Considerazione sul Codice dei contratti pubblici

Salierno Fabio 27/09/07
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Se volete delle buone leggi,
bruciate quelle che avete,
e fatene di nuove.
(Voltaire)
 
Premessa.
 
Il 1 luglio 2006 e’ entrato in vigore il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, denominato“Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE[1] (il “Codice”).
 
Il legislatore aveva, infatti, con gli articoli n. 1, 2 e 25 della legge n. 62 del 2005[2], delegato il Governo ad emanare la normativa di recepimento nell’ordinamento italiano delle Direttive 17/2004 e 18/2004, entrate in vigore il 1 febbraio 2006.
 
Come e’ noto, nel regime antecedente le Direttive comunitarie 17 e 18, si avevano tre distinte discipline normative per ciascuno dei settori di mercato afferenti servizi, lavori e forniture.
 
In particolare, la Direttiva CEE 14 giugno 1993 n. 36, coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture il cui valore fosse superiore alla c.d. “soglia comunitaria”, pari ad Euro 200.000,00. La Direttiva CEE 18 giugno 1992 n. 50, disciplinava le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. La Direttiva CEE 14 giugno 1993 n. 38, coordinava le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua ed energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonche’ degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (c.d. “settori esclusi”). La Direttiva CEE 14 giugno 1993 n. 37, coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori.
 
Questa intensa produzione normativa comunitaria, aveva trovato in Italia il proprio recepimento rispettivamente nel D. Lgs. 358 del 1992, per quanto concerne le forniture; nel D. Lgs. 157 del 1995, relativamente ai servizi. La materia dei lavori era invece disciplinata ad hoc con la legge Merloni (l. 109 del 1994, successivamente piu’ volte modificata e nei regolamenti di attuazione (DPR 554 del 1999 e DPR 34/2000).
 
Sopravviveva poi una ampia legislazione emanata all’indomani della proclamazione del Regno Unito e conseguente alla necessita’ di uniformare la normativa allora esistente nelle varie Regioni italiane. Cosi’ ad esempio la legge 20 marzo 1865 n. 2248 sui lavori pubblici, il R.D. n. 350 del 25 maggio 1895, regolamento per la direzione, la contabilita’ e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici.
Di fondamentale importanza era poi la legge di contabilita’ di Stato, R.D. n. 2440 del 18 novembre 1923 e relativo regolamento di attuazione, R.D. n. 827 del 23 maggio 1924. Queste norme, nel regime precedente l’emanazione del Codice, dettavano di fatto la disciplina per l’affidamento degli appalti sotto soglia comunitaria.
 
Nel corso dello scorso secolo, si erano via via andate aggiungendo una enorme mole di norme di varia genesi e finalita’. Impossibile dar conto, in questa sede, in via sintetica dell’enorme congerie di norme che si sono caoticamente accavallate nel corso di oltre un secolo.
 
& 2 Il superamento della tricotomia lavori, servizi e forniture.
 
Il quadro ordinamentale antecedente le Direttive 17 e 18 era quindi piuttosto confuso, in quanto, come detto, costituito da un insieme di norme che si erano andate via via sovrapponendosi nel corso del tempo.
 
L’inevitabile corollario di questo stato di cose, era costituito dai non pochi problemi di coordinamento tra norme, dovendo le specifiche previsioni tener conto delle peculiarita’ delle materie oggetto di specifico intervento normativo.
 
L’occasione per una profonda rivisitazione della materia e’ stata offerta ancora una volta dal potente impulso del diritto comunitario il quale, con le Direttive 17 e 18, supera la tradizionale tricotomia (lavori, servizi e forniture), pur mantenendo inalterata la distinzione tra settori “ordinari” e settori “speciali”.
 
& 3 Le Direttive 17 e 18.
 
In particolare, la Direttiva 18 coordina la disciplina relativa alle procedure di aggiudicazione dei lavori, dei servizi e delle forniture nei settori c.d. “ordinari”.
 
La Direttiva 17, dal canto suo, disciplina le procedure di aggiudicazione degli appalti nei c.d. settori ex “esclusi” (ora “speciali”), quali energia, acqua, servizi di trasporto e postali che, per la natura stessa dell’oggetto su cui cade la loro attivita’, da sempre godono di una disciplina peculiare rispetto a quella destinata ai c.d. settori “ordinari”.
 
Tale disciplina speciale e’ frutto e conseguenza della posizione di privilegio goduta dagli Enti committenti in virtu’ della posizione di monopolio naturale (si pensi, appunto, all’acqua o all’energia) o artificiale (servizi postali) di cui essi godono.
La loro posizione economica particolare li rende destinatari di una normativa ad hoc per molti versi piu’ flessibile e piu’ duttile alle loro esigenze tra le quali, primariamente, quella di garantire la piena e continua fruibilita’ del loro oggetto da parte della cittadinanza.
 
In altri termini, e’ necessario contemperare gli opposti interessi rappresentanti da un lato dall’esigenza di garantire a tutti l’accesso a beni essenziali quali l’acqua, l’energia, i trasporti, i servizi postali, e dall’altro dalla necessita’ di garantire un’effettiva concorrenza tra le imprese e l’apertura dei mercati in cui esse operano.
 
Per dirla con Luigi Einaudi, “siccome qui il monopolio si puo’ dire quasi naturale, non lo si puo’ abolire, e bisogna regolarlo[3]”.
 
La necessita’ di recepire le suddette Direttive nell’ordinamento italiano e’ stata colta dal legislatore italiano come occasione per raccogliere in un unico testo, lo sparso corpus normativo in materia di appalti, con l’obiettivo di una piu efficace sistemazione organica della materia da sempre oggetto di interventi occasionali.
 
E’ infatti solo attraverso una vera e propria palingenesi normativa che sarebbe possibile ricostruire l’ordinamento come frutto di progettazione umana e non solo di suo caotico sviluppo.
 
Tuttavia, troppe sono le forze che agiscono contemporaneamente ed in modo caotico e talvolta opposto sul medesimo fulcro, determinando di fatto l’impossibilita’ di una progettazione coerente.
 
& 4 Il Codice dei Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
 
In Italia il precipitato delle due direttive comunitarie e’ costituito dal Codice: esso infatti include in un solo testo tanto le norme in materia di lavori, servizi e forniture nei settori “ordinari” che quelle nei settori “speciali”, raccordandole e coordinandole tra loro. “Negare ad una nazione civile o alla classe giuridica della medesima, la capacita’ di fare un codice –poiche’ non puo’ trattarsi di fare un sistema di leggi nuove pel loro contenuto, ma di riconoscere nella sua universalita’ determinata, il contenuto legale esistente, cioe’ di intenderlo, pensando –con aggiunta della applicazione al particolare; – sarebbe uno dei piu’ grandi affronti, che possa esser fatto a una nazione o a quella classe[4]”.
 
Il Codice e’ diviso in quattro parti:
  • la prima (articoli 1 – 27) afferente principi e disposizioni comuni e contenente altresi’ la disciplina relativa ai contratti esclusi in tutto od in parte dall’ambito di applicazione del Codice;
  • la seconda (articoli 28 – 205) dedicata ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari;
  • la terza (articoli 206 – 238) relativa a contratti pubbici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali;
  • la quarta (articoli 239 – 246) dedicata alla fase contenziosa .
 
Gli ultimi articoli (247 – 257) dettano infine le disposizioni di coordinamento, finali e transitorie nonche’ le abrogazioni operate.
 
 
& 5 Il Codice quale prodotto della trasformazione economico sociale del tessuto sociale italiano.
 
Prima di affrontare la lettura del Codice occorre tuttavia operare un’altra doverosa premessa sistematica all’interpretazione del medesimo.
 
Come detto, i vari Istituti sono frutto di Fonti normative diverse ed originati in tempi assai distanti tra loro e per ragioni talvolta diametralmente opposte.
 
Per mettere ordine e definitiva chiarezza, il legislatore italiano avrebbe dovuto seguire il consiglio di Voltaire (che, in verita’, andrebbe attuato per le 50.000 leggi che, secondo calcoli approssimativi[5], sarebbero attualmente in vigore in Italia): fare cioe’ piazza pulita della congerie disorganica di leggi e di norme regolamentari disciplinanti la materia, riorganizzandola completamente.
 
Ma per far cio’ occorrerebbe una grande forza politica e, soprattutto, un disegno unitario e coerente da difendere e sostenere, coordinandolo con gli istituti che originano direttamente da fonti di rango comunitario (e come tali non sono nella disponibilita’ del legislatore italiano).
 
& 6 Per una chiave di lettura coerente del Codice.
 
Tutte le trattazioni sull’argomento trascurano di considerare la diversa genesi degli istituti, limitandosi ad una loro mera disanima diacronica, cercando poi di ricondurre a Sistema cio’ che nasce per esigenze e finalita’ del tutto opposte e diverse (e, in definitiva, fallendo, in quanto e’ impossibile ricondurre ad ordine cio’ che e’ caos).
 
Infatti, a differenza di quello che si sarebbe tentati di credere, mentre e’ sicuramente vero che tutte le norme sono frutto di azione umana, non tutte (anzi molto poche) sono riconducibili ad un progetto organico.
 
Esse, infatti, talvolta derivano da Fonti del tutto diverse, emanate in tempi storici anche molto distanti e per esigenze contingenti ed ampiamente superate un momento dopo la loro emanazione, completamente incoerenti tra loro, o dettate dalle esigenze di un determinato gruppo sociale in quel momento prevalente.
 
Si pensi, ad esempio, alla genesi dell’istituto dell’avvalimento, derivato dall’elaborazione giurisprudenziale comunitaria, il quale crea inevitabili attriti, tensioni e sovrapposizioni con altri istituti e principi di diritto nazionale (si pensi alle difficolta’ di inquadramento dell’istituto ed alle discrasie ed inevitabili sovrapposizioni con la normativa sul subappalto).
 
Secondo l’iniziale interpretazione della giurisprudenza comunitaria, la ratio della norma avrebbe dovuto essere quella di consentire la partecipazione alle gare d’appalto indette dalle Pubbliche Amministrazioni a quelle Holding industriali che vedono spesso decentrato il rispettivo bagaglio di know how, risorse, mezzi tecnici e finanziari.
 
In sintesi, si voleva –almeno apparentemente- semplicemente consentire alla societa’ “madre” di utilizzare i requisiti della societa’ “figlia”. Meccanismo peraltro perfettamente logico all’interno delle holding industriali.
Questo principio, tuttavia, viene dalla stessa Corte, mano a mano esteso a qualunque societa’, a prescindere dal legame che lega societa’ “ausiliaria” e quella “ausiliata”.
 
Ed allora, si dice, l’impresa ausiliaria potra’ prestare risorse e mezzi a quella ausiliata. Ma, ed e’ questa l’obiezione, se l’impresa “ausiliaria” presta risorse mezzi a quella “ausiliata” liberamente e senza limiti, come potremo conciliare tale principio con i limiti posti dal legislatore italiano al ricorso al subappalto?
In altri termini: l’avvalimento e’ o non e’ subappalto? E se non lo e’, cosa e’ esattamente, a quale tipo contrattuale puo’ essere esso riconducibile?
 
Probabilmente l’avvalimento si attaglia meglio agli ordinamenti non codificati che non sono costretti a ragionare in rigidi schemi tipizzati.
 
Corollario dell’osservazione che precede e’ che il razionalismo costruttivista di stampo cartesiano, davvero non aiuta a ricostruire sistematicamente l’ordinamento: come detto, impossibile mutare in ordine cio’ che e’ caos.
 
Occorre dunque abbandonare qualsiasi velleita’ di una ricostruzione del Sistema in termini strettamente cartesiani.  
 
Cosi’, per tornare all’Istituto dell’avvalimento, esso nasce dalla giurisprudenza comunitaria la quale, ad un certo punto, prende atto che i grandi Gruppi industriali sono in realta’ costituiti spesso da galassie di societa’ satelliti, specializzate in diversi settori commerciali. La Holding o “Capogruppo” fa quindi riferimento ora all’una ora all’altra delle societa’ satelliti per partecipare all’appalto indetto dalla stazione appaltante. La Societa’ di cui ci si avvale (o “ausiliaria”) e’ quindi il mezzo che realizza il fine economico in quel momento perseguito. E’ strumento non distante e non diverso dalla Capogruppo e con essa si confonde, entrando, in quello specifico affare, in rapporto simbiotico.
 
Con la chiave di lettura qui adottata, diremmo che l’avvalimento nasce dunque dall’esigenza di favorire i Grandi gruppi Industriali, liberando le loro energie e potenzialita’, in modo che essi entrino piu’ agevolmente in reciproca competizione tra loro, favorendo lo sviluppo del mercato e della concorrenza.
 
Il mercato e la concorrenza quale viatico ad una ricchezza ed ad una prosperita’ uniforme della Societa’, il cui precipitato storico e’ quello di favorire quanto possibile la concorrenza tra imprese[6].
 
Se il fine e’ garantire la concorrenza e la libera circolazione delle persone e dei capitali, tutto il resto deve necessariamente cedere il passo. Ed allora sara’ possibile “avvalersi” del personale di un’altra Societa’ come se fosse il proprio: con cio’ confliggendo col divieto di interposizione fittizia della manodopera, superando d’incanto decenni di discussioni e di interpretazioni restrittive che avevano visto, invece, prevalere la tutela del lavoratore e della sua dignita’ sul mercato in senso lato.
 
In questo senso, dunque, l’avvalimento, se non adeguatamente calmierato, e’ persino in contrasto con la Costituzione repubblicana, almeno nella parte in cui essa limita l’esercizio dell’intrapresa economica alla piena salvaguardia della dignita’ umana.
 
Un altro esempio puo’ rinvenirsi nella nozione di “interesse legittimo”.
 
L’interesse legittimo viene definito come “la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si attua non direttamente od autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed immediata di un altro interesse del soggetto meramente strumentale alla legittimita’ dell’atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse strumentale[7].
 
Una situazione giuridica attiva a lungo indagata dalla Dottrina, avente “quasi” dignita’ di diritto soggettivo perfetto, ma ad esso neppure comparabile? Sospesa tra il tutto (diritto) ed il nulla.
 
 
Ma poiche’ l’interesse legittimo non esiste di certo in natura, dobbiamo chiederci quali siano le ragioni storiche che ne hanno determinato la genesi. Quelle stesse ragioni che ne hanno determinato la nascita in un preciso contesto e per la tutela di determinati interessi di Stato e, quindi, del gruppo che in quel momento ne determinava la relativa politica economica, hanno di fatto fotografato il suo superamento nella fase storica atuale.
 
E la ragione storica era evidente: negare la possibilita’ di risarcimento all’interesse legittimo, preservava lo Stato e, quindi, i gruppi dominanti, dal risarcimento del danno in caso di condotta abusiva.
Secondo tale concezione, di fronte al potere statale, i diritti dei cittadini risultano “affievoliti”, subiscono una sorta di “degrado” e, quindi, meritano si tutela ma nei limiti di un sindacato che abbia riguardo unicamente alla legittimita’ dell’esercizio del potere statale e nella misura in cui ci sia stato uno “sviamento” dal procedimento atteso.
 
E il sindacato circa la legittimita’ di tale esercizio di potere, non e’ affidato al giudice dei diritti, ma ad un altro organo giurisdizionale i cui membri non sono di certo assistiti da pari garanzia di indipendenza ed imparzialita’.  
 
La volonta’ storica di tutelare l’Autorita’ nei confronti del cittadino portatore di istanze e diritti, e’ evidente. Se questo e’ il fine, il mezzo e’ l’interesse legittimo.
 
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Il diritto “positivo” inteso come diritto “posto” da una qualche Autorita’ superiore che tutto vede, pensa, progetta e controlla, semplicemente non esiste. Il diritto e’, infatti, “positivo” in quanto derivi la propria efficacia dal recepimento statuale e dalla relativa forza ed il proprio contenuto dal carattere nazionale di un popolo nel suo divenire storico[8].
 
Una ricostruzione sistematica e ragionata, non puo’ quindi prescindere dalla dinamica storica degli istituti.  Ed il settore degli appalti e’ sicuramente frutto della Storia. Il loro farsi nella Storia e’ l’oggetto dell’indagine del giurista. E la loro interpretazione, anch’essa cangiante nella dinamica storica.
 
Nessuna interpretazione del sistema degli appalti puo’ quindi prescindere dalla ricostruzione storico-economica dei fenomeni che ne hano decretato la genesi, lo sviluppo e la morte.
 
Esso nasce come esigenza di armonizzazione degli acquisti e delle forniture operate in favore della Pubblica amministrazione quale articolazione burocratica dello Stato unitario.
 
Non puo’ infatti esistere un settore normativo dedicato agli appalti se non c’e’ un apparato amministrativo burocratico che abbisogni di approvvigionarsi di opere, servizi o forniture.
E di certo non si ha un apparato amministrativo se non c’e’ lo Stato.
E’ dunque con lo Stato Apparato che nasce questa esigenza del tutto sconosciuta al Luigi XIV dell’Etait c’est moi.
 
In Italia, in particolare, il problema dell’ordinamento del nuovo Regno si pose tra il 1859 ed il 1865. I Piemontesi discussero come estendere l’ordinamento piemontese alle altre regioni italiane, al fine di creare un forte apparato centralizzato, sul modello francese.
 
Fatta l’Italia occorreva fare gli italiani, come diceva D’Azeglio. Ma per fare gli italiani occorreva senz’altro un sistema uniforme di regole ed un apparato burocratico all’altezza dei compiti dello Stato.
 
A dispetto della pretesa efficenza vantata dai governi dell’attuale Repubblica, all’indomani della formazione dello Stato unitario, in appena quattro anni furono varate leggi riguardanti i poteri delle amministrazioni locali (Comuni e Province), il Consiglio di Stato, il contenzioso amministrativo (LAC), furono varati i codici (civile e di procedura civile), eccetera.
 
Molte norme in materia di appalti originano praticamente da quel fecondo periodo storico e sono rimaste in vigore per oltre un secolo (cosi’ la legge 20 marzo 1865 n. 2248). Altre per oltre ottanta anni (RD 25 marzo 1923 n. 599, il RD 18 novembre 1923 n. 2440, eccetera).
 
Nel frattempo l’Italia si era andata completamente trasformando: da Paese agricolo e contadino a Paese industrialmente avanzato e poi, postindustriale[9].
 
Impulso decisivo al poderoso sviluppo di nuove fonti normative, fu rappresentato dal Trattato istitutivo della Comunita’ Europea adottato a Roma il 25 marzo 1957, cui sono seguite importanti modifiche ed aggiornamenti contraddistinti da un progressivo ampliamento dei compiti di indirizzo e controllo della Comunita’ Europea.
 
Lo sviluppo poderoso del diritto comunitario in circa cinquanta anni e’ stata la piu’ grande rivoluzione silenziosamente avvenuta in Europa ed ha dato nuovo impulso alle legislazioni degli Stati aderenti, costringendoli ad adeguarsi ai principi, alle norme ed alle decisoni della giurisprudenza comunitaria.
 
A fronte di tali norme (considerate prevalenti sulle corrispondenti norme nazionali in conflitto che andranno pertanto “disapplicate”) gli ordinamenti nazionali hanno via via ceduto il passo e si sono dovuti conseguentemente adeguare, tuttavia conservando qua’ e la’ ampie zone riservate alle specifiche problematiche e peculiarita’ nazionali.
 
Alla luce di quanto sopra, apparira’ dunque chiaro come mai, per la genesi stessa della normativa afferente il settore degli appalti pubblici, ogni tentativo di una sua ricostruzione sistematica in termini cartesiani, non puo’ che essere destinata a sicuro insuccesso.
 
Dobbiamo infatti tener presente che quando si sono introdotti alcuni istituti e principi a livello comunitario, lo si e’ fatto nella assoluta ignoranza (e, comunque, nella piu’ o meno incolpevole inconsapevolezza) dei singoli istituti particolari che disciplinavano (e talvolta ancora nonostante tutto disciplinano) la medesima materia a livello dei singoli ordinamenti nazionali. E’ stata anche qui operata –mutatis mutandis– una “quasi sabaudizzazione” dell’ordinamento nazionale.
 
Questa banale considerazione sembra addirittura tanto ovvia da apparire scontata. Tuttavia occorre sempre ricordare questa semplice verita’ per capire come mai oggi si sia in totale difficolta’ ed imbarazzo di fronte a nozioni, definizioni ed istituti di derivazione comunitaria.
 
Il meccanismo approssimativo che ha generato alcuni Istituti rende oggi molto difficile, per non dire impossibile, fornire una adeguta spiegazione razionale ai medesimi.
 
L’ordinamento e’ Sistema se esso e’ unitariamente concepito. Quando, invece, la genesi di un ordinamento e’ attribuibile a diversi fenomeni succeddutisi nel corso del tempo in modo caotico, e’ evidente che una loro ricostruzione in termini di pura razionalita’, sara’ impossibile. Con effetti diretti sulla democrazia e sulla percezione di essa da parte dei cittadini[10].
 
Piu’ l’argomentazione portata sara’ razionale, piu’ essa inevitabilmente cadra’ in contraddizione, dovendo il suo postulato derivare da premesse sempre diverse.
 
Ed allora l’unica possibile chiave di lettura e’ quella che veda nei diversi Istituti il prodotto di quel momento storico o in cui e’ avvenuta la loro genesi.
 
In altri termini: non ci si puo’ limitare –come fanno i piu’- a registrare i vari Istituti come eventi accaduti NEL corso del Tempo, ma occorre abbandonare una visione meramente diacronica e percio’ acritica, privilegiando una loro visione dinamica come prodotti DAL Tempo.
 
Ed allora, interpretando in senso hegeliano le norme ed i principi giuridici come prodotto dello Spirito universale che si fa storia e non come regalo capriccioso di Dei indisponenti, avremo la chiave di lettura che ci consentira’ di capire ed inquadrare le norme in base alle ragioni storiche, sociali ed economiche che ne costituiscono il reale substrato e senza le quali esse non sarebbero mai sorte, perche’ nessuno ne avrebbe mai sentito la necessita’.
Le norme, infatti, altro non sono che sovrastruttura del reale ed intanto esistono e non vengono abrogate o, semplicemente, disapplicate per oblio, in quanto siano espressione di una volonta’ economica e sociale che le renda effettive e necessarie.
 
Capire quale legge regola la metamorfosi normativa, consentira’ di possedere in ogni momento il grimaldello giusto per una corretta interpretazione delle norme stesse.
 
Da quanto sopra consegue che nessuna ricostruzione razionale e’ possibile e neppure tentabile, se non a rischio di costruire delle falsi premesse dalle quali poter far discendere la norma che altrimenti rischierebbe di apparire in tutta la sua irrazionalita’ per contrasto con altre norme.
Infatti, non v’e’ dubbio che la completa razionalita’ dell’azione, in senso cartesiano, richiede la conoscenza completa di tutti i fatti rilevanti. Obbiettivo evidentemente impossibile, stante la necessaria frammentazione delle conoscenze umane[11].
 
Ed allora, se una ricostruzione razionale e’ impossibile, tanto vale inquadrare i singoli Istituti per il significato storico, sociale, economico e giuridico che essi assumono in una data epoca storica.
 
Non escludiamo, infatti, che si possano trarre delle osservazioni coerenti anche da un apparente caos.
 
Non esiste una Mente in grado di progettare lin modo organico e razionale le Istituzioni. Cosi’ non resta che andare avanti con l’ottimismo della volonta’ ed il pessimismo della ragione[12].
 
Ma solo dall’imperfezione possono nascere gli stimoli necessari al miglioramento ed al progresso. Nella vita, come in qualunque attivita’ scientifica.
 
Il fatto che l’attività svolta in un modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi, o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così perfetta che non la perfezione. Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi e delle giovani reclute che si sono affiancate a noi, credo di poter affermare che nella ricerca scientifica né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, i più critici e più acuti, non affronterebbero[13].
 
 
 
 
 
 


[1] Pubblicato in G.U. n. 107/L del 2 maggio 2006.
[2]L’art. 1 della legge 62/2005, denominato, “Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie”, recita:   
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.
2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all’attuazione delle direttive elencate nell’allegato A, sono trasmessi, dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione della direttiva 2003/10/CE, della direttiva 2003/20/CE, della direttiva 2003/35/CE, della direttiva 2003/42/CE, della direttiva 2003/59/CE, della direttiva 2003/85/CE, della direttiva 2003/87/CE, della direttiva 2003/99/CE, della direttiva 2003/122/Euratom, della direttiva 2004/8/CE, della direttiva 2004/12/CE, della direttiva 2004/17/CE, della direttiva 2004/18/CE, della direttiva 2004/22/CE, della direttiva 2004/25/CE, della direttiva 2004/35/CE, della direttiva 2004/38/CE, della direttiva 2004/39/CE, della direttiva 2004/67/CE e della direttiva 2004/101/CE sono corredati della relazione tecnica di cui all’articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari che devono essere espressi entro venti giorni.
5. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 5-bis (2).
5-bis. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, adottati per l’attuazione delle direttive 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, il Governo, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 2 e con la procedura prevista dal presente articolo, può emanare disposizioni integrative e correttive al fine di tenere conto delle eventuali disposizioni di attuazione adottate dalla Commissione europea secondo la procedura di cui, rispettivamente, all’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva 2004/39/CE, e all’articolo 18, paragrafo 2, della direttiva 2004/25/CE (3).
6. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, i decreti legislativi eventualmente adottati nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano entrano in vigore, per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione, alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e, nelle materie di competenza concorrente, dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato. A tale fine i decreti legislativi recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole delle disposizioni in essi contenute.
7. Il Ministro per le politiche comunitarie, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risulti ancora esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dia conto dei motivi addotti dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia a giustificazione del ritardo. Il Ministro per le politiche comunitarie ogni quattro mesi informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica per il parere definitivo che deve essere espresso entro venti giorni.


(2)  Comma così modificato dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 – Legge comunitaria 2005.
(3)  Comma aggiunto dall’art. 16, L. 25 gennaio 2006, n. 29 – Legge comunitaria 2005.
 


ARTICOLO 2: 2. Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa.
1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui al capo II ed in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all’articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all’attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative;
b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatte salve le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa;
c) salva l’applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l’osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell’ammenda fino a 103.291 euro e dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 103 euro e non superiore a 103.291 euro è prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. Nell’ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni sopra indicate sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell’interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole o alla persona o all’ente nel cui interesse egli agisce. In ogni caso sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi;
d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile fare fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, per un ammontare complessivo non superiore a 50 milioni di euro;
e) all’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;
f) i decreti legislativi assicurano in ogni caso che, nelle materie oggetto delle direttive da attuare, la disciplina sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega;
g) quando si verifichino sovrapposizioni di competenze fra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;
h) i decreti legislativi assicurano che sia garantita una effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea, facendo in modo di assicurare il massimo livello di armonizzazione possibile tra le legislazioni interne dei vari Stati membri ed evitando l’insorgere di situazioni discriminatorie a danno dei cittadini italiani nel momento in cui gli stessi sono tenuti a rispettare, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per l’esercizio di attività commerciali e professionali, una disciplina più restrittiva di quella applicata ai cittadini degli altri Stati membri.
L’art. 25  Delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2004/17/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, recita’: 1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all’articolo 1, uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento della direttiva 2004/17/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) compilazione di un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione europea;
b) semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici;
c) conferimento all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, dei compiti di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina; l’Autorità, caratterizzata da indipendenza funzionale e autonomia organizzativa, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di organizzazione e di analisi dell’impatto della normazione per l’emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione. I compiti di cui alla presente lettera sono svolti nell’ambito delle competenze istituzionali dell’Autorità, che vi provvede con le strutture umane e strumentali disponibili sulla base delle disposizioni normative vigenti e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato;
d) adeguare la normativa alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C-247/02.
2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono emanati sentito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si pronunzia entro trenta giorni; decorso tale termine i decreti legislativi sono emanati anche in mancanza di detto parere.
3. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dal comma 1 possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative nel rispetto delle procedure di cui all’articolo 1, commi 2, 3 e 4.
4. In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, al settore postale si applica la disciplina di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, e successive modificazioni (9).
 
[3] Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale, Einaudi ed., 2004, Torino, pag. 21
[4] Georg W. F. Hegel, lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari, 1974, pag. 209.
[5] Cfr. Michele AINIS, se50.000 leggi vi sembran poche, Rizzoli.
[6] Inserire nota sulla scuola Paretiana di Losanna
[7] Elio Casetta, manuale di diritto amministrativo, Giuffre’ Editore, pagina 288.
[8] Cf. Georg W. F. Hegel, op. cit., pag. 26
[9] Inserire riferimento a saggio di Cipolla sulla Storia d’Italia di Einaudi
[10] KAFKA scrive: Le nostre leggi non sono conosciute da tutti, ma sono un segreto di quel pugno di nobili che ci domina. Noi siamo convinti che queste antiche leggi vengano diligentemente rispettate, e tuttavia è estremamente penoso essere governati sulla base di leggi che si ignorano. Non alludo, a questo riguardo, alle diverse possibilità di interpretazione, oppure agli inconvenienti che ne conseguono allorché alla loro interpretazione possono intervenire soltanto pochi eletti anziché tutto il popolo.

Forse però questi inconvenienti non sono neppure molto gravi. Le leggi, effettivamente, risalgono a tanti anni addietro, la loro interpretazione s’è protratta per secoli e secoli ed essa stessa, a sua volta, è già divenuta legge; e anche se è vero che le libertà d’interpretazione permangono tuttora, esse sono tuttavia assai limitate. […] In ciò, naturalmente, è presente una certa saggezza – chi mette in dubbio la saggezza delle leggi antiche? – ma anche un tormento per noi; probabilmente è un fatto inevitabile

[11] F. V. Hayek, Legge, legislazione e Liberta’, Il Saggiatore.
[12] A. Gramsci, Q, 28.
[13] Rita Levi Montalcini, Elogio dell’Imperfezione, Garzanti ed.

Salierno Fabio

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