In materia di evasione, cosa deve intendersi per abitazione al fine di assegnare rilevanza penale alla condotta dell’agente che se ne allontana

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(Riferimento normativo: Cod. pen. art. 385, co. 3)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Taranto confermava una decisione del Tribunale dell’omonima città che aveva condannato l’imputata alla pena di un anno di reclusione in ordine al delitto di cui all’art. 385 cod. pen..

In particolare, era stato contestato alla ricorrente di essersi allontanata dalla propria abitazione ove era ristretta in regime di arresti domiciliari, senza un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, per recarsi presso l’abitazione della sorella, anch’essa in regime di arresti domiciliari.

Sull’argomento, vedasi: Alessandra Concas, Il reato di evasione, definizione e disciplina giuridica, 1 febbraio 2019, 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’imputata ricorreva per Cassazione deducendo i seguenti motivi: 1) vizi cumulativi di motivazione e violazione di legge penale e processuale con riferimento agli artt. 385 cod. pen. e 546 cod. pen. in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripercorrere le ragioni già espresse dal primo giudice senza vagliare adeguatamente le censure formulate in sede di gravame, fondando la conferma della decisione di condanna su meri indizi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; in realtà, ad avviso del ricorrente, sarebbe stato carente l’elemento materiale del reato nella condotta di questa che era stata vista fumare una sigaretta sul balcone della sorella in considerazione della limitata portata e della giustificazione dell’allontanamento dall’appartamento di proprietà a quello attiguo della sorella mentre, invece, sempre secondo la difesa, l’aver avuto accesso attraverso un varco che collegava l’attiguo appartamento della sorella avrebbe costituito, al più, una violazione delle prescrizioni ma, in assenza di un non significativo e rilevante allontanamento, non avrebbe certo integrato il delitto di evasione; 2) vizi di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 131-bis cod. pen. poiché la sentenza impugnata non avrebbe motivato in ordine alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità specie nella parte in cui non dava conto delle pronunce di legittimità pur allegate secondo cui può essere riconosciuta la sussistenza dei requisiti per la applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. quando l’allontanamento dall’abitazione abbia carattere episodico ed occasionale e avvenga in uno spazio condominiale con il fine inequivoco di far ritorno nei confini stabiliti dal provvedimento restrittivo, fermo restando che l’adiacenza dell’abitazione della sorella, l’assenza di volontà di realizzare un ulteriore allontanamento e di sottrarsi al controllo delle forze dell’ordine, secondo il legale, avrebbero palesato il carattere occasionale della condotta tale da far ritenere la ricorrente meritevole della applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.; 3) vizi di motivazione e violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. al complessivo trattamento sanzionatorio.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto era ritenuto inammissibile.

In particolare, una volta fatto presente che, proprio le modalità attraverso cui era stato realizzato l’allontanamento dal luogo di detenzione per raggiungere la sorella, anch’ella in regime di arresti domiciliari, aveva fatto ritenere sussistente, oltre all’allontanamento materiale, una intensa volizione dell’imputata di commettere il delitto di evasione tenuto conto dell’apprezzato accorgimento adottato che consentiva alle due donne, entrambe sottoposte a regine extramurario, di incontrarsi pur in presenza di imposizioni che non ne consentivano lo spostamento dall’abitazione, gli Ermellini osservavano che, in ordine a cosa debba intendersi per abitazione al fine di assegnare rilevanza penale alla condotta dell’agente che se ne allontana, la Cassazione ha postulato, con orientamento consolidato, che deve intendersi tale lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà e, in tal senso, è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta di soggetto che veniva sorpreso all’interno di un capannone che costituiva corpo autonomo e separato dall’abitazione in senso stretto (Sez. 2, n. 13825 del 17/02/2017), così come parimenti significativa è stata ritenuta la presenza negli spazi comuni condominiali, condotta in conflitto con il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari di impedire i contatti con l’esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 4830 del 21/10/2014,  principi di diritto che, a loro volta, ad avviso del Supremo Consesso, delimitano l’autonomia di movimento della persona sottoposta a regime restrittivo domiciliare e che sono tutti concordi nel ritenere che per abitazione debba intendersi solo quella direttamente occupata.

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto alla fattispecie in esame, i giudici di piazza Cavour consideravano come in tali termini fosse ineccepibile l’osservazione della Corte territoriale che, facendo riferimento alle differenti unità catastali dei due appartamenti in cui risultavano dimorare i due distinti nuclei familiari, avevano così messo in evidenza la circostanza che la condotta fosse stata realizzata attraverso l’accertato fuoriuscire dall’unità abitativa, essendo invece irrilevante la circostanza che l’imputata fosse repentinamente rientrata tra l’altro rioccultando il passaggio che consentiva il passaggio tra le due case, tenuto conto altresì del fatto che tale dato non era stato confutato nella parte in cui erano state apprezzate le due distinte abitazioni che risultava essere stato determinante là dove il Collegio di merito aveva valorizzato la particolare intensità del dolo della condotta della ricorrente che, attraverso tale espediente, poteva liberamente incontrarsi con la sorella. Oltre a ciò, era inoltre reputato come non assumesse rilevanza alcuna la prospettata necessità di fumare una sigaretta, evenienza non certo idonea a far venir meno gli obblighi sottesi alla misura cautelare in corso di esecuzione.

Terminata la disamina del primo motivo, quanto al secondo, i giudici di legittimità ordinaria denotavano come l’apprezzata intensità del dolo, unitamente alle modalità della condotta sopra enunciate, avesse rappresentato la ragione che aveva portato la Corte territoriale, con motivazione (stimata) logica e completa non sindacabile in sede di legittimità, ad escludere che il fatto potesse essere valutato in termini di particolare tenuità, militando in tal senso una conforme giurisprudenza della Cassazione secondo cui la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. è applicabile al reato di evasione quando la complessiva valutazione degli indicatori afferenti al danno e alla colpevolezza risulti palesi una minima offensività (Sez. 6, n. 21514 del 02/07/2020), rilevandosi al contempo come tale principio di diritto espressamente era stato enunciato dalla Corte di Cassazione nel suo massimo consesso allorché, in termini generali, si è avuto modo di puntualizzare quale fosse l’ambito di applicazione della norma in esame rappresentando la necessità che il giudice di merito svolga «una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016).

Infine, quanto all’ultima doglianza, gli Ermellini facevano presente come essa fosse manifestamente infondata e generica poiché, ad avviso di costoro, era stata ignorata la risposta coerente della Corte di merito che, avendo messo in evidenza la condotta elusiva del provvedimento cautelare posto in essere con l’accertata condotta di occultamento del varco al momento dell’arrivo dei Carabinieri, aveva dato conto delle ragioni che, a loro volta, avevano portato ad escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, quindi, era stata addotta una motivazione logica e priva di lacune non sindacabile in sede di legittimità a cui il ricorrente, per il Supremo Consesso, contrapponeva la enunciazione di non pertinente giurisprudenza senza invece indicare quale aspetto dovesse essere favorevolmente valutato ai fini del richiesto riconoscimento delle circostanza ex art. 62-bis cod. pen..

Conclusioni

Tenuto conto che l’art. 385, co. 3, cod. pen., come è noto, stabilisce che le disposizioni precedenti, vale a dire quelle prevedute dal comma primo (“Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni”) e dal comma secondo (“La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite”), “si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale”, la decisione qui in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa deve intendersi per abitazione al fine di assegnare rilevanza penale alla condotta dell’agente che se ne allontana.

In questo provvedimento, difatti, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, si afferma per l’appunto che una abitazione, quando dalla condotta dell’agente che se ne allontana deriva un fatto penalmente rilevante (qual è quello contemplato dall’art. 385, co. 3, cod. pen.), consiste in uno spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà.

Dunque, rileva nel caso di specie solo quella parte dell’abitazione direttamente occupata e, pertanto, da ciò discende che commette il reato di evasione, secondo quanto disposto dall’art. 385, co. 3, cod. pen.), colui che, che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento, si allontani dall’abitazione direttamente occupata, a nulla rilevando, per escludere la penale rilevanza del fatto commesso, perlomeno sotto il profilo oggettivo, la circostanza in base alla quale l’autore del reato si sia allontanato per sostare in un’appartenenza di tale abitazione nella misura in cui essa non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante.

E’ di conseguenza sconsigliabile intraprendere una linea difensiva che al contrario sostenga l’insussistenza di siffatto illecito penale ove, all’opposto, si verifichi una situazione di questo genere.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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