Conto corrente condominiale privo di fondi: le possibili conseguenze

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Conto corrente condominiale privo di fondi: le possibili conseguenze.

Quello della morosità in condominio è un problema sempre più sentito che pone una serie di problematiche, per i condòmini in regola con i pagamenti e per lo stesso amministratore, non sempre di facile e pronta soluzione.

Il legislatore, con la riforma del condominio (L. 220/2012), ha cercato di porre un argine a tale incresciosa e dilagante condizione predisponendo tutta una serie di obblighi – in primo luogo in capo all’amministratore –  per cercare di ovviare al problema, anche se, obiettivamente, con scarsi risultati.

In primo luogo con la formulazione dell’art. 1130 Cc, il quale, dopo aver ricordato come l’amministratore è obbligato a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria e per l’esercizio dei servizi comuni, gli impone, al n. 10) del menzionato articolo, di redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni, tanto al fine di avere nel più breve tempo possibile l’effettiva situazione patrimoniale dell’immobile amministrato, verificare i costi e predisporre tempestivamente le quote condominiali da versare.

Tali quote devono essere riscosse, a mente dell’art. 1129 Cc, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito è maturato, salvo diversa volontà assembleare, anche in via forzosa, con decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, ai sensi dell’art. 63 disp. att. Cc, e, in caso di morosità ultra semestrale, si può giungere finanche a sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

L’amministratore che si sottrae a tali obbligo, peraltro, rischia di essere revocato, e tanto per esplicita previsione del predetto art. 1129 Cc.

La realtà, tuttavia, spesso di discosta dalla pratica, ed i buoni propositi rimangono frequentemente sulla carta in considerazione del fatto che i procedimenti giudiziari per il recupero della morosità, specie se, in difetto di pagamento delle somme ingiunte, si è obbligati a giungere alle “estreme conseguenze” con l’escussione mobiliare o immobiliare del condomino moroso, non sono affatto brevi e, pertanto, mal si conciliano con la necessità del condominio e, per esso, dell’amministratore, di provvedere mensilmente al pagamento dei servizi comuni, un esempio per tutti, il pagamento della fatture dell’energia elettrica.

Per sopperire a tali esigenze, si può prevedere l’ipotesi di un “fondo cassa”, anche se sappiamo che in questo caso la giurisprudenza esige che la delibera di costituzione del fondo debba essere adottata all’unanimità, siccome in qualche maniera incidente sui criteri di ripartizione delle spese (art. 112 Cc), quorum tuttavia di difficile raggiungimento.

In caso di forte indebitamento, pertanto, nella persistente difficoltà di recuperare le quote condominiali, si può giungere alla paralisi della vita condominiale, con la sospensione dei servizi primari da parte dei fornitori.

Nell’impossibilità di gestire normalmente la cosa comune l’amministratore, che ricordiamo opera in forza di un contratto di mandato da parte dell’assemblea, può rassegnare le proprie dimissioni, ampiamente giustificate dalla circostanza per la quale il mandante (condominio) è tenuto a fornire al mandatario (amministratore) i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni (art. 1719 Cc).

L’amministratore dimissionario non deve fare altro che comunicare formalmente al condominio la propria volontà e, quindi, convocare l’assemblea affinché provveda alla nomina del suo sostituto.

In mancanza, nell’inerzia dell’assemblea, lo stesso può adire l’autorità giudiziaria affinché provveda alla nomina di un amministratore giudiziario (art. 1129, I comma, Cc: <<Quando i condomini sono più di otto, se l’assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell’amministratore dimissionario.>>).

Frequentemente, al contrario, gli amministratori tendono a sopperire a tali mancanze di cassa anticipando personalmente il denaro occorrente per far fronte alle esigenze “quotidiane” del condominio.

Tale pratica, tuttavia, spesso di dimostra imprudente, ed è legata alla difficoltà di recuperare le somme versate in favore del condominio.

La giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto richiede, infatti, la prova rigorosa delle anticipazioni effettuate dall’amministratore, non fosse altro perché le singole partite di spesa devono essere sempre preventivamente approvate dall’assemblea, salvo i casi di urgenza, comunque anch’essi da dimostrare.

In mancanza, il credito non potrebbe essere considerato esigibile.

Ed invero, l’amministratore di condominio non ha – salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 Cc in tema di lavori urgenti – un generale potere di spesa, in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute (Cfr.: Cass. n. 14197/2011).

Di recente la Corte di Cassazione ha sostenuto che le anticipazione effettuate dall’amministratore in favore del condominio debbono ricondursi nell’alveo del contratto di mutuo, specie quando queste sono necessitate dalla mancanza di fondi sul conto corrente condominiale e l’amministratore è costretto a versare denaro personale, per consentire al condominio di far fronte a spese impellenti.

Tuttavia, in questi casi, è costante l’orientamento giurisprudenziale per cui <<per provare l’esistenza di un contratto di mutuo, posto a fondamento di una pretesa fatta valere in giudizio, non basta dimostrare l’avvenuta consegna del danaro o di altre cose fungibili, ma occorre dimostrare che tale consegna è stata effettuata per un titolo che implichi l’obbligo della restituzione, solo in tal modo potendo dirsi adempiuto l’onere della prova del fatto costitutivo della domanda, a norma dell’art. 2697 cod. civ. (cfr. Cass. 26.9.1983, n. 5691; Cass. 24.2.2004, n. 3642)>> (Cass. n. 21633/2017).

Sarebbe auspicabile, pertanto, un ulteriore intervento legislativo teso a snellire le procedure di recupero coattivo del credito ovvero tale da facilitare l’accesso del condominio alla costituzione di fondi specifici anti-morosità.

 

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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