Covid-19: il divieto di spostarsi a piedi e conseguenze in caso di trasgressione

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In un momento particolarmente delicato come quello che sta attraversando oggi l’Italia intera (e non solo) anche la normativa è in insistente mutamento e specificazione visti il Decreto Legge n. 6 del 23 Febbraio 2020 ed i continui Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri tesi a voler contenere e gestire la diffusione epidemiologica da Covid-19 (c.d. Coronavirus). È questa, intanto, la stessa ratio delle disposizioni che dovrebbe guidare chiunque per la loro corretta interpretazione in caso di dubbi. Nella stessa direzione vanno anche molteplici altri provvedimenti ministeriali (si veda ad es. l’ordinanza  del  Ministro  della  salute datata  25  gennaio  2020, recante misure profilattiche contro il  nuovo  Coronavirus) ovvero regionali e comunali. Ciò è da giustificarsi, considerata la straordinaria necessità ed urgenza degli stessi provvedimenti emessi dalle Autorità. Proprio per evitare la (fisiologica) confusione che può crearsi per comprendere quanto possa essere attualmente vietato ovvero permesso, lo stesso Governo, quasi con la stessa velocità in cui emette i predetti provvedimenti, tiene ad aggiornare “vademecum”.

Ebbene, a partire dal D.L. n. 6 del 23 Febbraio 2020[1], il divieto che forse maggiormente ha suscitato interesse tra i consociati è stato quello prima di allontanamento e accesso da e verso determinati Comuni colpiti dal virus e, poi, “addirittura” quello – previsto dal 9 Marzo 2020 – anche di spostamento all’interno dello stesso intero territorio nazionale salvo che per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. Il Governo ha poi (quasi) minuziosamente specificato le ragioni che permettono gli spostamenti fornendo risposte a domande che potrebbero porsi[2]. L’efficacia dei provvedimenti è scadenziata, salvo ulteriori proroghe, al 3 Aprile 2020.

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Spostarsi a piedi

È bene evidenziare subito che, contrariamente a quanto può indebitamente e comunemente essere affermato, non è contemplata l’adozione di procedure di autorizzazione preventiva agli spostamenti.

Così, come previsto dall’art. 3, comma 4, dello stesso D.L. n. 6/2020 “salvo che il fatto non costituisca più grave reato – come tra l’altro prevede già lo stesso Codice penale, quasi a voler rafforza forse inutilmente la clausola di riserva –, il  mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente  decreto – ivi compreso quello detto dunque –  è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”. Un’ipotesi di un più grave reato che potrebbe nella fattispecie configurarsi è quello previsto e punito dall’art. 337 c.p. e, sempre a questo proposito, il personale operante in sede di controllo provvederà anche a rendere edotti gli interessati circa il fatto che le più gravi conseguenze sul piano penale di un comportamento, anche solo colposo, non conforme alle previsioni del D.P.C.M. possono portare a configurare l’ipotesi di reato di cui all’art. 452 c.p. Qualcuno potrebbe interrogarsi però sul perché il Governo abbia stabilito ciò, quando è comunque prevista dall’art. 260 Testo Unico delle Leggi Sanitarie la punizione con l’arresto fino a sei mesi e – si badi il regime di cumulo e non alternatività tra arresto e ammenda – con l’ammenda da € 20,66 (400 mila lire) a € 413,17 (800 mila lire) della condotta di chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo.

Ora, comunque, in virtù di detto rinvio, l’art. 650 c.p. – inserito nel Libro III dedicato alle contravvenzioni –  prevede espressamente che “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”. Dunque, ai fini della configurabilità del reato dell’art. 650 c.p. è necessario che l’inosservanza riguardi un ordine specifico impartito da un soggetto pubblico, per le ragioni specificate; che l’inosservanza attenga ad un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna previsione normativa (quale potrebbe essere, appunto, l’art. 260 T.U.L.S.); che comporti una specifica ed autonoma sanzione e che il provvedimento emesso sia adottato nell’interesse della collettività e non di privati individui[3]. La norma in bianco quindi può dirsi violata quando non si rispettino tutte quelle misure di prevenzione o sicurezza adottati anche, come nel caso di specie, dal Presidente del Consiglio con carattere di contingibilità ed urgenza, al fine di ovviare a fatti gravi, quali pubbliche calamità o, appunto, gravi epidemie. Affinché un soggetto poi possa essere punito ex art. 650 c.p. basta che sussista soltanto l’elemento soggettivo della colpa, disciplina, questa, comune a tutte le contravvenzioni che – ricordiamolo – rappresentano reato.

Poniamo quindi ora il caso che, durante controlli sul territorio da parte delle Forze dell’Ordine, si venga fermati mentre si è alla guida della propria autovettura (o anche a piedi). Come detto, gli spostamenti – da casa, sostanzialmente – non sono permessi, salvo che per comprovate esigenze lavorative o situazioni  di  necessità ovvero per motivi di salute. Assume particolare importanza, ai nostri fini, la direttiva dell’8 marzo 2020 ai Prefetti adottata dal Ministero dell’Interno nella quale è previsto che si rende necessario utilizzare, nell’ambito del più ampio piano coordinato di controllo del territorio a mente della Legge n. 128/2001, specifiche modalità di vigilanza sull’osservanza delle dette prescrizioni, anche ai fini della verifica della rispondenza delle motivazioni addotte dagli interessati ai presupposti indicati dalla disposizione sopra citata. Rileveranno, in proposito, elementi documentali comprovanti l’effettiva sussistenza di esigenze lavorative, anche non indifferibili, a condizione naturalmente che l’attività lavorativa o professionale dell’interessato non rientri tra quelle sospese ai sensi delle vigenti disposizioni contenute nei diversi provvedimenti emanati per far fronte alla diffusione del COVID-19, ovvero di situazioni di necessità che, in sostanza, devono essere identificate in quelle ipotesi in cui lo spostamento è preordinato allo svolgimento di un’attività indispensabile per tutelare un diritto primario non altrimenti efficacemente tutelabile; o motivi di salute che si devono identificare in quei casi in cui l’interessato deve spostarsi per sottoporsi a terapie o cure mediche non effettuabili nel comune di residenza o di domicilio. Vale la pena qui evidenziare comunque come l’onere di dimostrare la sussistenza delle situazioni che consentono la possibilità di spostamento incombe sull’interessato e che, nella logica di responsabilizzazione dei singoli, si è ritenuto che tale onere potrà essere assolto producendo un’autodichiarazione ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. del 28 dicembre 2000, n. 445 che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione dei moduli appositamente predisposti in dotazione agli operatori delle Forze di polizia e della Forza pubblica. Detti modelli sono anche resi disponibili e scaricabili da siti istituzionali delle Autorità. Va comunque sottolineato che la veridicità delle autodichiarazioni potrà essere verificata ex post.

Si legga anche:”Diritto penale ai tempi del Coronavirus”

Ma cosa succede se non è così giustificabile il proprio spostamento?

Le due pene alternative dell’arresto o dell’ammenda vengono immediatamente irrogate? Ebbene no. L’arresto è qui inteso come pena, non essendo neanche applicabile la disciplina dell’arresto in flagranza come misura precautelare. Certo, si fa qui sempre riferimento alla contestazione della previsione di cui all’art. 650 c.p. e non altre più gravi e per le quali, invece, sia consentito o obbligatorio l’arresto in flagranza. Una volta accertata la violazione, poi, gli accertatori procederanno ad una segnalazione alle Autorità procedenti ed inizieranno le indagini; una volta concluse queste, il Pubblico Ministero procedente (presumibilmente) eserciterà l’azione penale con l’emissione dell’avviso di conclusione indagini di cui all’art. 415 bis c.p. e del decreto di citazione diretta a giudizio ex art. 550 c.p.p. a seguito del quale si instaurerà il processo in senso stretto.

Resta ovviamente ferma la possibilità che si ricorra ad un procedimento speciale, quale l’adozione di un Decreto penale di condanna su richiesta del P.M. ex art. 459 c.p.p. rispetto al quale ci si potrà opporre, ovvero dell’applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento) previsto dagli artt. 444 c.p.p. o dell’oblazione secondo l’art. 162 bis c.p. (trattandosi di contravvenzione punibile alternativamente con arresto o ammenda) oppure, ancora, della messa alla prova ex art. 168 bis c.p. da parte dell’indagato/imputato. La scelta di un rito alternativo potrebbe essere maggiormente appetibile considerati i provvedimenti che comunque sarebbero iscrivibili nel casellario giudiziale secondo l’art. 3, D.P.R. del 14 Novembre 2002, n. 313 e la conseguente declaratoria di estinzione del reato.

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Note

[1] Sono seguiti (attualmente) altri sei D.P.C.M. e, precisamente, del 25 febbraio 2020; 1 marzo 2020; 4 Marzo 2020; 8 Marzo 2020; 9 Marzo 2020; 11 Marzo 2020.

[2] http://www.governo.it/it/articolo/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/14278?fbclid=IwAR08uk3iokrUFodjM8hhR5SoVhqkAE8dU1Vf7Vb6NAkze_zWChji-l5_fAw

[3] Tribunale di Napoli, sez. I, sentenza del 09 Febbraio 2018, n. 1915.

Dott. Cavaliere Armando

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