza della prestazione lavorativa venuta meno (definitivamente o temporaneamente), con conseguente grave ed insanabile pregiudizio dell’azienda.
La risarcibilita del danno ex art 2043 cod civ va ammessa con riguardo non solo alla lesione di diritti assoluti e primari (della persona e della proprieta) ma anche alla lesione di un diritto di credito. l’ingiustizia del danno considerata da detta norma e, infatti, da intendersi nella duplice accezione di danno prodotto non iure (nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall’ordinamento, come, ad esempio, nelle ipotesi di legittima difesa e di stato di necessita) e di danno prodotto contra ius (nel senso che il fatto dannoso incida su di una posizione soggettiva attiva tutelata e riconosciuta dall’ordinamento come diritto soggettivo), con la conseguenza che, sotto tale profilo, non v’e ragione per discriminare i diritti assoluti dai diritti relativi, riconoscendo agli uni e negando, in ogni caso, agli altri la tutela aquiliana. ne sussiste incompatibilita tra il carattere relativo della tutela del diritto di credito e il carattere assoluto della tutela aquiliana, in quanto tali tutele riguardano due momenti diversi del rapporto obbligatorio, la prima attenendo al momento dinamico o interno, che si esprime nel potere del creditore di esigere la prestazione dal debitore, e la seconda, invece, al momento statico o esterno, che si esprime nell’appartenenza dell’interesse del creditore alla sfera giuridica patrimoniale del medesimo, come mezzo di difesa di tale sfera dall’illecita ingerenza di terzi
Cass. Civ. Sez. III 1° aprile 1980 n. 2105.
Come si può agevolmente notare, i Giudici della Suprema Corte, pur escludendo il diritto al risarcimento relativo agli obblighi previdenziali, timidamente, ammettevano una forma di risarcimento, pur condizionata al rigoroso onere probatorio eziologico.
Sul punto la Giurisprudenza di merito seguiva la scia aperta dalla Cassazione, spingendosi anche più in là.
Va riconosciuto fondato il diritto del datore di lavoro al risarcimento dei danni direttamente cagionatigli dalla privazione delle energie lavorative del dipendente rimasto leso in un incidente stradale. L’assenza del lavoratore, infatti, priva l’imprenditore delle forze che quel prestatore, in quel certo periodo, sarebbe stato vincolato a prestare esclusivamente in favore dell’azienda alla quale è legato dal rapporto di lavoro. Avendo il lavoratore diritto, quale inadempiente incolpevole di un rapporto contrattuale di lavoro subordinato, alla controprestazione (pagamento della retribuzione), consegue che le lesioni che invalidano in qualche misura la sua capacità lavorativa procurano, tra gli altri, un danno diretto nel patrimonio del datore di lavoro, creditore della prestazione mancata. Pertanto, spetta all’imprenditore, a titolo di risarcimento dei danni, il rimborso della quota, valutabile in via equitativa, relativa al mantenimento del lavoratore per il periodo di assenza” (Pretura Modena 14.5.1981, Societa’ Faral c. Societa’ Righi e altro, in Orient. giur. lav. 1982, 1008).  
L’effettivo giro di boa si è però avuto con la pronunzia delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che, in funzione di nomofilachia, hanno avuto occasione di precisare il principio di diritto attinente alla tutela aquiliana del datore di lavoro per invalidità temporanea causata da terzi.
Il responsabile di lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, con conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative, la quale integra un ingiusto pregiudizio, a prescindere dalla sostituibilità o meno del dipendente, causalmente ricollegabile al comportamento doloso o colposo di detto responsabile. Tale pregiudizio, in difetto di prova diversa, è liquidabile sulla base dell’ammontare delle retribuzioni e dei contributi previdenziali, obbligatoriamente pagati durante il periodo di assenza dell’infortunato, atteso che il relativo esborso esprime il normale valore delle prestazioni perdute (salva restando la risarcibilità dell’ulteriore nocumento in caso di comprovata necessità di sostituzione del dipendente).
Cass. Sez. Un. 12 novembre 1988 n. 6132
Le Sezioni Unite hanno avuto quindi modo di precisare la sussistenza del diritto del datore di lavoro al risarcimento pari all’ammontare delle retribuzioni e contributi pagati, salvo prova del maggior danno.
 La Corte ha quindi stabilito che il responsabile delle lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente sia tenuto a risarcire il datore di lavoro per l’esborso a vuoto della retribuzione (e dei relativi accessori) al predetto dipendente infortunato.
Al riguardo si è precisato che tale esborso, che si presenta come inevitabile, in quanto è dovuto per legge o per contratto, si traduce in un danno ingiusto per il datore di lavoro, giacché il fatto illecito del terzo, che lede l’integrità fisica del lavoratore, determinerebbe l’assenza dal lavoro per malattia, priva nel contempo il datore di lavoro delle prestazioni lavorative e lui dovute, senza sospendere il suo obbligo di corrispondere la retribuzione. Pertanto, con la menzionata sentenza si è riconosciuto che il danno risentito dal datore di lavoro per l’invalidità temporanea del dipendente, causata dalla predetta azione dal terzo, va risarcito da quest’ultimo, sussistendo un nesso eziologico tra l’evento lesivo ed il pregiudizio economico che per suo tramite è derivato al diritto di credito del datore di lavoro.
Affermato il principio in commento, si è aperto il vaso di Pandora delle interpretazioni poste a corollario di quanto statuito dalle Sezioni Unite.
Ci si è pertanto chiesto se competesse al datore di lavoro azione diretta anche nei confronti dell’assicuratore del danneggiante al fine di ottenere il ristoro dei danni patiti.
Al riguardo va considerato che nell’assicurazione da responsabilità civile l’assicuratore è obbligato, ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Quindi, l’assicuratore risponde, nei limiti del massimale, di tutti gli eventi dannosi derivanti dall’evento assicurato. Pertanto la legge n. 990 del 1969 sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da circolazione dei veicoli a motore ha accentuato tale obbligo, in quanto, all’art.- 18, ha attribuito al "danneggiato" da sinistro causato dalla detta circolazione la legittimazione attiva ad esperire azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore del responsabile.
Tenendo presente che la detta legge è stata ispirata a fini specifici di tutela e garanzia dei diritti lesi per effetto di eventi eziologicamente riconnessi alla circolazione stradale, deve ritenersi che con l’espressione "danneggiato" si sia inteso indicare non soltanto la persona direttamente coinvolta nel sinistro, ma anche chiunque abbia subito un danno che si trovi in rapporto causale con il sinistro, cioè che si presenti come effetto normale e conseguenziale del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., sulla cui interpretazione la Corte di Cassazione, seppur su fattispecie differenti, aveva avuto modo di pronunziarsi.
Ne discende che, coprendo la garanzia assicurativa (obbligatoria) anche i danni costituiti dalla lesione, in dipendenza del sinistro, di diritti di credito, il titolare di tali diritti è legittimato a richiedere il relativo risarcimento dell’assicuratore del danneggiante, come può pertanto avvenire appunto nel caso in esame.
Nè a ciò può fondatamente opporsi che, stando alla lettera del 1 co. dell’art. 1 della legge 990-69, l’obbligo assicurativo è circoscritto alla sola responsabilità civile verso terzi prevista dall’art. 2054 cod. civ.
Infatti, in aggiunta a quanto già si è detto sullo schema operativo della assicurazione della responsabilità civile e sui fini perseguiti dalla legge n. 990-69, va rilevato che l’espressione "danno prodotto a persone o cose" di cui all’art. 2054 cod. civ. – il quale specifica e rafforza il precetto generale dell’art. 2043 cod. civ. – ricomprende non solo il danno alle persone ma anche quello di natura patrimoniale, e che inoltre il riferimento a tale norma, da parte del 1 co. dell’art. 1 della citata legge, non va esaminato isolatamente, essendo obbligatoria l’assicurazione anche in relazione ad ipotesi di responsabilità (v. art. 1 co. 2) non ricomprese nell’art. 2054 cod. civ. e per le quali il dato decisivo è costituito dal fatto che il danno a terzi si ricolleghi al sinistro causato dalla circolazione del veicolo assicurato.
Invero, la legittimazione del datore di lavoro per l’azione diretta ex art. 18 della legge n. 990 del 1969 nei confronti dell’impresa assicuratrice di un veicolo in relazione al preteso risarcimento del danno per la mancata prestazione del dipendente a causa (e nel periodo) di invalidità determinata in un incidente stradale addebitabile a colpa del conducente del veicolo con essa assicurato, risulta esattamente informata alla nozione di "danneggiato" adottata dalla citata legge n. 990 nonché all’ambito di applicazione di detta normativa.
Non può sfuggire che laddove la legge n. 990 del 1969 all’art. 18 attribuisce l’azione diretta nei confronti dell’impresa assicuratrice al "danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante", l’accezione "danneggiato" non può essere intesa nel senso restrittivo di persona solo direttamente e quindi fisicamente coinvolta in modo pregiudizievole nell’accidente stradale bensì in quello di chiunque abbia subito un danno, che con quel sinistro si trovi nel descritto rapporto causale a norma dell’art. 1223 cod. civ., cioè quel pregiudizio che, come nel caso del datore di lavoro per la mancata utilizzazione del dipendente infortunato, sia ricollegabile alla condotta del responsabile dell’incidente stradale quale sua conseguenza normale e regolare.
D’altro canto, l’anzidetta nozione ristretta del termine "danneggiato" trova significativa e non superabile smentita proprio nell’ambito della richiamata disciplina della legge n. 990 del 1969, quanto si tenga presente che laddove dal legislatore si è voluta (ai diversi fini di contenere la garanzia ex lege nei casi previsti dall’art. 19) siffatta limitazione, essa è stata espressamente enucleata come nel successivo art. 21 con la dizione "per ogni persona sinistrata", che nella costante interpretazione della Suprema Corte (v. Cass. 22.2.1988 n. 1831; Cass. 24.9.1985 n. 4712) è stata identificata nel soggetto individuo che nel sinistro abbia subito danni alla persona e non anche in qualsiasi altro soggetto che dall’altrui danno alla persona abbia risentito effetti patrimoniali negativi. Non senza doversi evidenziare come per contro nella chiara finalità della legge n. 990 di includere nell’obbligo dell’assicuratore, direttamente azionabile e coercibile dall’interessato, gli effetti patrimoniali negativi della circolazione del veicolo assicurato si pone univocamente quella norma approntata dall’art. 28 per il recupero delle spese di spedalità e delle altre prestazioni ivi indicate.
D’altro canto va ancora opportunamente rilevato che all’anzidetta lata nozione del danneggiato (anche ai fini della legittimazione all’azione diretta ex art. 18 legge n. 990) non si appalesa divergente il tenore della disciplina del concorso delle "persone danneggiate" approntata dall’art. 27, dovendosi considerare che il testuale riferimento "nello stesso sinistro" di quella previsione non privilegia una stretta correlazione materiale con l’evento pregiudizievole della circolazione dei veicoli bensì si presenta indirizzato ad enucleare la necessaria ricorrenza dell’identità dell’evento dannoso e dell’incidenza solo affettuale di questo nei confronti di più soggetti per derivarne i limiti di indennizzo e gli obblighi dell’assicuratore.
La conclusione così interpretata in consonanza con la divisata nozione di danneggiato non può peraltro trovare limite con riguardo al richiamo contenuto nell’art. 1 della legge n. 990 del 1969 alla norma dell’art. 2054 cod. civ. per la responsabilità civile, cui riferire l’assicurazione obbligatoria con essa disciplinata.

Al riguardo, infatti, della così pretesa afferenza della garanzia obbligatoria alla responsabilità per danni alle cose od alle persone prodotti dalla circolazione stradale e quindi della conseguente esclusione del danno vantato dal datore di lavoro dell’infortunato, in quanto diversamente conseguente alla lesione di un credito, risarcibile solo ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., non può non ribattersi che la legge n. 990 del 1969 si volge ben al di là del cennato richiamo ad ipotesi di responsabilità diverse da quelle contemplate dall’art. 2054 cod. civ., quali quella del veicolo che circola "prohibente domino" che certamente non può includersi nell’ambito di previsione della detta norma, come quella del danno al trasportato per cortesia, che significativamente resta tutelato proprio nell’ambito della generale norma di cui all’art. 2043 cod. civ., per non ricordare la stessa inclusione nelle prestazioni (dovute dal "fondo di garanzia") dei danni morali in conformità della diversa regola generale dettata dall’art. 2059 cod. civ. (v. Cass. 19.1.1987 n. 425; Cass. 20.1.1983 n. 569).
Vero si è che la legge n. 990 del 1969 nell’approntare l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, regolandone modalità ed effetti, ha lasciato inalterata in tutta la sua ampiezza, la disciplina della responsabilità civile prevista dagli artt. 2043 e 2054 cod. civ., che del primo costituisce una specificazione, nel senso che per quella così disciplinata garanzia assicurativa ex lege si è voluto trovare applicazione e limite non con riguardo a quella esclusiva oggettivazione "persone o cose" e così all’esclusiva tutela approntata dal richiamato art. 2054 bensì – come si è visto – in riferimento alla responsabilità civile nella sua più generale accezione (anche in ordine alla rilevata tutela aquiliana del credito), reperendosi la sua limitazione, ai fini che la legge si prefigge, nelle sole modalità genetiche di quella responsabilità e, quindi, per le imputabili conseguenze patrimoniali che trovano causa nella sola circolazione dei veicoli e così con riferimento ai danneggiati ed ai responsabili degli eventi ad essa attinenti con la conseguenza che proprio tale finalità non può non comportare che il danno patito dal datore di lavoro nel senso che si è precisato, in quanto eziologicamente collegato al sinistro stradale, cioè alla specifica afferenza della condotta illecita del responsabile alla circolazione dei veicoli, in rispondenza all’espresso referente dell’art. 1 della legge n. 990, deve trovare regolamento e tutela nella detta legge, specie con quella facoltà ex art. 18 di proporre la domanda risarcitoria nei diretti confronti dell’assicuratore di quel responsabile, sì da raggiungere quel debito risultato perseguito dalla legge di riunire in un unico processo i protagonisti attivi e passivi del sinistro stradale, siccome rivelato anche dal successivo art. 23, che – come si è osservato anche da autorevole dottrina – risulterebbe grandemente ostacolato (anche con riguardo alla cennata ipotesi del concorso di più danneggiati ed alla relativa regolamentazione dei rispettivi confliggenti interessi risarcitori), se non del tutto vanificato, nel caso di un necessario ulteriore e separato giudizio nei confronti, del solo responsabile.
Alla stregua delle suesposte considerazioni non può quindi negarsi la legittimazione del datore di lavoro a richiedere anche in via diretta il risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni inferte al proprio dipendente nell’ambito della legge n. 990/69.
Così la Suprema Corte ha inaugurato un indirizzo costante
            “Nella nozione di danneggiato dalla circolazione di veicolo o natante soggetti all’obbligo assicurativo, in relazione al quale l’art. 18 della legge 24 dicembre 1969 n. 990 prevede l’azione diretta contro l’assicuratore, vanno incluse, non soltanto le persone direttamente e fisicamente coinvolte nell’incidente, ma tutte quelle che abbiano subito un danno in rapporto di derivazione causale con l’incidente medesimo, e, quindi, anche il datore di lavoro, in relazione al pregiudizio subito per l’invalidità temporanea del dipendente, considerato che tale estensione di quell’azione diretta, al di là delle specifiche ipotesi di responsabilità contemplate dall’art. 2054 c.c., è imposta dal coordinamento del citato art. 18 con le altre disposizioni della legge (in particolare agli artt. 21, 27 e 28) e dalla "ratio" della norma stessa, rivolta ad accordare la suddetta azione con riferimento a tutti gli effetti patrimoniali negativi della circolazione del veicolo assicurato” (Cass. sez. civ. III, 21.10.1991, n. 11099, Istituto Trentino Alto Adige Assicurazioni c. Società Sechler Hold e altro, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc.10).
            “Al datore di lavoro, che abbia risentito pregiudizio a causa della invalidita’   temporanea del dipendente coinvolto in incidente stradale, spetta l’azione diretta contro l’assicuratore, ai sensi dell’art. 18 l. 24 dicembre 1969 n. 990, tenendo conto che il principio operante in materia di assicurazione della responsabilità civile, secondo cui l’assicuratore,   nei limiti del massimale, risponde di tutti i fatti dannosi derivanti dall’evento assicurato, trova conferma ed accentuazione nel citato art. 18, il quale accorda detta azione in via generale al "danneggiato", senza alcuna limitazione alle sole ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c.” (Cass. sez. III civ., 21.10.1991, n. 11100, ITAS Assicurazioni c. Pegoraro e altro, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc.10).
Il principio secondo il quale il responsabile, in danno di lavoratore dipendente, di lesioni personali che abbiano provocato la sua invalidità temporanea lavorativa assoluta del predetto, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative del predetto dipendente, salva restando la risarcibilità dell’ulteriore pregiudizio patrimoniale eventualmente subito dal medesimo datore di lavoro in caso di comprovata necessità di sostituzione del lavoratore assente con elementi esterni all’azienda, o di particolare nocumento alla produzione, trova applicazione anche nel caso di lavoro prestato per una società di persone da un socio, sia che si tratti di lavoro subordinato, sia che si tratti di conferimento di lavoro, a fronte del quale non vi sia retribuzione, ma solo partecipazione agli utili societari. In tale ultima ipotesi, il danno per la società può consistere in una diminuzione degli utili per la mancanza dell’apporto lavorativo del socio, che, ove non assorbita dalla diminuzione della quota degli utili corrisposti al socio danneggiato – il quale potrà farla valere nei confronti del danneggiante -, deve essere risarcita alla società dal danneggiante.
Cass.Civ. Sez. III 4 novembre 2002 n. 15399.
Nella nozione di danneggiato dalla circolazione di veicolo o natante soggetti all’obbligo assicurativo, in relazione al quale l’art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 prevede l’azione diretta contro l’assicuratore, vanno incluse non soltanto le persone direttamente e fisicamente coinvolte nell’incidente, ma tutte quelle che abbiano subito un danno in rapporto di derivazione causale con l’incidente medesimo, e, quindi, anche il datore di lavoro, in relazione al pregiudizio subito per l’invalidità temporanea del dipendente, considerato che tale estensione di quell’azione diretta, al di là delle specifiche ipotesi di responsabilità contemplate dall’art. 2054 cod. civ., è imposta dal coordinamento del citato art. 18 con le altre disposizioni della legge (in particolare gli artt. 21, 27 e 28) e dalla "ratio" della norma stessa, rivolta ad accordare la suddetta azione con riferimento a tutti gli effetti patrimoniali negativi della circolazione del veicolo assicurato; ne consegue che la relativa controversia, se non eccede i limiti di valore stabiliti dall’art. 7, secondo comma, cod. proc. civ., rientra nella competenza del giudice di pace, e non nella competenza per materia del giudice del lavoro, poiché la pretesa azionata non si ricollega direttamente ad un rapporto di lavoro subordinato, ne’ detto rapporto si presenta come antecedente o presupposto necessario – e non meramente occasionale – della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale
Cass. Sez. Lav. 15 settembre 2003 n. 13549.
Risulta quindi ormai assodato il diritto del datore di lavoro a vedersi riconosciuto, con azione risarcitoria diretta, il ristoro dei danni cagionati per la privazione delle forze lavoro del dipendente.
In particolare, il danno conseguente all’azione colposa del danneggiante sarà individuato nella perdita della quota retributiva corrisposta al lavoratore, nonché a quanto erogato dall’attrice per sostituire il dipendente incolpevolmente assente.
 
Le eventuali cifre corrisposte dal datore di lavoro, a titolo quota parte di indennità di malattia sono la diretta conseguenza dell’incidente nella specie occorso per esclusivo fatto e colpa del terzo danneggiante e, come tale, anche a mente dell’art. 2043 c.c., dovrà essere risarcito.
E’ appena il caso di rammentare che il lavoratore in malattia od in infortunio per tutta la durata della assenza dal lavoro ha diritto alla propria retribuzione (o, dopo un certo periodo, ad una parte di essa). La quota di retribuzione viene garantita dagli Enti previdenziali (INPS, INAIL, etc.) mentre una parte è a carico del datore di lavoro stesso in base alla normativa speciale ed alla contrattazione collettiva.
Ovviamente sarà onere della prova di parte attrice allegare la documentazione degli esatti importi eventualmente esborsati in base al noto principio del giudizio  iuxta alligata et provata che governa il processo civile.
In caso di dubbio, comunque, bene il Giudice di prime cure potrà affidarsi ad una consulenza contabile attraverso l’ausilio di un consulente del lavoro.
Vi possono essere altresì casi particolari, da valutarsi nell’ambito della fattispecie concreta, in presenza dei quali il datore di lavoro, sempre a seguito dell’infortunio del proprio dipendente, possa essere tenuto, giusti peculiari computi dell’Istituto previdenziale, al pagamento di un supplemento del premio assicurativo dovuto all’INAIL, stante l’aumento del rischio. Anche in questo caso, si ritiene corretta la legittimazione del datore di lavoro ad ottenere il ristoro di quanto corrisposto, salvo, ovviamente, il rigoroso onere della prova dell’effettivo versamento, nonché della sussistenza del nesso causale tra l’aumento del rischio e l’incidente occorso al proprio dipendente.
In conclusione,. Quindi, si può tranquillamente affermare il buon diritto del datore di lavoro, quale terzo danneggiato, al risarcimento del danno da azionarsi in via diretta anche nei confronti della Compagnia assicuratrice del danneggiante.
 
Marco Carlo A. Boretti
Ufficio del Giudice di Pace di Torino
Sezione IV Civile               
 
 

Boretti Marco Carlo A.

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