Crimini di guerra in Ucraina: la Corte Penale emette i primi mandati d’arresto

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Le imputazioni riguardano le «responsabilità di comando» per i bombardamenti indiscriminati contro infrastrutture civili. Si configurano «crimini di guerra»«crimini contro l’umanità», per gli «atti disumani»  commessi su larga scala «in applicazione di una politica statale». La giurisdizione della Corte potrà incidere sulla pressione della comunità internazionale per indurre Putin a fermare la guerra.

Indice

1. Le indagini avviate dalla Corte penale internazionale


La Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto nei confronti di alti ufficiali delle forze armate russe: il tenente generale Sergej Ivanovič Kobylash e l’ammiraglio Viktor Nikolaevič Sokolov, all’epoca dei fatti comandanti rispettivamente delle forze aerospaziali  e della flotta del Mar Nero. Il 5 marzo scorso la  Pre-Trial Chamber II  – composta dal giudice italiano Rosario Salvatore Aitala, dal giapponese Tomoko Akane e dal costaricano Ugalde Godinez –  ha ritenuto fondata la richiesta di arresto formulata dal prosecutor per le gravi responsabilità emerse per  crimini di guerra  e crimini contro l’umanità  previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale, noto come lo Statuto di Roma. I fatti si riferiscono alla campagna di bombardamenti indiscriminati sferrati contro le infrastrutture civili dell’ Ucraina nel periodo compreso dal  10 ottobre 2022  al 9 marzo 2023. In particolare si tratta della serie di attacchi sistematici diretti contro le infrastrutture elettriche (centrali, sottostazioni e dighe) che hanno comportato gravi distruzioni, ma anche lutti e sofferenze per la popolazione civile. Non si hanno elementi più precisi, ma è verosimile che i fatti su cui si basano i mandati si riferiscano alle azioni condotte sull’area della centrale nucleare di Zaporizhzhia e su  altre centrali di numerose località dell’Ucraina: nella stessa capitale Kiev e nelle regioni di  Lutsk, Rivne, Dnipro, Leopoli, Odessa e Kharkov. Per la distruzione della diga di Kakhovka del giugno 2023,  e per le altre più gravi stragi di civili come quella di  Buča, è verosimile che siano in atto procedimenti secretati e/o con imputati diversi. Secondo i dati delle Nazioni Unite i civili ucraini uccisi dall’inizio del conflitto sarebbero oltre 10.000 e  i feriti 18.500. In uno statement annunciato sul sito della Corte, il  procuratore della Corte Karim Khan ha dichiarato: «I responsabili di azioni che colpiscono civili innocenti o beni protetti devono sapere che la loro condotta  è vincolata alle norme del diritto internazionale umanitario. Tutte le guerre hanno delle regole. Queste regole vincolano tutti, senza eccezioni». Attraverso i  social media il presidente Zelensky ha commentato: «Ogni comandante russo che ordina di colpire i civili ucraini e le infrastrutture critiche deve sapere che sarà fatta giustizia. Ogni responsabile di tali crimini deve sapere che sarà chiamato a risponderne».

2. Le imputazioni per «crimini di guerra»


I mandati recano  capi di imputazione articolati sulla base di precise violazioni previste dallo Statuto di Roma. Si tratta in primo luogo delle violazioni all’articolo 8 che delinea la categoria dei crimini di guerra, segnatamente quelli riconducibili al paragrafo 2, che richiama il quadro giuridico delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949. Si tratta del  nucleo centrale del sistema vigente del Diritto Internazionale Umanitario, altrimenti indicato come Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, perché espressamente riferito ai contesti bellici. Le specifiche imputazioni dei mandati per i comandanti russi riguardano dunque  le responsabilità per due fattispecie:  1) l’aver diretto attacchi contro obiettivi civili,  sanzionati dall’ articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto ii), dello Statuto; 2) l’aver  causato danni “eccessivi” a civili o a obiettivi civili, puniti in violazione dell’ articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto iv), dello Statuto.
Per comprendere la valenza di tali accuse occorre fare riferimento alla Convenzione IV di Ginevra del 12 agosto 1949 che  sancisce la tutela della popolazione civile (le altre tre Convenzioni tutelano i prigionieri di guerra, i feriti, i malati e i naufraghi). In linea generale, le condizioni fondamentali per la condotta della guerra impongono il «rispetto» e la «protezione» della popolazione civile da attacchi indiscriminati. Ne consegue che nella condotta delle ostilità, in qualunque  situazione, vale tassativamente il “principio di distinzione” tra combattenti e popolazioni civili, nonché tra obiettivi militari e civili. Nella formulazione più avanzata di tale principio all’ articolo 51 del Protocollo I  è sancito il divieto di attacchi «dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti tra la popolazione civile», o una «combinazione di perdite umane e di danni che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto». Anche la nozione della c.d. “necessità militare” elaborata in dottrina è evoluta subordinandola alla regola della “proporzionalità” rispetto ad «un vantaggio militare diretto e concreto», limite richiamato espressamente dalla Corte nel caso in esame. A titolo esemplificativo esso si traduce in due corollari: 1) il vantaggio non può configurarsi nell’obiettivo di perseguire  la “vittoria finale” sul nemico; 2) in ogni caso l’azione bellica non deve comportare conseguenze dannose per  la popolazione civile «in misura eccessiva».

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3. I «crimini contro l’umanità»


Le imputazioni a carico dei comandanti russi riguardano anche i crimini contro l’umanità puniti ai sensi  dell’ articolo 7, paragrafo 1, lettera k), dello Statuto di Roma. Si tratta degli «atti disumani»  diretti a «causare intenzionalmente grandi sofferenze o grave danno all’integrità fisica o alla salute fisica e mentale» della popolazione civile. Gli attacchi diretti a strutture civili, infrastrutture elettriche e idriche, sono state documentati agli atti della Corte come deliberati e intenzionali. Le indagini del prosecutor si sono pertanto focalizzate sulle ampie conseguenze delle azioni belliche sulle condizioni fisiche e psicologiche dei civili, specie dei bambini, anziani o malati ricoverati in luoghi di cura. Sul punto vale precisare che  la definizione di «atti disumani» enunciata come espressa previsione dello Statuto di Roma, e riscontrata dagli accertamenti dell’accusa, comporta evidentemente una ‘linea rossa’ invalicabile. La Corte fa inoltre una precisazione quanto mai necessaria per delineare l’esatto quadro giuridico dei crimini contro l’umanità : in base all’articolo 7 dello Statuto è richiesto che gli atti siano «commessi intenzionalmente nell’ambito di un attacco a vasto raggio o sistematico». Per i giudici dell’Aja dunque non si tratta di fatti isolati o occasionali,  atteso che la  condotta «ha comportato la commissione multipla di atti contro una popolazione civile», e precisamente «in attuazione di una politica statale», determinata a compiere «atti disumani» deliberatamente e intenzionalmente.

4. La “Responsabilità di comando”


Nella nota ufficiale della Corte penale dell’Aja viene chiarito il tipo di responsabilità imputata ai generali secondo i Principi generali del diritto penale tracciati nella Parte III dello Statuto di Roma.  Sul tema vale premettere che l’articolo 33 non prevede alcuna esclusione di responsabilità per aver ricevuto un ordine superiore (anche se promanato da Putin o dalcomandante in capo), e nel caso di ordini la cui esecuzione comporti la commissione di crimini contro l’umanità questi sono sempre «palesemente illegittimi» (art.33, para 2).  Così come non valgono eventuali  esclusioni  di responsabilità per fatti – anche errori tecnici – riferibili alla condotta degli esecutori (come ad esempio i piloti dei bombardieri o i lanciatori dell’artiglieria missilistica), se non risulta provato che siano evento isolati e imprevedibili. In dottrina si parla di responsabilità per autoria, coautoria, autoria mediata e responsabilità da comando, per cui secondo le previsioni dello Statuto ai comandanti russi  è imputata la  Responsabilità individuale (articolo 25), per aver commesso i crimini congiuntamente e/o tramite altri (paragrafo 3, lettera a), e la  Responsabilità dei  comandanti e altri superiori gerarchici  (articolo 28) per averli ordinati e/o per non aver esercitato un adeguato controllo sulle forze poste sotto il loro comando. La responsabilità da comando in particolare è un istituto fondamentale del Diritto Internazionale Umanitario contemporaneo, frutto di una sofferta elaborazione dottrinale e giurisprudenziale partita dai Tribunali di Norimberga e Tokio (storico è il processo all’ammiraglio Yamashita proprio per l’omesso controllo) e compiutasi normativamente nello Statuto della Corte penale internazionale. La responsabilità dei comandanti punibile, dunque, non è solo quella “attiva” per aver dato un ordine diretto ma anche quella  più estesa “omissiva” per il mancato controllo. Questa è configurabile pure quando il capo militare: a) «sapeva, o, date le circostanze, avrebbe dovuto sapere che le forze commettevano o stavano per commettere tali crimini»; oppure, b) «non ha preso le misure necessarie e ragionevoli in suo potere per impedire o reprimere l’esecuzione (dei crimini) o per sottoporre la questione alle autorità competenti ai fini d’inchiesta e di azioni giudiziarie». Il paragrafo 2 dell’art.28 precisa inoltre che la responsabilità si configura anche nella condotta del capo militare che non sia intervenuto «essendo a conoscenza, o trascurando deliberatamente di tenere conto di informazioni che indicavano chiaramente che i subordinati commettevano o stavano per commettere tali crimini».

5. La Corte penale nello scenario dei conflitti armati


Sulla effettività dei provvedimenti si può osservare che i due alti ufficiali sono sotto una spada di Damocle: potranno essere processati non solo alla cessazione delle ostilità, ma anche in caso di cattura – un’ipotesi non remota – o se si recano all’estero, per qualsiasi motivo. Infatti, i crimini internazionali non sono soggetti a immunità e prescrizioni, sono perseguibili senza alcuna limitazione temporale e territoriale: qualunque Stato, anche se non si tratta di uno dei 124 Stati che hanno  ratificato lo Statuto, in qualunque momento può affermare la giurisdizione della Corte e richiamare i principi del diritto internazionale consuetudinario che prevedono l’universalità dei crimini internazionali. Lo stesso Putin per evitare il rischio di essere arrestato si è ben guardato dal recarsi ad importanti vertici internazionali, come quello dei Brics (l’organizzazione in espansione, che in origine ha riunito Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) svoltosi nell’ agosto scorso a Johannesburg.
Non va perciò tralasciata la prospettiva che stavolta i generali e l’intera nomenklatura russa comincino a prefigurarsi un processo all’Aja  e una condanna a vita nelle carceri di Scheveningen se perseverano nei propositi di guerra: è capitato ai presidenti Milosevic e Karadzic, al generale Mladic e ad altri 91 criminali di guerra della ex Jugoslavia, ai responsabili del genocidio in Ruanda, come d’altronde ai gerarchi nazisti condannati a Norimberga,  e tutti si ritenevano intoccabili. Così i mandati d’arresto per i generali potranno rappresentare un monito anche  per lo stesso Putin.
La speranza va riposta anche nell’idea che l’ulteriore iniziativa della Corte penale internazionale – che potrebbe essere anche sospesa in caso di negoziati favorevoli per la pace –  possa influenzare una presa di posizione più netta del  c.d. Global South, e specie dei suoi sponsor principali come Cina e India. Da quella parte del mondo si attende una pressione internazionale più coesa per indurre Putin a fermare quella che non va dimenticato trattarsi di una «guerra di aggressione». Lo stesso Procuratore Khan ha ricordato che i crimini di guerra e contro l’umanità accertati «sono stati compiuti nel contesto degli atti di aggressione commessi dalle forze militari russe contro la sovranità e l’ integrità territoriale dell’Ucraina, iniziati nel 2014».
In conclusione, in questo momento storico l’efficacia di ogni iniziativa volta a promuovere la pace dipenderà molto da quanto l’Occidente delle democrazie sarà capace di  riavvicinare  il Rest of the World sui principi del diritto internazionale.

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maurizio delli santi

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