Cosa deve intendersi per abitazione agli effetti dell’art. 385 cod. pen.

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     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 385)

1. La questione

La Corte di Appello de L’Aquila confermava la condanna di un imputato in ordine al reato di cui all’art. 385 cod. pen., commesso mediante allontanamento dall’abitazione nella quale si trovata ristretto in regime di detenzione domiciliare.

Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore della persona accusata che, con un unico motivo, deduceva cumulativamente violazione di legge e vizio di motivazione, asserendo, da un lato, che il ricorrente era stato sorpreso all’esterno della propria abitazione, ma su un terreno immediatamente adiacente, sicché, ad avviso della difesa, non vi era stato un effettivo allontanamento, dall’altro, che, tra le prescrizioni imposte con il provvedimento che disponeva la detenzione domiciliare, non vi era alcun cenno al divieto di permanere nella corte adiacente l’abitazione e, quindi, doveva escludersi la configurabilità stessa del reato.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto manifestatamente infondato.

Difatti, dopo essersi fatto presente come il ricorrente invocasse l’applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui, nell’ordinanza con la quale si applicano gli arresti domiciliari, il giudice può circoscrivere la nozione di abitazione, inibendo l’accesso a pertinenze della stessa, altrimenti fruibili, assumendosi al contempo che, in difetto di tale delimitazione, il soggetto ristretto in detenzione domiciliare legittimamente potrebbe intrattenersi anche in zone pertinenziali dell’abitazione, gli Ermellini ritenevano, in punto di diritto, come dovesse invece richiamarsi, in quanto ritenuto maggiormente pertinente rispetto al caso di specie, quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra pertinenza, ad eccezione di quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine) che costituiscano parte integrante dell’unità immobiliare, in quanto la detenzione domiciliare deve svolgersi secondo modalità analoghe a quelle della misura intra muraria, rilevandosi contestualmente come tale principio sia stato affermato in un caso di condanna emessa nei confronti di soggetto sorpreso in abbigliamento casalingo, sulla strada adiacente l’abitazione ed all’esterno della recinzione che delimitava l’immobile, intento a spazzare il cancello ed a liberare il binario di scorrimento che ne impediva la chiusura. (Sez. 6, n.47317 del 28/102016).

All’opposto, si riteneva non confacente alla fattispecie in esame il richiamo difensivo al principio affermato dalla sesta sezione secondo cui è consentito al giudice di “circoscrivere” la nozione di abitazione inibendo l’accesso alle pertinenze, altrimenti fruibili, qualora la stessa, genericamente intesa, non sia idonea, per le caratteristiche logistiche, a salvaguardare le esigenze cautelari del caso concreto (Sez. 6, n. 32371 del 27/3/2019), trattandosi, invero, di un principio che, ad avviso del Supremo Consesso, risente della fattispecie concreta oggetto della pronuncia, relativa ad un caso in cui gli arresti domiciliari erano stati disposti all’interno di una villa recintata con giardino di esclusiva pertinenza.

In effetti, proprio in relazione al fatto, così come emerso nel corso di questo giudizio, i giudici di piazza Cavour notavano come la pronuncia richiamata non avesse affatto affermato che, nel disporre la detenzione domiciliare, il giudice sia tenuto a specificare l’ambito della abitazione, né, tanto meno, sia sempre necessario indicare se e quali luoghi pertinenziali siano liberamente fruibili dal detenuto dal momento che la misura restrittiva domiciliare va riferita all’abitazione in quanto tale, comprensiva di quelle pertinenze (balconi, terrazzi) che presentino una intrinseca separazione verso l’esterno, non occorrendo che nel divieto di allontanamento siano specificamente indicati quei luoghi che, pur potendo costituire pertinenze dell’immobile in senso civilistico, rappresentano comunque luoghi aperti e strutturalmente distinti dall’abitazione intesa in senso proprio.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa deve intendersi per abitazione agli effetti dell’art. 385 cod. pen. che, come è noto, incrimina il delitto di evasione.

Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento ermeneutico elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, che, agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra pertinenza, ad eccezione di quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine) che costituiscano parte integrante dell’unità immobiliare.

Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare se l’imputato, in stato di arresto, si sia allontanato dalla propria abitazione e, quindi, possa rispondere del delitto di evasione a norma dell’art. 385, co. 3, cod. pen..

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché prova a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo applicativo, dunque, non può che essere positivo.

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