Il danno da nascita indesiderata è risarcibile solo se il medico ha tenuto una condotta negligente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: il danno da nascita indesiderata
I genitori di una bambina nata affetta da sindrome di down adivano il Tribunale di Busto Arsizio per ottenere la condanna della ginecologa che aveva seguito la gravidanza al risarcimento dei danni subiti per l’omesso consenso informato e per la nascita indesiderata della bambina.
In particolare, gli attori sostenevano di essersi rivolti alla ginecologa convenuta per essere seguiti nella nascita della loro secondogenita e che avevano espressamente chiesto alla dottoressa di poter conoscere in tempo eventuali anomalie del feto, in modo da poter eseguire tutti gli esami necessari per decidere autonomamente e consapevolmente se portare avanti la gravidanza o se abortire (ciò in quanto avevano già un figlio affetto da autismo).
Gli attori deducevano inoltre che la convenuta si era limitata a consigliare alla madre di sottoporsi al solo duo-test, senza consigliarle di effettuare ulteriori esami e approfondimenti clinici, senza informarla adeguatamente e senza raccogliere il consenso della gestante circa detti possibili ulteriori test ed inoltre rassicurando i genitori che il feto non aveva anomalie o malformazioni.
Nonostante ciò, al momento del parto i genitori apprendevano che la neonata era affetta da sindrome di down e ciò aveva causato notevoli danni a tutta la famiglia.
Si costituiva in giudizio la ginecologa, contestando la propria responsabilità nella vicenda descritta dagli attori, in quanto la stessa aveva fornito alla gestante tutte le informazioni necessarie per poter decidere autonomamente e consapevolmente in ordine agli esami da eseguire, nonché avendo correttamente acquisito il consenso informato della gestante ed avendo operato nel rispetto delle linee guida previste per il caso di rischio basso in gravidanza. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
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2. Le valutazioni del Tribunale
L’aspetto più interessante esaminato dalla sentenza in commento riguarda la domanda formulata dagli attori di risarcimento del danno da nascita indesiderata.
Secondo il Tribunale di Busto Arsizio, grava sul soggetto danneggiato la prova della sussistenza delle condizioni previste dalla legge n. 194/1978 per l’interruzione volontaria della gravidanza e della presunta volontà della gestante di abortire se fosse stata informata della malformazione del feto.
La parte attrice, inoltre, può fornire la prova di ciò anche mediante delle presunzioni semplici.
L’evento lesivo che si configura nel caso della nascita indesiderata non è la nascita di per sè, bensì la privazione della facoltà per la gestante di esercitare consapevolmente la scelta abortiva.
Conseguentemente, l’evento lesivo è la privazione della possibilità per la gestante di autodeterminarsi consapevolmente nei rapporti parentali e filiali.
Una volta che il danneggiato sia riuscito a fornire la prova di cui sopra, graverà sul medico la prova contraria, consistente nella insussistenza della ipotetica volontà abortiva della gestante oppure nella dimostrazione della diligenza del proprio operato.
Infatti, il danno da nascita indesiderata presuppone comunque la negligente condotta del medico, che consiste nella omessa od erronea diagnosi e nell’omessa informazione nei confronti della gestante della futura malformazione che avrà il neonato.
In altri termini, se il medico adempie correttamente alla propria prestazione, diagnosticando correttamente le malformazioni fetali e informando di ciò la gestante, non vi potrà essere alcuna responsabilità a carico del medico per la nascita “indesiderata”. Analogamente, alcuna responsabilità potrà sussistere in capo al medico se detta prestazione non poteva essere adempiuta per fatto non imputabile al medico stesso: quindi se al medico non è rimproverabile alcuna condotta colposa.
usale.
La prova che, ove correttamente informata, la gestante avrebbe abortito, ha un rilievo soltanto se vi è stata una condotta negligente del medico e serve a provare che, se il medico si fosse comportato diligentemente, la gestante si sarebbe diversamente determinata.
Invece, la scelta di abortire della gestante non ha una diretta incidenza sulla diligenza del medico: cioè non impone al medico l’adozione di cautele ulteriori rispetto a quelle suggerite dalle linee guida o l’effettuazione di esami ulteriori che le linee guida non prescrivono come doverosi.
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3. La decisione del Tribunale
In primo luogo, il Tribunale ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per lesione del consenso informato formulata dai genitori della neonata.
A tal proposito, il giudice ha accertato che è stato depositato in giudizio dalla convenuta il modulo del consenso informato che è stato sottoscritto dalla gestante. Da detto modulo emerge che quest’ultima è stata adeguatamente informata del fatto che il test dalla medesima eseguito non presentava il grado di attendibilità più elevato e che invece l’esame amniocentesi e villocentesi avevano un grado di attendibilità prossimo al 100%. In secondo luogo, da detto documento emerge altresì che la ginecologa aveva informato la gestante non che il test in questione era attendibile al 99%, bensì che – in caso di sottoposizione al test – soltanto l’1% dei bambini nasce con problemi o malformazioni (quindi non vi era alcun riferimento alle percentuali di riuscita del test).
In considerazione di ciò, il giudice ha ritenuto non corrispondente al vero che il modulo di consenso informato abbia ingenerato nella paziente una rappresentazione distorta della realtà.
Inoltre, il giudice ha ritenuto non corrispondente al vero che la gestante, di madre lingua straniera, fosse incapace di comprendere appieno le implicazioni del consenso informato e le indicazioni della ginecologa.
Infine, il giudice ha ritenuto irrilevante il fatto che il consenso informato era stato rilasciato su un modulo prestampato.
Sul punto, il giudice ha precisato che l’obbligo di acquisizione del consenso informato non impone l’adozione di un atto scritto ad hoc per ogni singolo caso concreto di cui si occupa il medico ed inoltre, nel modulo in questione (sottoscritto dalla paziente), sono stati indicati tutti i profili di cui l’attrice ha lamentato la disinformazione.
Per quanto riguarda la domanda da risarcimento del danno per nascita indesiderata, il giudice ha ritenuto anch’essa infondata.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che la ginecologa ha operato in maniera diligente ed ha correttamente adoperato i mezzi diagnostici previsti dalle linee guida nonché che la stessa ha svolto in maniera diligente l’attività diagnostica e la connessa attività informativa.
Infatti, la scelta di sottoporre la gestante in primo luogo al test combinato, per poi valutare solo successivamente l’eventualità di ulteriori esami diagnostici, deve reputarsi pienamente adesiva ai dettami delle linee guida, e dunque diligente. Inoltre, alla luce del risultato del bi-test (rischio “basso”) nel caso concreto, non può ritenersi che la ginecologa avesse l’obbligo, ai sensi delle linee guida, di suggerire e/o di eseguire ulteriori esami diagnostici.
Ciò a maggior ragione se si considera che il consenso informato già riportava le ulteriori opzioni diagnostiche disponibili nel caso in cui il bi-test avesse presentato un rischio basso: quindi la gestante era stata messa in condizioni di conoscere, per il caso di rischio basso del test eseguito, quali eventuali ulteriori test di screening eseguire per avere maggiore certezza delle condizioni fetali; con la conseguenza che la gestante ha potuto scegliere in autonomia se eseguire o meno detti ulteriori test.
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