Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni “soggettivamente” inesistenti: il reato si configura solo se uno dei soggetti dell’operazione sia rimasto del tutto estraneo alla stessa

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I Supremi Giudici nelle sentenze in commento ricostruiscono la definizione di << fatture o altri documenti per operazioni inesistenti >> dettata dall’art. 1, d.lgs. n. 74/2000, secondo cui << per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi >> (lett. a.).

Detta definizione è importante ai fini dell’integrazione della fattispecie ex art. 2, d.lgs. n. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), il cui comma 1 dispone che << È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi >>.

La Corte di Cassazione nella pronuncia n. 3203/2009 evidenzia che affinché si integri la definizione di operazione soggettivamente inesistente è essenziale che l’operazione non intercorra fra i soggetti indicati nella fattura o in altro documento fiscale equipollente.

È dunque necessario che uno dei soggetti sia rimasto del tutto estraneo all’operazione commerciale, situazione che si concretizza attraverso le fatturazioni effettuate dalle cosiddette società << cartiere >>, soggetti scientemente creati, non operativi, che consentono a terzi l’evasione di imposta.

Ne deriva il principio secondo cui << le fatture emesse da parte dei fornitori o prestatori d’opera nei confronti del committente o cessionario che ha effettuato il pagamento non possono qualificarsi come fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, essendo essi in conformità della legislazione tributaria gli “effettivi” soggetti del rapporto >>.

I Giudici di vertice puntualizzano che, in tal caso, non ravvisandosi alcuna emissione o utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, al più potranno individuarsi nei confronti dell’utilizzatore della fattura, sussistendone gli altri presupposti pretesi dalla norma, le fattispecie dettate dagli artt. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) o 4 (Dichiarazione infedele), allorché si accerti la non inerenza della stessa ovvero della prestazione ad essa relativa.

Precisano, tra l’altro, che diverse interpretazione della definizione dell’art. 1, d.lgs. n. 74/2000 determinerebbe un insanabile contrasto normativo tra le disposizioni che fanno obbligo di emettere la fattura nei confronti del committente della merce o del servizio che ne effettua il pagamento e la attribuzione, ai fini penali, di natura fittizia a detta fatturazione.

Secondo il collegio, un ulteriore riscontro all’interpretazione della norma in tal senso può desumersi dall’art. 9, d.lgs. n. 74/2000, che esclude il concorso nello stesso reato di colui che emette e di colui che successivamente utilizza le fatture per operazioni inesistenti, evincendosi dalla previsione normativa la sostanziale corrispondenza delle ipotesi di emissione e successiva utilizzazione di fatture false, mentre nel caso di indebita imputazione di costi non inerenti le fatture certamente non sono fittizie, in quanto provengono dal soggetto che per obbligo di legge doveva emetterle in favore di colui che le riceve quale effettivo committente della prestazione (in questo senso, E. Boffelli, I reati tributari (2005-2012), Parte Prima, In Dir. prat. trib., n. 3/2012, 569).

È inoltre criticato l’operato dei Giudici del merito poiché avrebbero confuso la nozione di << costi fittizi >> con quella di << costi non inerenti >>, in quanto – osservano i Giudici di legittimità – << mentre con il termine “fittizi” indicato dalla norma devono intendersi esclusivamente i costi materialmente inesistenti e, cioè, i costi che non sono mai stati sostenuti dal contribuente >>, viceversa i costi non deducibili sono costi non inerenti ancorché esistenti. Pertanto, l’utilizzazione del bene o della prestazione da parte di un terzo soggetto può assumere valenza per l’eventuale esclusione del requisito dell’inerenza del costo dell’operazione sostenuto dal committente, ma mai – aggiungono – sotto il profilo della fittizietà della fattura o di altro documento (i Giudici del merito danno una interpretazione estensiva, che qualifica come fittizi anche i costi non inerenti: Trib. di Firenze, 23 marzo 2006, n. 1212, in Riv. dir. trib., 2007, III, 63-69 ss., con nota critica di A. Traversi, S. Gennai, Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. I costi non inerenti sono elementi passivi fittizi?).

Della nozione penale di elementi fittizi ne dà una definizione particolarmente rigorosa la Guardia di finanza (Guardia di finanza, Circ. 29 dicembre 2008 n. 1/2008, vol. III, 179 – III Reparto operazioni – Uff. tutela entrate, in banca dati fisconline). Il documento di prassi, infatti, rinviando al contenuto della circolare n. 114000 del 14 aprile 2000, evidenzia come ai fini penali la nozione di elementi passivi fittizi sia comprensiva delle componenti negative non vere, non inerenti, non spettanti o insussistenti nella realtà, che risultino dichiarate in misura superiore a quella effettivamente sostenuta o ammissibile in dichiarazione (conformemente, Dir. AA.GG. e cont. trib., Circ. 4 agosto 2000, . n. 154/E, in banca dati il fiscovideo).

In prassi, ancora, il Protocollo di intesa del 25 ottobre 2000, approvato dalla Procura presso il Tribunale di Trento, dalla Direzione delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento e dalla Guardia di finanza Comando regionale Trentino-Alto Adige, evidenzia che il costo fittizio è il costo non deducibile a condizione, tuttavia, che il contribuente ponga in essere un qualche comportamento atto a farlo apparire come deducibile, integrando così il dolo specifico di evasione richiesto dalla norma esaminata.

La posizione che interpreta il concetto di fittizietà con riferimento, non solo alle operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, ma anche a quelle realmente effettuate ma indeducibili, è criticata da autorevole dottrina (I. Caraccioli, Deduzioni fittizie in procura, in Il Sole-24Ore, 23 marzo 2009).

L’orientamento giurisprudenziale riconducibile a Cass., n. 3203/2009 è confermato, sia pure in parte – e nei termini che seguono – dalla stessa Corte di Cassazione nella pronuncia n. 10394/2010, dove, per un caso analogo, è precisato che l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è una circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre.

Pertanto i Giudici di vertice, pur ribadendo che << la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da un soggetto diverso da quello figurante sulle fatture >>, effettuano un distinguo a seconda che si verta in materia di Iva o di imposte sui redditi, poiché solo nel secondo caso il reato è ipotizzabile << esclusivamente >> di fronte ad operazioni oggettivamente inesistenti.

Precisano che quanto avanzato dalla ricorrente (secondo cui, trattandosi di fatture solo soggettivamente inesistenti – << ossia trattandosi di semplice simulazione soggettiva >> – comunque i costi erano stati sostenuti) avrebbe potuto essere apprezzata unicamente in riferimento alle imposte dirette, qualora effettivamente si accertasse che gli elementi passivi esposti corrispondevano a costi realmente sostenuti, ma non per l’evasione dell’Iva, la quale può essere configurabile anche in presenza di costi effettivamente sostenuti. Questo tenuto conto che la detrazione dell’Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione.

In particolare, << non entrano cioè nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni inesistenti per quanto concerne il rapporto relativo alle operazioni fatturate. Ed a nulla rileva che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti >>.

L’orientamento è puntualmente richiamato nella pronuncia n. 41444/2011, sempre della Corte di Cassazione, da cui emerge che << Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’Iva, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura >> (conformemente, Cass., Sez. III pen., 22 febbraio 2012, n. 7039).

Toma Giangaspare Donato

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